
di Pierluigi Piccini
SIENA. A Siena lo chiamano Rosario. Alcuni ricordano il suo vero nome, Islam Mollah Nurul, altri lo hanno conosciuto come Saminur. Ma per tutti è Rosario, il primo venditore di rose nei ristoranti della città. Con passo gentile, mani delicate e rispetto, offriva mazzetti di fiori confezionati con cura, a volte nei colori delle contrade: un gesto semplice, ma carico di poesia, che ha lasciato il segno nella memoria collettiva.
Rosario nasce nel 1972 in Bangladesh. Dopo aver completato gli studi, arriva in Italia nel 1996. Inizia a lavorare in fabbrica, prima nella provincia di Arezzo, poi a Siena, dove si trasferisce nel 2000. È qui che prende forma il suo sogno: costruire una vita dignitosa e, un giorno, riunire tutta la sua famiglia. Ma non “in Italia” in senso generico – il suo desiderio ha un nome preciso, scolpito nel cuore: Siena.
Nel 2019 ottiene la cittadinanza italiana. Un traguardo importante, ma non sufficiente a sciogliere i nodi di una burocrazia spesso cieca davanti alle storie, ai sentimenti, ai sacrifici. I guadagni derivati dalla vendita delle rose e da un piccolo negozio di oggetti etnici in via San Pietro non bastano per affrontare i costi, le pratiche, i requisiti. Gli anni passano, e i figli crescono lontani.
Nel 2016, Rosario prende una decisione difficile: parte per il Canada. Lavora come aiuto cuoco nei ristoranti, risparmia, lotta ogni giorno contro la nostalgia. Quando rientra a Siena, nel 2023, il desiderio di ricongiungersi alla famiglia è più forte che mai. Inizia da capo: cerca una casa con regolare contratto d’affitto, lavora dove può, si rimbocca le maniche come sempre ha fatto. E trova la forza di sperare ancora.
Le difficoltà, però, non sono finite. Il figlio maggiore, ormai maggiorenne, si vede negare il visto per raggiungerlo. Arrivano prima la moglie e il figlio più giovane, Onu, che trova lavoro nella ristorazione e inizia a integrarsi nella città che suo padre ama da trent’anni. Rosario non si rassegna. Con l’aiuto di un avvocato di Arezzo, avvia una causa contro il Ministero degli Esteri. Conservava ogni documento, ogni ricevuta, ogni prova di avere sempre sostenuto economicamente anche il figlio maggiore, pur dopo la maggiore età, per garantirgli gli studi e un futuro.
Alla fine, vince. Perché la sua storia era vera, solida, luminosa. Perché non aveva mai smesso di credere. Dopo quasi trent’anni di attese, sacrifici e battaglie silenziose, il sogno si è realizzato: da pochi giorni anche Tonu è arrivato a Siena. La famiglia è finalmente riunita.
Rosario non è soltanto il venditore di rose. È un cittadino di Siena. E la sua storia, adesso, appartiene a tutti noi.
Ho sentito il bisogno di raccontare questa vicenda perché, in un tempo in cui le parole “integrazione” e “migrazione” sono spesso svuotate o deformate, qui abbiamo un esempio limpido di cosa significhi davvero mettere radici, lottare senza rumore, costruire un’appartenenza con pazienza e rispetto.
Questa è una storia che parla di amore, ostinazione e giustizia. E, come tutte le storie giuste, andava raccontata.
Sì, ce ne sono. Storie spesso silenziose, fatte di piccoli gesti quotidiani e grandi sacrifici. Persone che scelgono un luogo, ci restano, lavorano, costruiscono legami. E che, giorno dopo giorno, diventano parte della vita di una città.