Direttore responsabile Raffaella Zelia Ruscitto

Il duro mestiere del granciere

di Augusto Codogno

L’ospedale di Santa Maria della Scala di Siena, di pari passo con la sua espansione, si era dato nel tempo regole sempre più stringenti in materia di amministrazione dei propri beni.

Per capirne meglio l’organizzazione e l’evoluzione bisogna consultare i suoi statuti a partire da quello del 1305 e quello del 1318 che segnano un quasi definitivo assetto di leadership e organigramma, che si ripeterà senza grandi cambiamenti anche nei secoli successivi.

Per quanto riguarda l’Ospedale, oltre al Rettore, nei primi decenni del trecento vi erano tutta una serie di figure che svolgevano precisi ruoli all’interno della sede davanti al Duomo e che erano eletti dal “Capitolo”. Erano genericamente conosciuti come “Officiali” del Santa Maria della Scala.

Tra questi grande rilievo aveva la figura del Camerlengo che di fatto controllava tutte le entrate e le uscite di denaro ed aveva una certa libertà di manovra per quanto riguarda l’alienazione dei beni. Nello Statuto del 1318 tra l’altro era esplicitamente riportato che “el detto camarlingo sia tenuto e degga guardare li beni… e tenere quelle cose che sonno da tenere quelle cose che sonno da tenere, e dare quelle cose che sonno da dare”. Gli era però severamente vietato di dormire più di una notte fuori dalla città. Questo incarico durava in genere sei mesi o al massimo un anno.

Il camerlengo era sempre affiancato da uno “scrittore” e coadiuvato da un notaio (due notai a partire dal 1318). La gestione dei generi alimentari era appannaggio di due “castaldi” di cui almeno uno doveva essere un frate e che curavano diversi “cellerai” tra i quali quello del pane, degli alimenti vari e la cantina.

Un altro frate si occupava del granaio dove, oltre al frumento e alla farina, erano stipati anche i legumi e i cosiddetti “biadi minori”, ma la porta aveva due serrature e lui possedeva solo una chiave. L’altra era data ad un altro frate in modo tale che al magazzino potessero accedere in due contemporaneamente e mai uno solo. L’addetto al granaio provvedeva a rifornire giornalmente di farina il responsabile del forno che era direttamente alle dipendenze del camerlengo e che cuoceva il pane. Questo ufficiale “fornaio”, come da statuto, consegnava l’intera partita di pane solo e soltanto al camerlengo perché potesse controllarne la produzione ed annotare in appositi registri.

Ma il frate responsabile del granaio aveva anche un altro compito importantissimo: quello di pesare e mandare il grano ai mulini affinché i mugnai potessero trasformarlo in farina e riportarlo in ospedale. Nei primi del trecento questo ufficiale consegnava circa 25 moggia di grano (circa 99 quintali) ogni tre giorni. Altre figure ricoprivano gli incarichi più diversi, come il responsabile degli animali da sella e da soma di proprietà del Santa Maria che si occupava anche della compravendita delle bestie. Sotto la sua supervisione erano tutti i “fanti” o “fantini” dell’ospedale, cioè quei garzoni che direttamente accudivano e guardavano questi animali e da lui dipendevano anche le assunzioni o i licenziamenti degli stessi.

Dal 1320, in piena espansione dell’ospedale, un’altra figura si rende necessaria per tutti i lavori di manutenzione e costruzione degli immobili, quella dell’“operaio”, che altro non era che un frate che sovrintendeva a tutte le opere del Santa Maria. Egli era responsabile “di tucte l’uopere e lavorii de lo spedale e di mectare e trare maestri e manovali”.

Ma il Santa Maria della Scala non doveva gestire solo la grande casa-madre senese, bensì anche tutto ciò che possedeva fuori le mura e che ormai aveva già in parte raggruppato e organizzato in tante grandi fattorie chiamate grance.

A capo di ogni grancia c’è il granciere che viene nominato ogni anno il primo gennaio o il primo luglio, come altri ufficiali, da una commissione formata da tre frati cittadini e tre frati residenti nel contado. Tendenzialmente ad essi veniva richiesto di saper scrivere ma, quando non lo sapevano fare, gli venivano affiancati degli “scrittori”. Essi dovevano rendere ragione delle loro spese al camerlengo almeno ogni tre mesi ad esclusione del granciere di Grosseto che faceva di conto ogni sei mesi. Ai grancieri infatti era riservato un letto nell’ospedale senese per quando si recavano in città.

Essi ricevevano dalla casa-madre anche uno stipendio, pari a quello degli altri frati, ma avevano qualche agevolazione in più. Alla fine del trecento, il Santa Maria della Scala, che aveva attraversato momenti di crisi economica dovuta anche a guerre, peste e carestie, sembrava aver ritrovato un’organizzazione abbastanza funzionante ed un gruppo di circa quindici amministratori esperti che gestivano le grance del contado.

Già a cavallo tra il trecento ed il quattrocento si cominciano a trovare dei veri e propri esperti di settore che, a seconda del caso, erano più formati ed indicati nella gestione degli ospizi o delle grandi grance, o delle piccole grance a seconda delle loro peculiarità ed esperienze sul campo.

Il Santa Maria della Scala tendeva ad inviarli nei vari luoghi a seconda delle proprie esigenze e ad effettuare una rotazione (non sempre omogenea) in modo da non farli rimanere troppo a lungo nel medesimo posto. Prenderemo per esempio Andreuccio di Rozzo che fu granciere a Stigliano nel biennio 1379-1380, a San Quirico d’Orcia nel 1381, a Scrofiano (Sinalunga) dal 1382 al 1392, poi ancora a S. Quirico nel 1393, alle Serre di Rapolano nel 1394-1395, poi a S. Angelo in Colle nel 1396, di nuovo a Scrofiano nel 1397-1398 ed infine spedaliere a Rieti negli anni 1399-1401.

Essere “officiali” del grande ospedale senese comportava sicuramente degli oneri e dei doveri importanti, ma anche alcuni privilegi e vitalizi che non erano per quei tempi cosa da poco.

E se dentro la casa-madre (Ospedale Santa Maria della Scala di Siena) i controlli nei confronti di questi soggetti erano più stringenti, nel contado e nelle grance rurali era più facile cadere in scorrettezze e farsi tentare da alcuni vizi capitali. Ma una volta scoperti gli errori dei suoi addetti, siano essi lavorativi che dovuti ad umane debolezze, dall’ospedale di Siena fioccavano provvedimenti disciplinari più o meno pesanti. Se i grancieri erano sospettati di frode venivano immediatamente espulsi oppure, per errori amministrativi di un certo rilievo, venivano destituiti e destinati ad altri ruoli.

Nel 1379 veniva espulso ad esempio Salvestro di Cionino, granciere a San Quirico d’Orcia, per “molti e molti difetti in grave danno e vergogna dello Spedale”. Sempre nel 1379 il camerlengo non approvava i conti di Fortunato di Petruccio e Giovanni di Giovanni perché le spese del mangiare e del bere erano ritenute esagerate.

Nel 1381 da Siena partiva una lettera a tre frati della grancia di San Quirico ammonendoli per “la loro mala vita” e minacciandoli se non si fossero ravveduti.

Nel 1385 venivano sollevati dall’incarico i grancieri di Firenze e di Stigliano: il primo perché a Firenze “poco si contentano” ed il secondo perché “poco atto et assai difettuoso”.

Ma le sanzioni più severe erano riservate a coloro che si macchiavano di colpe morali danneggiando l’immagine dell’ente nei confronti della popolazione. Ne fu un esempio Frate Fortunato Petrucci che venne cacciato nel 1381 perché ebbe un figlio “in grande vituperio della casa”.

Nel 1384 anche frate Jacomo di Mino Neri fu accusato di “vita dissoluta e modi non buoni” tenuti ai Bagni di Macereto e a Stigliano in “danno e vergogna de lo spedale”. Gli fu chiesto di rettificare i suoi comportamenti, ma evidentemente il frate continuò nei suoi errori tanto che per punizione fu mandato un anno nella grancia di Montepescali.

Essere inviati in maremma, dove l’ospedale aveva diverse grance (tra cui quella di Grosseto), era in quei tempi una enorme punizione. La maremma infatti, oltre ad essere fisicamente distante dalla città, aveva la fama di luogo assai pericoloso e primitivo, ma soprattutto insalubre.

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