Giovanni Grasso porta a conoscenza quanto analizato da Roberto Petracca, esterno all'università

Riceviamo e pubblichimo un contributi sul dibattito sull’Università di Siena da parte de professore Giovanni Grasso de “Il senso della misura” blog tra i più seguiti da chi vuole saperne di più su quanto accade all’interno della comunità accademica.
Giovanni Grasso. Mentre il rettore Riccaboni nomina «un gruppo di lavoro col mandato di esaminare il vecchio piano di risanamento per capire cosa è stato fatto» e il direttore amministrativo Fabbro scopre l’acqua calda dichiarando – tra gli applausi dei presenti – che «il primo problema è la disorganizzazione degli uffici e la frammentazione delle responsabilità», Roberto Petracca, esterno all’università, fa magistralmente il punto della situazione per vedere cosa è cambiato rispetto a due anni fa.
Roberto Petracca. Ha ragione chi dice che per la politica politicante non c’è più spazio.
Dopo aver consultato “Il senso della misura” due anni fa il settimanale <Panorama scriveva che Pontignano aveva 41 dipendenti, spendeva 1,2 milioni l’anno e ne portava a casa meno di mezzo. Il rettore aveva otto segretarie personali ed il direttore amministrativo ne aveva tre. L’università aveva 135 bibliotecari per dieci biblioteche e per la comunicazione c’erano 24 dipendenti: sette online, quattro all’ufficio stampa, otto all’ufficio relazioni esterne e cinque all’ufficio informazioni per portatori di handicap. I dipendendi in fila che aspettavano di assumere l’incarico di produrre vapor vacuo per le caldaie della comunicazione erano probabilmente un’altra quarantina. L’università aveva 1350 amministrativi contro 1060 docenti di ruolo. Mentre la folla di dipendendi e precari s’ingrossava i dipendenti col sedere già incollato sulla poltrona usufruivano di consulenze interne retribuite fino a 20 mila euro annui per ottimizzare i flussi informativi, vigilare sulla sicurezza nei cantieri archeologici, smistare il traffico dei bibliotecari e coordinare i laboratori didattici di Follonica. L’Università aveva infatti sedi a Follonica, Colle di Val d’Elsa, San Giovanni Valdarno, Buonconvento, Arezzo e Grosseto. I comunisti e i sindacati erano propensi ad ammannire posti in cambio di voti e tessere; di conseguenza reclamavano una loro sede persino Radi, San Lorenzo a Merse, i pionieri di San Gusmè e i pronipoti dei 16 senesi che il 28 luglio del 1877 si imbarcarono a Genova sulla nave a vapore “Nuestra Señora del Pilar” per emigrare in Uruguay facendo poi fortuna a Piedras Blancas de Montevideo.
Mentre il nonno fumava il suo toscanello accanto al caminetto, gli studenti calavano di tremila unità, la mamma calava la pasta, fuori pioveva a dirotto, le allodole si spulciavano nel nido, Giurisprudenza inaugurava un bar grande quanto un campo da basket e il sole basso sull’orizzonte filtrava sotto le nuvole scure, riverberando raggi di fuoco sui colori vividi delle foglie autunnali cariche di pioggia. Nel tepore della cucina il vapore della pasta che la mamma scolava appannò i vetri della finestra e Bastiano da Monteriggioni ci scrisse sopra “merda!” per sfuggire alla struggente melanconia del panorama e tornare col pensiero alla scadenza semestrale del suo contratto di ricerca. Per la sede di Arezzo si spendevano 15 milioni annui per portarne a casa quattro. L’università pagava 176 mila euro l’anno per il primo piano di un palazzo con vista su piazza del Campo che permetteva a 50 invitati dell’ateneo di ammirare il Palio in santa pace. Trenta mila euro li spendeva per un appartamento che ospitava un centro di studi antropologici. Quindici mila per un alloggio che ospitava il centro culturale Siena-Toronto. Trentacinque mila per l’affitto dei magazzini di Monteroni contenenti le carte di un archivio sgomberato per far posto a “Il caffè dell’artista”. Novantamila euro l’anno venivano spesi per una radio universitaria che nessuno mai sentì suonare.
Come siamo messi a due anni di distanza? Come siamo messi con un ministro dell’economia che taglia fondi alla ricerca e alla cultura? Come siamo messi con un ministro dell’istruzione che non potendo opporsi decide di chiudere i battenti delle università invece di dichiararsi impotente e dimettersi? Sono stati alienati degli immobili per mettere una pezza al buco dei debiti, ma come siamo messi con le spese correnti? Quante sedi esterne che perdevano soldi sono state chiuse? Quelli di Piedras Blancas consumano ancora soldi? Bastiano da Monteriggioni potrà metter su famiglia o dovrà stare ancora sotto le sottane della mamma per altri dieci anni? Quanti soldi per affitti e buttanate varie si spendono ancora? Le contrade sono state avvertite della situazione? Le contrade li sanno i rischi che corrono i contradaioli, i proprietari di case e il centro storico? O pensano indisturbate ai minimasgalani e ai tabernacoli? A Siena le contrade sono importanti! Se salvarono l’università una volta è capace che possano salvarla un’altra volta. Purché si incazzino civilmente com’è nella loro tradizione. E prima che sia troppo tardi e producano un novello Barbicone com’è pure nella loro tradizione. Perché se si aspettano i tempi biblici delle composizioni, scomposizioni e ricomposizioni politiche qua si fa notte fonda. Se è vero com’è vero che la Lega Nord e le Liste Civiche non sono state capaci di buttare nella pattumiera manco chi ha prodotto un grosso buco di 230 milioni in una piccola università.