Palazzo Sansedoni pagherà subito 664 milioni di euro per dilazionare il resto
di Red
SIENA. “La Fondazione Monte dei Paschi di Siena comunica che in coincidenza con la scadenza in data 18 giugno 2012 degli accordi di standstill con le banche finanziatrici, il negoziato relativo al ribilanciamento del complessivo debito finanziario della Fondazione ha raggiunto un accordo la cui finalizzazione è attesa nei prossimi giorni con la definizione dei dettagli tecnici e salvo approvazione da parte dei rispettivi organi deliberanti”. Fin qui la fredda comunicazione della Fondazione.
Non è successo nulla che possa cambiare lo stato delle cose dall’8 giugno a oggi. Anzi, causa gli andamenti di borsa, il prestito contratto da Mancini e Pieri a nome della città di Siena senza che nessuno (o quasi) fosse a conoscenza del covenant mortale sottoscritto, che rimane come spada di Damocle a sentenziare la possibile fine della Fondazione MPS. Infatti stamattina, superata la scadenza dell’ultima proroga concessa dai creditori capeggiati da Mediobanca (l’istituto che presta i soldi e poi decide come vendere gli asset del debitore in difficoltà), è stata emessa la nota riportata sopra.
Anche se non ci sono novità nell’ambito dell’inchiesta in corso né i valori di borsa fanno sperare in meglio per la vendita dell’ultimo pacchetto che ancora manca per coprire i 664 milioni (da restituire immediatamente per ottenere la rateazione al 2017-2018 dei rimanenti 350 milioni). Rimane sempre il dubbio dell’incauto prestito: tutti sanno che già nel giugno dell’anno scorso Palazzo Sansedoni non aveva la capacità di restituire alcun prestito contratto, perché l’unico asset nelle sue mani erano le azioni di MPS che, in asfissia di liquidità, doveva provvedere urgentemente a un aumento di capitale. Senza alcuna garanzia di redditività futura. Ovvero nessuna banca presta soldi a un cliente che non ha capacità di produrre reddito per rimborsare le rate, pensando di vendergli i beni infruttiferi alla prima occasione; ma alla Fondazione il prestito è stato concesso. Inoltre presidente e Deputazione hanno l’obbligo statutario di non indebitare l’istituzione “per un importo complessivo superiore al 20% del proprio patrimonio” (art. 3, paragrafo 4): e anche questo aspetto sembra colpevolmente non interessare Banca d’Italia, Ministero del Tesoro, Tribunale di Siena e perfino uomini politici locali che, cavalcando la tigre, potrebbero trovare facile popolarità e nuovo vigore per la città, facendola riemergere protagonista. Eppure da Tremonti a Draghi, da Parlangeli a Mussari i protagonisti di quella operazione sono tutti fuori dai giochi, tranne l’immarcescibile Mancini, in scadenza di mandato nel 2013.
SIENA. “La Fondazione Monte dei Paschi di Siena comunica che in coincidenza con la scadenza in data 18 giugno 2012 degli accordi di standstill con le banche finanziatrici, il negoziato relativo al ribilanciamento del complessivo debito finanziario della Fondazione ha raggiunto un accordo la cui finalizzazione è attesa nei prossimi giorni con la definizione dei dettagli tecnici e salvo approvazione da parte dei rispettivi organi deliberanti”. Fin qui la fredda comunicazione della Fondazione.
Non è successo nulla che possa cambiare lo stato delle cose dall’8 giugno a oggi. Anzi, causa gli andamenti di borsa, il prestito contratto da Mancini e Pieri a nome della città di Siena senza che nessuno (o quasi) fosse a conoscenza del covenant mortale sottoscritto, che rimane come spada di Damocle a sentenziare la possibile fine della Fondazione MPS. Infatti stamattina, superata la scadenza dell’ultima proroga concessa dai creditori capeggiati da Mediobanca (l’istituto che presta i soldi e poi decide come vendere gli asset del debitore in difficoltà), è stata emessa la nota riportata sopra.
Anche se non ci sono novità nell’ambito dell’inchiesta in corso né i valori di borsa fanno sperare in meglio per la vendita dell’ultimo pacchetto che ancora manca per coprire i 664 milioni (da restituire immediatamente per ottenere la rateazione al 2017-2018 dei rimanenti 350 milioni). Rimane sempre il dubbio dell’incauto prestito: tutti sanno che già nel giugno dell’anno scorso Palazzo Sansedoni non aveva la capacità di restituire alcun prestito contratto, perché l’unico asset nelle sue mani erano le azioni di MPS che, in asfissia di liquidità, doveva provvedere urgentemente a un aumento di capitale. Senza alcuna garanzia di redditività futura. Ovvero nessuna banca presta soldi a un cliente che non ha capacità di produrre reddito per rimborsare le rate, pensando di vendergli i beni infruttiferi alla prima occasione; ma alla Fondazione il prestito è stato concesso. Inoltre presidente e Deputazione hanno l’obbligo statutario di non indebitare l’istituzione “per un importo complessivo superiore al 20% del proprio patrimonio” (art. 3, paragrafo 4): e anche questo aspetto sembra colpevolmente non interessare Banca d’Italia, Ministero del Tesoro, Tribunale di Siena e perfino uomini politici locali che, cavalcando la tigre, potrebbero trovare facile popolarità e nuovo vigore per la città, facendola riemergere protagonista. Eppure da Tremonti a Draghi, da Parlangeli a Mussari i protagonisti di quella operazione sono tutti fuori dai giochi, tranne l’immarcescibile Mancini, in scadenza di mandato nel 2013.