
SIENA. In occasione della giornata mondiale del medico di famiglia Ipsos ha svolto un’indagine sulle opinioni degli italiani su questi professionisti e sul loro rapporto con la sanità pubblica. I risultati? Peggiora purtroppo la percentuale di chi ha rinunciato alle cure più di una volta per i tempi di attesa, ma quelli di accesso al medico di famiglia vengono definiti bassi per il 73% del campione, mentre il 76% si dichiara soddisfatto della vicinanza dello studio medico alla propria abitazione.
Il dato più allarmante dell’indagine è, come detto, la percentuale di chi ha rinunciato alle cure per i lunghi tempi di attesa: quattro italiani su cinque lo hanno fatto nel 2025, con un +15% rispetto al 2024 e punte dell’84% per gli over 60 e dell’86% tra le fasce in difficoltà economica. Chi rinuncia alle cure, poi, si rivolge al privato nell’84% dei casi, ma in un ulteriore 13% rinuncia del tutto a curarsi. Un dato che non solo sottolinea quanto la sanità pubblica sia in affanno per esami diagnostici e consulti specialistici, ma anche quanto si stia allargando lo scarto tra chi può permettersi di curarsi e chi no. L’indagine Ipsos non presenta però solo dati negativi, perché per gli italiani consultati i tempi di attesa per un appuntamento dal proprio medico di famiglia sono ben più contenuti: il 73% viene ricevuto entro una settimana, l’87% entro due settimane e solo il 4% oltre le due settimane. E viste le enormi difficoltà nelle quali si trova la medicina generale, con sempre meno professionisti sui territori e con un numero sempre maggiore di pazienti a testa, si tratta di un quadro tutto sommato lusinghiero.
Un altro dato non secondario, poi, è quello relativo a quei cittadini che hanno rinunciato a curarsi con il Sistema Sanitario Nazionale perché la prestazione di cui avevano bisogno non veniva erogata dove vivono: è accaduto più di una volta al 53% degli italiani, contro il 44% rilevato nel 2024. Al contrario, il 78% dei cittadini afferma di essere soddisfatto per la vicinanza dello studio del proprio medico, distante non più di 2 chilometri nel 63% dei casi e raggiungibile a piedi dal 41% del campione, in particolare dal 54% nel Sud Italia, dove il 77% della popolazione risiede entro 2 chilometri dallo studio del professionista.
La rete degli studi di medici di famiglia sui territori italiani, composta da decine di migliaia di professionisti, è quindi non solo un valore da salvaguardare ma anche una possibile leva per massimizzare l’efficacia del Servizio Sanitario Nazionale. Sarebbe infatti possibile sfruttare gli studi medici come Case di Comunità “spoke”, lasciando a hub e ospedali l’offerta di prestazioni multiprofessionali e integrando la diagnostica di primo livello nella medicina territoriale. Per farlo, però, è fondamentale che la professione venga resa nuovamente attrattiva con risorse e incentivi, o i giovani neolaureati continueranno a non sceglierla. A tutto discapito dei cittadini. (Fonte Medici 2000)