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Direttore responsabile Raffaella Zelia Ruscitto
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Cronache dal palazzo (di giustizia)

Di scena Giovanni Grasso, i contradaioli e Sandra Pelosi

SIENA. (r. r.) Si è conclusa la mattina del 4 dicembre la vicenda giudiziaria che vedeva il professor Giovanni Grasso chiamato in causa per il reato di diffamazione dall’ex rettore Angelo Riccaboni. Il professore è stato giudicato “Colpevole del reato a lui ascritto limitatamente alle espressioni “interdizioni del professor Riccaboni dalla carica di Rettore debba ritenersi una misura cautelare necessaria considerando la reiterazione di abusi, l’inquinamento probatorio in atto, ed impreparazione ed insipienza” ed è stato condannato alla pena di mesi quattro oltre al pagamento delle spese processuali”. Pena sospesa e non menzione. Il professor Grasso è stato, inoltre condannato al risarcimento dei danni patiti dalla costituita parte civile, in via equitativa con 5 mila euro e al pagamento della costituzione e difesa di Parte Civile per poco più di 6 mila euro.

Infine il professore, ideatore e gestore del blog di dibattito universitario “Il senso della misura”, è stato assolto in merito alle espressioni quali “dissipazione delle scarse risorse per attività non istituzionali” o per “l’illegittimità (e in alcuni casi l’illegalità) della maggior parte dei provvedimenti adottati” o, ancora, “azioni truffaldine inerenti l’utenza sostenibile” o “organi di governo esautorati dalle loro prerogative sono tutti elementi con i quali il Rettore, privo della piena legittimità a esercitare le sue funzioni (perchè eletto e nominato nella carica in modo irregolare) sta affossando l’Università di Siena”. Assolto perchè il fatto non sussiste.

A leggere bene il dispositivo della sentenza si resta interdetti. Non si capisce bene come possano “stare insieme” la condanna per aver parlato di “reiterazione di abusi” con l’assoluzione per aver dichiarato l’esistenza di “illegittimità (e in alcuni casi l’illegalità) della maggior parte dei provvedimenti adottati”, per citare solo una delle frasi reputate dal giudice non penalmente punibili.

Salvo peccare di “impreparazione”, non essendo giudici e neppure dottori in Giurisprudenza, resta difficile, da comuni mortali, comprendere i motivi della condanna del professor Grasso. Resta difficile capire perchè, ancora una volta, nella storia recente di Siena, a pagare siano quelli (pochi) che hanno trovato – spesso isolati – il coraggio di parlare, di raccontare, di mettere in evidenza fatti, vicende, che a loro modo di vedere, non erano consoni all’agire corretto. E’ come se, ma forse questo sentimento è dettato dallo sconforto momentaneo, si volesse negare il diritto di opinione, esercitato nei confronti di un personaggio pubblico; un libero giudizio sull’operato strettamente professionale di un individuo che ricopre una carica istituzionale – con tanto di legittime motivazioni che hanno portato a quel giudizio.  Nulla di personale, di privato, ovviamente. 

“Ma chi me lo fa fare?” potrebbe dire (e forse ha detto) un quasivoglia giornalista o libero pensatore che, di fronte ad una verità scomoda, si trova (o si è trovato) a dover temere gli strali del personaggio pubblico chiamato a rispondere, direttamente o indirettamente, di un comportamento quantomeno discutibile. Il “Sistema Siena” ha giovato di questo insano meccanismo: ha adulato, assoldato, inglobato… ed ha scoraggiato, impaurito, calpestato, isolato chi non cedeva alle lusinghe. 

Con questo non si vuole creare un collegamento con la vicenda in questione e il divenuto ben noto “Sistema Siena”. Piuttosto è la logica che lo ha generato che appare sorprendentemente discendente da una distorta visione dei rapporti, delle relazioni, delle critiche, della gestione della cosa pubblica, della posizione tra chi amministra e chi è amministrato. Secondo questa logica il cane da guardia della democrazia (giornalista o semplice cittadino), diventa il cucciolo da salotto del sistema o, peggio, il frustrato senza speranza che va ad ingrossare le fila dei tanti ignavi che trascinano una vita lontano il più possibile dai guai. 

La vicenda del professor Giovanni Grasso appare l’ennesima beffa a cui Siena assiste. La immensa mole di documenti prodotti dall’imputato sono serviti ad assolverlo da una serie di “colpe” mossegli dall’ex Rettore Riccaboni, ma non sono bastate, incredibilmente, a lasciarlo immune da colpe. Lui deve pagare. Nessun merito per il lavoro fatto in tanti anni, informando su quanto accadeva all’interno dell’antica Università di Siena. Nessun ad aspettare fuori l’esito del procedimento. Nessun senese a ringraziarlo per aver mantenuto per anni uno spirito critico, non servile, opposto al “Sistema”.

Assolto per aver parlato di  “dissipazione delle scarse risorse per attività non istituzionali” o “l’illegittimità (e in alcuni casi l’illegalità) della maggior parte dei provvedimenti adottati” o, ancora, “azioni truffaldine inerenti l’utenza sostenibile” ma reo di aver usato termini come “insipiente” o “impreparato”.  Lui,  Giovanni Grasso, una colpa ce l’ha, quando non è stata attribuita alcuna colpa a chi ha ridotto l’Università in brandelli, facendole rasentare il fallimento.

Intanto, lo stesso giorno, nello stesso Tribunale di Siena, ha avuto inizio il processo ai 68 contradaioli di Nicchio, Onda, Torre e Valdimontone, per i fatti avvenuto dopo il palio d’agosto del 2015. Tanti i senesi (e contradaioli) che si sono dati appuntamento davanti al Palazzo di Giustizia per portare la loro solidarietà agli imputati. La volontà dei Priori delle quattro contrade è stata rispettata: nessuna confusione, rispetto e massima civilità. Così è stato, a detta dei presenti. Alla fine dell’udienza 15 contradaioli hanno scelto di avvalersi del rito abbreviato; 8 hanno patteggiato; 2 hanno scelto la messa alla prova ed i restanti si sono dati altro tempo per decidere quale strada percorrere. 

Gli avvocati di alcuni dei contradaioli – dall’avvocato De Mossi (impegnato anche nella difesa di Giovanni Grasso), all’avvocato Pisillo – hanno chiarito che l’udienza in corso era centrata soprattutto su aspetti tecnici e che entrambi non concordavano con il pm che aveva escluso la “rilevanza sociale” della vicenda. Il prossimo appuntamento che riguarderà questa vicenda è stato fissato per il 31 gennaio.

E infine, oggi, una donna, malata e profondamente sfortunata, ha tentato di togliersi la vita, sempre nello stesso tribunale di Siena. La sua casa andata all’asta per pochi soldi, pare. L’ingiustizia dell’esistenza a volta non trova contrappasso o un qualche risarcimento, nella legge. La speranza è che le persone che si sono mosse, spontaneamente, per sostenere la signora Sandra nel difficile momento della sua vita, non si arrendano, non si lascino prendere dalla quotidianità e sappiano mantenere salda la speranza.

Esercizio che siamo chiamati a fare tutti noi.

 

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