Anche le parole di Guzzetti stigmatizzano, senza nominarlo, il sistema che ha gestito la Fondazione MPS
di Red
SIENA. Discontinuità e cambiamento non sono sinonimi. La prima parola, infatti, presuppone che gli artefici dell’operazione possano essere gli stessi di prima, mentre cambiamento significa che in una determinata situazione ci debbano essere uomini diversi, cioè nuovi. Non a caso la discontinuità di Ceccuzzi era per definizione destinata al fallimento.
Pensare che le stesse persone che hanno amministrato Siena, la banca, l’Università, l’Ospedale per decenni con la loro pesantezza di pensiero possano essere protagonisti del rinnovamento cittadino che urge più che mai, è sintomo di una mentalità di matrice partitica che non ha più ragione di esistere. Chi non comprende da che parte è andato il mondo e non sa farsi da parte mentre altri si ergono a protagonisti del cambiamento, cercherà di trascinare ogni cosa al punto di non ritorno, alzando continuamente la posta fino al baratro conclusivo.
A dispetto dell’età anagrafica, il dimissionario sindaco di Siena è un protagonista del “sistema” che fino ad oggi ha fatto le scelte amministrative di tutti gli enti pubblici o partecipati del territorio senese. La sua credibilità come discontinuatore è per questo sempre stata ridotta.
Adesso in città si apre una lunga campagna elettorale che per prima cosa deve far emergere autentici candidati alla carica che è vacante in Palazzo Pubblico.
Così, a dispetto dei molti commenti sul consiglio provinciale che aveva in tema la Fondazione MPS, dobbiamo registrare che i protagonisti della riunione, in quanto espressione della vecchia politica in via di disfacimento, non sono autorevoli né politicamente credibili per definire nuove regole di composizione della Deputazione di Palazzo Sansedoni. Toccherà ad altri, ma la vecchia politica non vuole proprio andare in pensione.
Oggi, al 122esimo convegno dell’Acri, l’associazione che raggruppa le fondazioni di origine bancaria in cui è vicepresidente Gabriello Mancini, il pallino l’ha tenuto in mano Giuseppe Guzzetti. Il presidente viene, con i suoi 78 anni, dalla scuola politica della Democrazia Cristiana, alla quale è sopravvissuto dopo aver fatto il presidente della Regione Lombardia e il senatore per due legislazioni fino ad approdare al sistema delle Fondazioni bancarie, prima in Cariplo e adesso ai vertici dell’Acri.
Ha tentato, nella sua relazione, di smarcarsi dalla politica romana: le fondazioni non sono “la cinghia di trasmissione dei partiti” nelle banche, ha detto. Ha ricordato a tutti i presenti che “Gli amministratori delle fondazioni non interferiscono e non possono interferire nella gestione delle banche” e che “non è vero che gli enti pubblici (Comuni, Province, regioni) abbiano la maggioranza negli organi delle Fondazioni”. Il presidente dell’Acri ha affermato che “la componente pubblica non debba avere la maggioranza nell’organo di indirizzo delle fondazioni, anzi deve essere minoritaria, spesso largamente minoritaria. Sono certo che la corretta applicazione della Carta delle Fondazioni renderà ancora più concreta questa separazione rispetto alla politica”.
Miele o fiele per le orecchie attente di Mancini, uno che fino a poco tempo fa diceva e faceva esattamente l’opposto? E che senza gli errori di quei “responsabili” senza nome e senza volto continuerebbe a voler fare e disfare la senesità del Monte? Ecco perché vorrebbero discontinuare: per rimanere i soliti ai soliti posti.
E’ ora, invece, di avere il coraggio di cambiare.