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Direttore responsabile Raffaella Zelia Ruscitto
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Una festa delle donne con molti distinguo…

di Raffaella Zelia Ruscitto

SIENA. Una leggenda metropolitana parla di sette sosia sparsi nel mondo per ogni essere umano. Tra gli oltre otto miliardi in vite sulla terra non sarebbe poi così strano. Il fascino di questa probabilità mi ha sempre ammaliato per la miriade di possibilità che offre ad una fantasia fervida come la mia.

Una donna con una molecola di DNA del tutto simile alla mia potrebbe essere, oggi, una bambina nata da pochi anni magari proprio in Italia o in un Paese d’Europa, in una bella famiglia. Curata e amata come è successo a me. Forse, l’altra Me si potrebbe trovare oltreoceano, in Centro America, in uno di quei Paesi caldi e ricchi di una natura colorata e violenta… magari la sua casa è fatta di legno e lamiera ed è affaticata da tre o quattro figli a cui badare, ma è felice. Vive vicino al mare; non le manca il necessario e non le interessa il superfluo perché ha conosciuto momenti peggiori e solitudini più amare.

E se fosse una anziana nonna russa? Una rubiconda donna dai capelli bianchi che da sempre ha vissuto la sua vita nella sua isba nella steppa, lontano da intrighi di potere, violenza e soprusi; o magari potrebbe essere una ragazzina poco più che adolescente che vive in una città iraniana, relegata nel suo velo e costretta a coprirsi per non provocare lo sguardo di uomini troppo accecati da una società chiusa in se stessa da non lasciare le donne libere di autodeterminarsi…

E se la mia “gemella” fosse adesso, in questa alba italiana silenziosa e fredda, sotto le bombe israeliane a Gaza? Se avesse, proprio come me, 52 anni e una figlia di 14 anni? Se stesse scappando da 4 mesi, senza una casa e senza più nessuna delle sue piccole cose a cui aggrapparsi; nulla da mangiare per quella figlia nel fiore della giovinezza e la vedesse sfiorire davanti ai suoi occhi senza poter fare nulla, nulla per alleviare questa condizione? Se fosse insonne da giorni per la paura di finire sotto una bomba senza riuscire più a nutrire la speranza di un aiuto?

Nelle ore di questa nuova Giornata internazionale della donna occorre, come sempre, fare un bilancio, come quando, a fine anno, ci troviamo con noi stessi a ripercorrere quanto fatto e a fare buoni propositi per l’anno che arriva!

Non mi riferisco, questa volta, alle donne uccise da mariti, compagni, ex compagni e figli maschi; alle donne, ragazze stuprate da gruppi o da singoli, drogate e poi abusate solo per il piacere di controllo e di potere… violate vittime di guerra o segregate da tradizioni retrograde. Queste sono cose che sappiamo tutti e tutte e che, ad oggi, pur ribadendolo ad ogni occasione possibile, non ha portato i frutti sperati.

Quello che mi preme, in questo tempo di violenza e di lenta discesa del mondo verso un nuovo inferno, è celebrare e condividere con le DONNE GIUSTE questo giorno… perché i distinguo vanno fatti! Ed è pure ora di farli!

Non voglio celebrare questo giorno con donne che, essendo arrivate in posizioni di altissimo peso sui destini dell’umanità, dimenticano di essere donne e agiscono da spietati uomini di potere. Donne del calibro di Ursula von der Leyen, indegna nella sua politica quanto nelle sue intenzioni. Madre di sette figli, stringe la mano del carnefice Netanyahu e non ha neppure un sussulto quando dichiara che l’Europa deve investire di più nelle armi! Dimenticando che ogni proiettile è fatto per uccidere e che non è questo il presupposto per un futuro da regalare ai nostri e ai suoi figli. In una Europa sempre più piegata dalla crisi e dall’austerità impostaci, invece di sostenere i ceti più deboli, fornendo gli strumenti per dare a tutti gli Europei pari dignità, se ne viene chiedendo soldi per i costruttori di armi, assoggettata ancora una volta ai poteri forti (che prima erano le compagnie energetiche e prima ancora i colossi delle case farmaceutiche).

Non voglio festeggiare insieme ad una donna come  May Golan, Ministra israeliana per l’uguaglianza sociale e il progresso delle donne che ha dichiarato di essere “orgogliosa delle macerie di Gaza e che ogni bambino palestinese, anche tra 80 anni, saprà raccontare ai suoi nipoti cosa hanno fatto gli ebrei”, fermo restando che, a voler proseguire con la violenza in atto da settimane, di bambini a Gaza, ce ne sono oltre 12mila in meno!

E neppure ci penso a condividere la mia “mimosa virtuale” con individui del calibro di Gila Gamliel, Ministra dell’Intelligence di Israele, che propone un esodo volontario “con aiuti economici di altri”, in Paesi esteri per i Palestinesi di Gaza così da lasciare spazio a nuovi insediamenti israeliani sulle macerie delle case degli sfollati!

Non voglio festeggiare con quelle donne israeliane che ballano davanti ai camion di aiuti umanitari per Gaza per impedire che raggiungano una popolazione affamata, assetata, ferita, violata e privata di tutto.

Non voglio festeggiare con Linda Thomas-Greenfield ambasciatrice americana all’Onu, che ha messo il veto all’ennesima risoluzione Onu per un cessate il fuoco.

Non voglio neppure parlare delle rappresentanti politiche italiane, qualunque sia il loro schieramento, che sono quasi trasparenti nel loro prendere posizioni insensate, suddite e parimenti indegne.

Non voglio festeggiare con quelle donne che riescono a trovare una qualche giustificazione all’odio, al razzismo, alla violenza, al sopruso; che insegnano l’odio e il razzismo ai loro figli; che da portatrici di vita si fanno portatrici di morte.

Mi rifiuto di condividere una giornata di riflessione sul ruolo della donna e sull’affermazione della parità di genere con donne che non sono disposte a difendere ed a sostenere i diritti calpestati di altre donne, ovunque esse vivano, qualunque sia il colore della loro pelle o la loro fede. Non accetto di essere affiancata a donne che non riconoscono pari valore al pianto del loro figlio e a quello di qualunque altro figlio, di qualunque altra donna.

Oggi vorrei celebrare una Giornata Internazionale della donna chiedendo alle donne (soprattutto a quelle che hanno un seguito) di imporsi, di urlare, di pretendere la verità – in un mondo in cui la verità è diventata un lusso che nessuno vuole permettersi – la giustizia, il rispetto per tutti gli esseri umani, la fine di tutte le guerre.

Lo so, nessuna di noi è Lisistrata e la vita non è una commedia di Aristofane. So anche che la parità di genere è un’utopia persino nella Vecchia Europa, portatrice di non si sa bene quali valori, ormai. Siamo ancora qui a lottare per vederci riconosciuti diritti che, negli anni ‘70 parevano essere stati acquisiti… e invece… Invece se questo non è stato, e non è, la responsabilità è anche nostra. Soprattutto e di quelle per cui la felicità è racchiusa in una borsa griffata o nel lifting di ultima generazione; di quelle che ascoltano con emozione le vicende della Ferragni o della Blasi di turno restando totalmente indifferenti alle vicende delle migliaia e migliaia di donne vittime reali di soprusi e violenze in Italia e nel mondo; di quelle che si fanno incastrare (come molti maschi) nei diktat dei partiti e, pur di fare carriera, spengono il cervello e non si informano creandosi una loro personalissima posizione; di quelle che, madri di figli maschi, fin dalla culla, non li educano al rispetto dell’altro, uomo o donna che sia, all’esercizio del mutuo aiuto tra esseri viventi, al valore che ogni vita ha, senza alcun distinguo ed alcuna condizione.

Il concetto di “sorellanza”, che pareva aver fatto breccia in anni ormai lontani, si è infranto per ragioni che sfuggono alla comprensione ma che non hanno altre responsabili che noi stesse. Troppo perse dietro la politica delle giuste parole, della giusta immagine, delle giuste amicizie, da essersi fatte distrarre dal giusto obiettivo: il superamento della predominanza del pensiero maschile nel mondo.

Se ci troviamo oggi a raccontare un mondo sempre più ingiusto, sempre meno accogliente, proprio oggi, dobbiamo avere il coraggio di assumerci le nostre responsabilità e cominciare ad invertire la rotta prima che sia troppo tardi. Se non lo è già

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