di Fabrizio Pinzuti
CAMPOBASSO. Con sentenza Sez. I, 6 giugno 2016, n. 223, il T.A.R. del Molise ha ribadito che nel nostro Ordinamento l’acqua è un bene pubblico e come tale è fondamentalmente destinato all’uso collettivo. Già il R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, il cosiddetto Testo Unico sulle leggi sanitarie, istituiva l’obbligo, a carico dei Comuni, singoli o organizzati in consorzi volontari, di fornire acque pure, con ciò di fatto rendendo l’approvvigionamento idrico e il servizio idrico universale (a favore cioè di tutti i cittadini) un vero obbligo di legge. Dopo di ciò, la cosiddetta legge “Galli” (n. 36 del 5 gennaio 1994), all’art. 1 ribadiva il principio per cui “le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà”. Infine, l’art. 97 del Testo Unico sull’ambiente n. 152/2006 ha previsto, in via generale, che “le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo il criterio di solidarietà”. Sebbene possa esservi un utilizzo economico dell’acqua, l’uso collettivo prevale in ogni caso, come da giurisprudenza costante (Corte Cost. n. 64/2014; Corte cost. n. 259/1996; Cons. Stato, Sez. III, 16 dicembre, n. 1837). La stessa Corte costituzionale e la giurisprudenza amministrativa non hanno mancato di evidenziare, in alcuni loro pronunciamenti, che la risorsa idrica è prioritariamente un bene comune, anche se di esso può essere ammesso un utilizzo economico. Dal che si evince che l’uso collettivo dell’acqua pubblica prevale sull’uso privato.
Dalla sentenza si possono trarre spunti interessanti sotto il profilo del diritto, più esattamente vi si afferma che non esistono diritti acquisiti se non sono sostenuti da una reale necessità e da una conseguente forza giuridica. Nella fattispecie un’azienda, dedita all’imbottigliamento e al commercio di acqua minerale già titolare di due concessioni, ricorreva al Giudice amministrativo perché si sarebbe vista dimezzata da un provvedimento della Regione Molise, che riconosceva una di queste concessioni a un Comune molisano per alimentare il proprio acquedotto, la propria capacità produttiva e il profitto economico derivanti dalla captazione delle acque minerali. La ricorrente sosteneva che il Comune non avrebbe titolo per derivare acqua potabile da una sorgente per alimentare l’acquedotto e di avere un titolo poziore rispetto al Comune, in ragione della precedenza, in ordine temporale, della sua concessione (per il principio prior in tempore, potior in jure). Il T.A.R. del Molise ha dichiarato invece infondata l’applicazione di questo principio perché in contrasto con il principio prevalente dell’utilizzo pubblico su quello privato sancito dalle sentenze e dai pronunciamenti ricordati.