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Direttore responsabile Raffaella Zelia Ruscitto
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Sacchetti compostabili. Quella “notizia” creata per le elezioni

Le responsabilità di un’informazione non corretta

Intervista esclusiva di Dario Tiengo ad Armido Marana e Marco Versari. Come i media possano indurre a comportamenti sconvenienti quando non presentano analisi precise.

MILANO. Sacchetti compostabili per l’ortofrutta. Al centro di un paio di giorni della campagna elettorale del 4 marzo, la notizia è successivamente scomparsa. Avete, infatti, più sentito parlare di sacchetti compostabili e in particolare di quelli per l’ortofrutta? Silenzio assoluto sullo “scandalo” del costo di pochi centesimi pari a un esborso, per le famiglie, di poco più di qualche euro euro l’anno. Non c’è più traccia delle tastiere autorevoli, quelle meno segnate dal copia-incolla, che si sono prestate a strumentalizzare una notizia per fare campagna elettorale. Troppo ghiotta l’occasione di attaccare Renzi anche sugli shopper. Altro che lotta alle “fake news”. E’ stato il classico esempio di come l’informazione possa essere asservita a scopi terzi. E così, chiusa la campagna elettorale (in realtà non si è mai chiusa e ora, infatti, riparte),nessuno ne ha più parlato. In compenso, in questi giorni la UE vara le nuove (e assai restrittive) norme sulla plastica monouso, un tema che vede il nostro Paese all’avanguardia per ricerca e prodotti.

Ma torniamo ai sacchetti per l’ortofrutta. Qualche mese fa girava la notizia che nei supermercati fossero notevolmente diminuite le vendita di frutta e verdura a causa dell’introduzione dei sacchetti biodegradabili-compostabili a pagamento (al posto di quelli in plastica normale usa e getta). Notizia quasi subito smentita da Federdistribuzione, che ha parlato invece di un sostanziale equilibrio nei dati di vendita rispetto ai mesi precedenti l’introduzione dei nuovi shopper. Ciò che, invece, mette in luce adesso la ricerca di Ismea è differente. L’Istituto per i Servizi del Mercato Agricolo e Alimentare afferma che le elaborazioni relative al primo trimestre del 2018, fanno registrare una flessione delle quantità vendute di frutta e verdura “sfuse” del 3,5% (-7,8% la spesa) “a fronte di un’impennata senza precedenti degli acquisti di ortofrutta fresca confezionata”, che è cresciuta dell’11% in volume e del 6,5% per quanto concerne la spesa.

Ismea sostiene chiaramente che questi sono i primi effetti dell’introduzione dei sacchetti bio a pagamento “sulle dinamiche degli acquisti di prodotti ortofrutticoli freschi tra i banchi della distribuzione moderna. Si tratta di numeri che evidenziano come la reazione dei consumatori – anche a seguito del tamtam sui social network – abbia impresso un’accelerazione a un processo di sostituzione di per sé già in atto. Il peso degli ortofrutticoli confezionati sulle vendite del comparto è salito, infatti, al 32% contro il 29% del primo trimestre 2017, nonostante, a parità di prodotto, i confezionati costino mediamente il 43% in più degli sfusi”. Il dato è significativo e dimostra come i media possano indurre a comportamenti sconvenienti quando non presentano analisi precise.

Complessivamente, nei primi tre mesi del 2018 i consumi dei prodotti ortofrutticoli freschi e confezionati sono cresciuti di quasi l’1% su base annua.

Insomma, il classico “tanto rumore per nulla”. “La legge di per sé recepisce la normativa europea e inserisce il criterio di far pagare l’imballaggio, perché il consumatore se ne renda conto. Non vedo problemi. Ciò che mi dispiace sono le cose inesatte, imprecise che media, addirittura esponenti del Governo, hanno fatto. Affermazioni frettolose e profondamente sbagliate, senza fondamento”: a parlare è Armido Marana, imprenditore. Un “plasticaro” – come si definisce lui stesso – convertitosi al compostabile e salito agli onori della cronaca in particolare durante le Olimpiadi di Londra del 2012 per aver vinto la gara per la fornitura di piatti e posate monouso compostabili; un successo che poi si è ripetuto con Expo 2015.

Fuori dalle strumentalizzazioni elettorali, quindi, che possiamo dire?

Marana – Possiamo dire che prima 12 miliardi di sacchetti venivano prodotti in Vietnam e ora la produzione è stata portata in Italia. Questo ha permesso ad aziende italiane di investire, di assumere personale, di creare occupazione ma, soprattutto – una cosa che nessuno dice – siccome i sacchetti devono essere tracciati, perché vanno a contatto con gli alimenti, e la tracciatura dei sacchetti prevede un’organizzazione efficiente all’interno della fabbrica, tutte queste aziende hanno investito per aumentare la loro efficienza, per diventare aziende “4.0”.

In pratica, abbiamo aiutato una filiera industriale a svilupparsi?

Marana – Esattamente. Questa legge – che ha chiesto un contributo banale e marginale – ha permesso all’indotto di crescere in maniera incredibile e di mettere a punto un tipo di organizzazione che permette di guardare avanti per creare nuovi prodotti e creare nuovo valore. Abbiamo portato valore aggiunto al nostro Paese. Se questa legge l’avesse fatta la Germania, i tedeschi avrebbero applaudito. Da noi, siccome è arrivata a ridosso della campagna elettorale, è andata così… E poi ,è stato ridotto lo spreco!

Cioè?

Marana – Quando hanno fatto le prime previsioni, tutti quanti si sono basati sul consumo dei sacchetti in polietilene. Guarda caso, il consumo è calato del 50% perché gli stili di vita e i modi di consumo erano tali che, siccome non costavano niente, la gente andava al supermercato e faceva la scorta, per il panino al figlio o per mettere il cibo nel congelatore… Quando rimaneva un rotolo di 2 o 300 grammi di sacchetti (circa 300) veniva tollerato che fosse messo nel carrello.

Questi comportamenti avevano aumentato il consumo o, meglio, lo spreco: perché se usi quel sacchetto per mettere panino o la banana c’è maggiore rischio che venga abbandonato, basta un colpo di vento e non lo recuperi più…

Anche per Marco Versari, presidente di Assobioplastiche, sul tema c’è stata troppa confusione: “Veniamo da un’informazione non corretta su  temi tecnici come biodegradabile, compostabile e rinnovabile – afferma – e questo ha sollevato delle discussioni sul web che non hanno aiutato a causa della loro inevitabile semplificazione e superficialità .  Per non parlare  poi delle notizie su presunti monopoli che in realtà non esistono e non sono mai esistiti. Il risultato? Si è svilito il valore della filiera industriale nazionale. Stiamo parlando di sacchetti per l’ortofrutta che in Italia non si facevano più da anni, venivano tutti dall’Estremo Oriente. Un prodotto poverissimo. I supermercati non li comperavano in Italia”.

Quindi, non è stato tolto niente a nessuno?

Versari – Se è successo, è stato solo a livello residuale. Il prodotto non compostabile è in polietilene, viene trasformato da chiunque. Cioè da chi ha la manodopera che costa poco: quasi sempre in Estremo Oriente.

Invece, la produzione dei sacchetti compostabili avviene in Italia?

Versari – Esatto. Tutto questo sta riportando produzione in Italia. Questo è il vero, grande messaggio. Le normative ambientali, la green economy attraverso standard elevati riportano lavoro nel nostro Paese.

In Italia abbiamo la Novamont con la sua ricerca e le sue tecnologie. Dovremmo esserne orgogliosi, invece a volte sembra quasi che ci si debba vergognare. Non crede?

Versari – In Italia non c’è solo la Novamont, ma un tessuto di aziende di ogni dimensione che guardano a questo mercato come il trampolino di lancio verso l’Europa. Basta guardare nella lista dei nostri Soci. Ma per rispondere alla sua domanda, guardando fuori da casa nostra in Germania, per esempio, certo non fanno la guerra alla Mercedes (dico così, tanto per fare un nome) e, se possono, nei limiti del lecito, fanno leggi che  sostengono quanto viene prodotto in Germania.

Il clamore che si è sviluppato intorno alla normativa sugli shopper per l’ortofrutta è stato molto particolare. Da un lato, sul web sono circolate molte imprecisioni (per non dire di peggio),dall’altra sull’onda di queste fake news anche sui grandi media si è speculato, facendo gli interessi di chi produce e vende prodotti fuori legge. Che senso ha?

Però se ne dovrebbe parlare, se non altro per sensibilizzare i cittadini sull’uso delle compostabili. Perché non si è vista nessuna campagna?

Versari – E’ vero. E’ anche scritto nella legge… Come Associazione, abbiamo più volte chiesto a Conai di usare il contributo ambientale pagato dalle bioplastiche per fare informazione.

Risposta?

Versari –  Ci è stato risposto che queste campagne arriveranno. Intanto sono passati 5 mesi dall’entrata in vigore del provvedimento e 10 da quando è diventata legge dello Stato.

Le bioplastiche nascono negli anni ‘90 per favorire la raccolta dell’umido. Grazie alla raccolta dell’umido si è sviluppata in Italia una importante filiera industriale che ha generato investimenti in impianti, ricerca e migliaia di posti di lavoro: è possibile che l’argomento venga affrontato con tanta leggerezza e, diciamolo, anche con una buona dose di incompetenza?

Versari – Di razionale, in questa faccenda, c’è ben poco. La legge discussa in Parlamento nella primavera 2016 è passata in tutte le Commissioni senza che nessuno abbia mai parlato di “drammatica tassa”. Abbiamo mai letto sulla “drammatica tassa” nell’ultimo anno e mezzo? Altri Paesi ci stanno seguendo e la stessa Unione Europea ci sta imponendo un cambio di marcia proprio nella direzione pensata dall’Italia anni fa. Ma, al di là di questo, se dobbiamo porci delle domande serie, dobbiamo piuttosto chiederci “una volta fatta la legge, chi controlla la sua applicazione? E che strumenti vengono messi a disposizione?”. Lasciamo perdere le strumentalizzazioni e le fake news. Come si vede, dopo poco tempo scompaiono nel nulla.

© RQL NEtwork

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