di Gianni Basi
SIENA. L’Estate Musicale Chigiana volge ai suoi concerti finali. La seconda metà di agosto, fra il 18 e il 31, vedrà in scena artisti come Maurizio Pollini, Michele Campanella; David Geringas e, nelle ultime tre date, il melodramma pucciniano di “Suor Angelica” e i concerti degli allievi del corso di violino di Salvatore Accardo e del corso di canto di Renato Bruson.
Maurizio Pollini, che suonerà martedi 18 agosto alle 21,15 al Teatro dei Rozzi, rappresenta l’evento assoluto di tutta la stagione chigiana. Biglietti prenotati da mesi, trovare ancora un posto sarebbe solo un colpo di fortuna, ma tentar non nuoce (info Chigiana: 0577/22091).
Considerato a ragione uno dei più grandi pianisti di sempre, Pollini sembrò legarsi a Chopin sin da quando, diciottenne, vinse a Varsavia il concorso internazionale titolato al compositore polacco. Da allora, pur suonando e dirigendo di tutto da Bach a Mozart, da Boulez a Stockhausen, nessuno gli è rimasto nel cuore quanto Frédéric Chopin, autore prediletto e sempre proposto in scaletta a cominciare dagli amati “Notturni”, che Pollini chiama “i suoi diari intimi”. Sarà che pochi, al pari di Chopin, sanno fedelmente rispecchiare in musica stati d’animo così diversi, così tanto decifrabili quanto a volte enigmatici, altre volte gioiosi, limpidi, sognanti, ed altre ancora malinconici e disperati. Una mescolanza reale, umana, che viene espressa puntualmente in ogni “pianoforte solo” chopiniano, si tratti di Mazurche o Scherzi, Ballate o Notturni, Preludi o Polacche, e finanche in quegli “Studi” che, scritti magari come sola esercitazione pianistica, sono di ascolto profondo e sublime.
Pollini, come Chopin, ama il dettaglio, la millimetrica precisione dei tempi e la pienezza qualitativa del suono. Nel caso ci leggesse, gli strapperemmo un sorriso accostandolo alla pignoleria di un Wile-e-Coyote dall’orecchio straordinario che, preparato un esplosivo che si scatenerà sull’ultima nota di una sonata di piano da parte del rivale Bip Bip, non appena questi sbaglierà ovviamente proprio quella nota sarà lui, il temerario Wile-e, a precipitarsi indignato a suonarla per esplodere poi egli stesso. (Come dire: la tecnica sopraffina, costi quel che costi, esige la perfezione assoluta…). Formatosi sotto la guida di Arturo Benedetti Michelangeli, Pollini ha fatto di questa peculiare caratteristica il suo biglietto da visita nel mondo. Nel ‘68 debutta negli Stati Uniti e nel ‘74 è in Giappone con la sua prima tournée dopo aver suonato Stravinskij e Prokofiev in una memorabile incisione per la Deutsche Grammophone, sua etichetta da allora ufficiale. Nell’85 si ripete col “Clavicembalo ben temperato” di Bach e, nell’87, coi concerti per piano di Beethoven con Abbado e la Filarmonica di Vienna ottenendo l’Erhenring, il prestigioso “Anello Onorario” donato solo ai più grandi. A Salisburgo, nel ‘95, elabora il “Progetto Pollini”, una panoramica di concerti incentrati sul vecchio e il nuovo del classico che poi amplierà nel 2000 con le “Prospettive Pollini”. Un anno prima vince a Venezia il premio “Una vita per la musica”, e di lì a poco con le “Variazioni Diabelli” di Beethoven si aggiudica il Diapason d’Or. Nel 2007 riceve il Grammy Award per la registrazione dei “Notturni” e, ospite da Fabio Fazio a “Che tempo che fa”, racconta di quanto i giovani lo abbiano acclamato al suo concerto in Santa Cecilia, attendendolo in auditorium per l’emozione di un autografo. In quella occasione Pollini ebbe a dire: ”Sì, qualcosa sta davvero cambiando. E’ una gioia vedere che i giovani cominciano ad apprezzare la musica d’arte, l’unica forma concreta di sopravvivenza all’incedere del tempo, l’unica ad affascinare e a farsi riscoprire come fosse nuova”. E i giovani, e soprattutto quanti hanno conosciuto Maurizio Pollini sia nei concerti senesi di questi anni che nel corso dei seminari tenuti in Chigiana nel 2001 e 2002, accorreranno come sempre in massa al Teatro dei Rozzi.
La scena, nell’attesa delle due arie di Beethoven che apriranno la serata, è consueta: sul palco il grande piano a coda, si scuote una tenda e si pensa sia il Maestro ma è invece il suo fedele accordatore. Una, due, tre volte si porta al piano e prova, tasta, aggiusta. Finalmente si spengono tutte le luci, tranne un cono proiettato sul pianoforte nero e lucido. E dal buio ecco il frac di Pollini, un piccolo cenno del capo e va a sedersi, immobile, le mani poggiate sui tasti con fare delicato, come a sfiorare i capelli di un bimbo, o dell’amata, o ad appoggiarle sulle spalle di un amico, un grande amico. Attimi in sospeso, con le orecchie attente allo scemare dell’ultimo applauso. Poi, al primo soffio di silenzio, la liberazione delle battute iniziali, lo sciogliersi delle dita, e la “Sonata in re minore op.31 n.2” che via via prenderà piede. Da subito intensa, ondulata, lacerante tanto nei toni mesti che negli attacchi improvvisi e tempestosi, con la sola intrusione di un piccolo tempo a marcetta. Quindi ancora passi solenni, tra calma e furia. La famosa “Sonata in fa minore op. 57” detta “Appassionata”, che seguirà subito dopo, si aprirà in un incedere di tocchettini alternati ad impennate struggenti. E’ più solare della precedente, decisamente “appassionante”, e culmina in un ticchettio ripetuto, una sorta di grandinare di note che sembrano gocce, e viceversa. Pare che l’ispirazione sia venuta a Beethoven tornando a casa dopo una passeggiata. Lo aspettava un allievo per la lezione ma il compositore, non vedendo l’ora di mettersi al piano, lo licenziò in tutta fretta. E compose. Ricordando, probabilmente, quanto gli aveva suggerito la pioggia su Bonn di pochi istanti prima. Il brano che si ascolterà dopo, la “Fantasia op. 17 in do maggiore” di Schumann è invece un pezzo lento, soffuso, fatto di colorazioni tenui, le nuvolette rosa che passano in mente e a volte anche quelle nere. Da tardo romantico (dunque più realista che sognatore), Schumann esprime una fantasia più interiore che fantasticata e roboante, un vissuto tutto suo che perlomeno lui ebbe il conforto di mettere in musica riuscendo a dare voce ai suoi pensieri. …A noi, certe volte, servirebbe immensamente una musica che accompagni i nostri frammenti di vita, ed è talmente bello avvertirne l’esigenza che non si sa perché ciò avvenga solo nei film… Ma pensiamo ora alle ultime pagine della serata polliniana, e… cos’altro di meglio che Chopin? Si comincia con “Quattro Mazurke dell’opera 33”. Chopin ne scrisse 59, di struttura meno libera delle “Ballate” ma ad esse a volte simili specialmente nella scansione dei temi e dei tempi. Arie comunque sempre legate alle romanze ritmate del folklore polacco, ma non per questo da considerare di facile esecuzione, anzi il loro intreccio tecnico è particolarmente complesso. La pagina successiva, quella dello “Scherzo in si bemolle minire op.3”, il n.2 se non andiamo errati, è sicuramente più vivace ed è anche tra gli “Scherzi” il più noto. Lo si ascolta con la sensazione di flussi e riflussi acquatici a tutta tastiera che, di colpo, si scatenano in gravi drammatici, fatti di brevi picchi sonori di raccordo che danno i brividi e ricordano certe stilettate di Beethoven. Le doti di Chopin del resto, sono universalmente definite “di grande espressività musicale e di esplosiva creatività”. Nessuno, quanto il suo alter ego Pollini, che le abbia mai sapute rendere come Chopin aveva veramente pensato.
SIENA. L’Estate Musicale Chigiana volge ai suoi concerti finali. La seconda metà di agosto, fra il 18 e il 31, vedrà in scena artisti come Maurizio Pollini, Michele Campanella; David Geringas e, nelle ultime tre date, il melodramma pucciniano di “Suor Angelica” e i concerti degli allievi del corso di violino di Salvatore Accardo e del corso di canto di Renato Bruson.
Maurizio Pollini, che suonerà martedi 18 agosto alle 21,15 al Teatro dei Rozzi, rappresenta l’evento assoluto di tutta la stagione chigiana. Biglietti prenotati da mesi, trovare ancora un posto sarebbe solo un colpo di fortuna, ma tentar non nuoce (info Chigiana: 0577/22091).
Considerato a ragione uno dei più grandi pianisti di sempre, Pollini sembrò legarsi a Chopin sin da quando, diciottenne, vinse a Varsavia il concorso internazionale titolato al compositore polacco. Da allora, pur suonando e dirigendo di tutto da Bach a Mozart, da Boulez a Stockhausen, nessuno gli è rimasto nel cuore quanto Frédéric Chopin, autore prediletto e sempre proposto in scaletta a cominciare dagli amati “Notturni”, che Pollini chiama “i suoi diari intimi”. Sarà che pochi, al pari di Chopin, sanno fedelmente rispecchiare in musica stati d’animo così diversi, così tanto decifrabili quanto a volte enigmatici, altre volte gioiosi, limpidi, sognanti, ed altre ancora malinconici e disperati. Una mescolanza reale, umana, che viene espressa puntualmente in ogni “pianoforte solo” chopiniano, si tratti di Mazurche o Scherzi, Ballate o Notturni, Preludi o Polacche, e finanche in quegli “Studi” che, scritti magari come sola esercitazione pianistica, sono di ascolto profondo e sublime.
Pollini, come Chopin, ama il dettaglio, la millimetrica precisione dei tempi e la pienezza qualitativa del suono. Nel caso ci leggesse, gli strapperemmo un sorriso accostandolo alla pignoleria di un Wile-e-Coyote dall’orecchio straordinario che, preparato un esplosivo che si scatenerà sull’ultima nota di una sonata di piano da parte del rivale Bip Bip, non appena questi sbaglierà ovviamente proprio quella nota sarà lui, il temerario Wile-e, a precipitarsi indignato a suonarla per esplodere poi egli stesso. (Come dire: la tecnica sopraffina, costi quel che costi, esige la perfezione assoluta…). Formatosi sotto la guida di Arturo Benedetti Michelangeli, Pollini ha fatto di questa peculiare caratteristica il suo biglietto da visita nel mondo. Nel ‘68 debutta negli Stati Uniti e nel ‘74 è in Giappone con la sua prima tournée dopo aver suonato Stravinskij e Prokofiev in una memorabile incisione per la Deutsche Grammophone, sua etichetta da allora ufficiale. Nell’85 si ripete col “Clavicembalo ben temperato” di Bach e, nell’87, coi concerti per piano di Beethoven con Abbado e la Filarmonica di Vienna ottenendo l’Erhenring, il prestigioso “Anello Onorario” donato solo ai più grandi. A Salisburgo, nel ‘95, elabora il “Progetto Pollini”, una panoramica di concerti incentrati sul vecchio e il nuovo del classico che poi amplierà nel 2000 con le “Prospettive Pollini”. Un anno prima vince a Venezia il premio “Una vita per la musica”, e di lì a poco con le “Variazioni Diabelli” di Beethoven si aggiudica il Diapason d’Or. Nel 2007 riceve il Grammy Award per la registrazione dei “Notturni” e, ospite da Fabio Fazio a “Che tempo che fa”, racconta di quanto i giovani lo abbiano acclamato al suo concerto in Santa Cecilia, attendendolo in auditorium per l’emozione di un autografo. In quella occasione Pollini ebbe a dire: ”Sì, qualcosa sta davvero cambiando. E’ una gioia vedere che i giovani cominciano ad apprezzare la musica d’arte, l’unica forma concreta di sopravvivenza all’incedere del tempo, l’unica ad affascinare e a farsi riscoprire come fosse nuova”. E i giovani, e soprattutto quanti hanno conosciuto Maurizio Pollini sia nei concerti senesi di questi anni che nel corso dei seminari tenuti in Chigiana nel 2001 e 2002, accorreranno come sempre in massa al Teatro dei Rozzi.
La scena, nell’attesa delle due arie di Beethoven che apriranno la serata, è consueta: sul palco il grande piano a coda, si scuote una tenda e si pensa sia il Maestro ma è invece il suo fedele accordatore. Una, due, tre volte si porta al piano e prova, tasta, aggiusta. Finalmente si spengono tutte le luci, tranne un cono proiettato sul pianoforte nero e lucido. E dal buio ecco il frac di Pollini, un piccolo cenno del capo e va a sedersi, immobile, le mani poggiate sui tasti con fare delicato, come a sfiorare i capelli di un bimbo, o dell’amata, o ad appoggiarle sulle spalle di un amico, un grande amico. Attimi in sospeso, con le orecchie attente allo scemare dell’ultimo applauso. Poi, al primo soffio di silenzio, la liberazione delle battute iniziali, lo sciogliersi delle dita, e la “Sonata in re minore op.31 n.2” che via via prenderà piede. Da subito intensa, ondulata, lacerante tanto nei toni mesti che negli attacchi improvvisi e tempestosi, con la sola intrusione di un piccolo tempo a marcetta. Quindi ancora passi solenni, tra calma e furia. La famosa “Sonata in fa minore op. 57” detta “Appassionata”, che seguirà subito dopo, si aprirà in un incedere di tocchettini alternati ad impennate struggenti. E’ più solare della precedente, decisamente “appassionante”, e culmina in un ticchettio ripetuto, una sorta di grandinare di note che sembrano gocce, e viceversa. Pare che l’ispirazione sia venuta a Beethoven tornando a casa dopo una passeggiata. Lo aspettava un allievo per la lezione ma il compositore, non vedendo l’ora di mettersi al piano, lo licenziò in tutta fretta. E compose. Ricordando, probabilmente, quanto gli aveva suggerito la pioggia su Bonn di pochi istanti prima. Il brano che si ascolterà dopo, la “Fantasia op. 17 in do maggiore” di Schumann è invece un pezzo lento, soffuso, fatto di colorazioni tenui, le nuvolette rosa che passano in mente e a volte anche quelle nere. Da tardo romantico (dunque più realista che sognatore), Schumann esprime una fantasia più interiore che fantasticata e roboante, un vissuto tutto suo che perlomeno lui ebbe il conforto di mettere in musica riuscendo a dare voce ai suoi pensieri. …A noi, certe volte, servirebbe immensamente una musica che accompagni i nostri frammenti di vita, ed è talmente bello avvertirne l’esigenza che non si sa perché ciò avvenga solo nei film… Ma pensiamo ora alle ultime pagine della serata polliniana, e… cos’altro di meglio che Chopin? Si comincia con “Quattro Mazurke dell’opera 33”. Chopin ne scrisse 59, di struttura meno libera delle “Ballate” ma ad esse a volte simili specialmente nella scansione dei temi e dei tempi. Arie comunque sempre legate alle romanze ritmate del folklore polacco, ma non per questo da considerare di facile esecuzione, anzi il loro intreccio tecnico è particolarmente complesso. La pagina successiva, quella dello “Scherzo in si bemolle minire op.3”, il n.2 se non andiamo errati, è sicuramente più vivace ed è anche tra gli “Scherzi” il più noto. Lo si ascolta con la sensazione di flussi e riflussi acquatici a tutta tastiera che, di colpo, si scatenano in gravi drammatici, fatti di brevi picchi sonori di raccordo che danno i brividi e ricordano certe stilettate di Beethoven. Le doti di Chopin del resto, sono universalmente definite “di grande espressività musicale e di esplosiva creatività”. Nessuno, quanto il suo alter ego Pollini, che le abbia mai sapute rendere come Chopin aveva veramente pensato.
