SIENA. Siamo vicini al Natale e quello del Giubileo che abbiamo vissuto è stato un anno veramente speciale e vorrei inviare a tutti voi il mio augurio, profondo e sincero, per un Natale sereno e un gioioso anno nuovo.
Tra pochi giorni, come sapete, cominceranno le cerimonie per la chiusura dell’Anno Santo. A Roma si inizierà il 25 dicembre con la chiusura della Porta Santa a S. Maria Maggiore, il 27 dicembre a San Giovanni in Laterano e il 28 dicembre a San Paolo fuori le mura, mentre quella in San Pietro verrà chiusa il 6 gennaio 2026, chiudendo ufficialmente il Giubileo.
Parliamo di chiusura, ma non lo è, anzi. Ci tengo a ribadirlo, come ho fatto tante volte, di fatto è un’apertura che continua. Non è un gioco di parole, ma aver vissuto l’anno giubilare con i suoi tanti momenti non vuol dire finire, ma continuare con una marcia in più. Si chiuderanno a Roma le Porte Sante, ma deve rimanere aperto il nostro cuore, il nostro atteggiamento, per continuare a essere testimoni di speranza, che cammino nelle vie di questo mondo.
Il senso dell’intero Giubileo è stato proprio questo: avviare un cammino di conversione, di fede e di testimonianza cristiana nella vita quotidiana.
E continuare a essere pellegrini di speranza significa tante cose: innanzitutto riportare il nostro essere chiesa al centro delle parrocchie, delle nostre comunità, quindi non sacrestie chiuse, ma luoghi di incontro e di accoglienza, di ascolto e di proposta soprattutto pensati e rivolti ai giovani. Poi ancora, restituire alle nostre parrocchie il ruolo di prima accoglienza dei bisogni che vediamo crescere intorno a noi, luoghi di raccolta di tante fragilità che sono sui nostri territori e che incontriamo nel nostro cammino, ripartire dalle Caritas parrocchiali per dare centralità al senso di essere comunità nel bene e anche combattendo, lì dove è necessario, il male. Rimettere al centro della nostra vita, la spiritualità, il Vangelo, tutto deve partire e muoversi da lì, nessuno si deve sentire solo e per questo dicevo che le nostre chiese devono essere sempre porte spalancate, nelle forme possibili, alla spiritualità, alla carità e alla solidarietà. San Giovanni Paolo II diceva che «la pace sociale esiste solo sulla giustizia e sul perdono». Due parole oggi difficili da declinare e da mettere in atto, ma che devono fare parte del nostro vocabolario quotidiano di ognuno di noi.
Allora la giustizia per i tanti popoli che purtroppo ancora soffrono la guerra, la morte, la fame, la violenza: dalla Terra Santa all’Ucraina, al Congo e altre zone del mondo, donne e uomini attendono segni di speranza. Non possiamo non chiederci allora cosa è stato per tutti loro il
Giubileo? Uno dei tanti eventi che si è svolto a Roma? No, non dev’essere questo e non è stato questo. È stato il segno che Gesù c’è, è vicino a loro e a tutti i drammi dell’esistenza umana, e che noi siamo con loro e non dovremo mai smettere mai di sperare e pregare con loro e per loro. Anche di fronte ai grandi blocchi economici, culturali e alle grandi superpotenze ci sentiamo impotenti, perché non sappiamo cosa fare. Ma io credo ognuno di noi possa fare tanto! Portando la speranza nella nostra vita e donandola a chi l’ha persa, piccole tessere di quel grande e splendido mosaico che è la vita vissuta nella misericordia.
Allora in occasione di queste feste natalizie proviamo a dare un piccolo segno di giustizia e di speranza a chi è accanto a voi, a chi è in difficoltà, è solo, è incompreso. Come amo dire, non facendo cose faraoniche, ma gesti piccoli, semplici.
Perdonate! Perdonate! Spesso durante le celebrazioni della Messa, soprattutto con i ragazzi, ricordo che il segno di pace non è tanto una stretta di mano, quanto un impegno a riconciliarci con i fratelli e sorelle con cui abbiamo litigato o discusso. Allora continuiamo a provarci, per dare un senso profondo a questo Giubileo, per fare in modo anche che la nostra comprensione e la nostra misericordia siano una forza inarrestabile e contagiosa per cambiare veramente il mondo che ci circonda.
Dove non c’è perdono ci saranno sempre più guerre e divisioni e il nostro mondo – credo ne siamo tutti convinti – non si può più permettere tutto questo. L’ho detto all’inizio del Giubileo: il primo pellegrinaggio giubilare è quello che ognuno di noi spero abbia fatto e continui a fare dentro di sé, guardandosi dentro e scoprendo quello che portiamo dentro.
L’eredità che ci deve lasciare il Giubileo è quella di sapere guardare negli occhi chi è fragile, chi è solo, in carcere, chi è ai margini. Non voltiamoci dall’altra parte!
Questo è il mio augurio per tutti voi, uomini, donne, giovani, adulti, anziani, bambini: saper guardare in faccia la sofferenza umana affrontandola a cuore aperto, senza paura, perché non siamo soli. Gesù resta nei nostri cuori sempre, basta lasciare aperta la porta.
Auguri di buon Natale a tutti voi ed un sereno anno nuovo.






