Piccini interviene sull'attuale situazione della Fondazione Mps
SIENA. Se Gabriello Mancini non fosse da lungo tempo il presidente di quella che fino a ieri era la più ricca Fondazione bancaria italiana, verrebbe da pensare che il suo inattaccabile ottimismo sfiori l’ingenuità. Un dubbio che sarebbe ben motivato, considerando che egli ha sempre gratificato della più incondizionata fiducia le persone che ha nominato ai massimi vertici della Banca ed ha sempre dichiarato di credere senza riserve alle esaltanti previsioni legate ai loro atti e – nonostante la situazione lo abbia drammaticamente smentito – continua imperterrito a non cambiare atteggiamento. La sua intervista natalizia al Sole 24Ore, proprio per questo, pare improntata più alla infantile fiducia di una letterina a Babbo Natale che alla condivisione delle gravi preoccupazioni che, in questi tempi, investono tutto il mondo della finanza.
Ma noi sappiamo che Mancini, per il ruolo che ricopre, non può essere un ingenuo e, se indica nell’aspettativa di un positivo andamento dello spread tra titoli pubblici italiani e tedeschi la possibilità di un miglior futuro patrimoniale del Monte, deve dipendere da un preciso calcolo: quello di mettere in sordina le questioni più spinose della gestione passata e presente della Banca ora che si sta avvicinando la campagna elettorale comunale. Vogliamo elencarle brevemente?
In testa a tutto sta, ovviamente, il prezzo astronomico dell’acquisto Antonveneta, prima dichiarato “al popolo” in 9 miliardi di euro, poi aggiustato a 10,3 miliardi nelle scarne comunicazioni formali, quindi quantificato recentemente in oltre 17 miliardi senza che nessuno abbia minimamente sollevato precisazioni al riguardo. Una somma stratosferica per un’azienda che il venditore stava all’epoca acquistando per poco più di 5 miliardi e che portava in dote migliaia di sportelli e di dipendenti che ora ci si impegna a dismettere. Ma una seconda questione non è certo di minor conto: quella che, per anni, la Banca ha distribuito “allegramente” utili inesistenti, come ora ha platealmente dichiarato anche il presidente Profumo, indebolendo così irrimediabilmente il suo patrimonio e rendendo indispensabile sia l’emissione di nuove azioni (con annacquamento del peso della Fondazione), che il ricorso agli aiuti di Stato (prima con gli 1,9 miliari mai restituiti dei Tremonti Bond ed ora con i 3,9 miliardi dei Monti Bond). La terza questione, strettamente connessa, è che questi debiti con lo Stato hanno un notevole costo per interessi che, se pagati, impediranno per lungo tempo di distribuire utili ad azionisti e Fondazione e, se non pagati (come sembra prevedersi almeno a breve), saranno liquidati distribuendo nuove azioni allo Stato, marginalizzando ulteriormente la Fondazione stessa ed il peso della comunità locale.
Una quarta questione è poi rappresentata dall’indebitamento che pesa direttamente sulla Fondazione – garantito dalle azioni Monte in portafoglio che valgono quel che valgono – che genera anch’esso interessi da pagare, mentre, come dicevamo, non si prevedono entrate almeno per alcuni anni. Quali bilanci potranno firmare coloro i quali subentreranno a Mancini dopo le elezioni?
Si giunge quindi all’unica questione di cui oggi ci vorrebbero far discutere, quella dei 24 miliardi di buoni del tesoro che la Banca ha acquistato invece di “rischiare” di prestarli alla clientela, ma che non rendono affatto gli interessi di normali buoni del tesoro, visto che quasi tutto il rendimento viene ristornato ad operatori finanziari esterni. Se lo “spread” si mantiene sugli attuali livelli la Banca si dimostrerà più solida di quel che sembra, come dicono Viola e Mancini? Saremmo lieti tutti quanti di vedere la Banca senese tornare ad essere “banca” a tutti gli effetti, ma questo non avrebbe alcuna influenza sugli altri aspetti che abbiamo brevemente elencato e che oggi stanno causando la crisi produttiva ed occupazionale che è sotto gli occhi di tutti. E poi, signor Mancini, senza voler essere irriverenti, chi visse sperando (nello spread o meno), sappiamo ove andò a finire.
Pierluigi Piccini