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Direttore responsabile Raffaella Zelia Ruscitto
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Festival della salute: gli argomenti del 14 novembre

SIENA. Anche oggi (14 novembre importanti temi affrontati al Festival della salute.

Si celebra oggi la “Giornata regionale della donazione di sangue” : “Il dono del sangue, come ricorda l’Avis, è un’esperienza di vera solidarietà, di notevole valore civico ed etico, un gesto di grande generosità, che permette di salvare tante vite umane”. Concetto ribadito dall’assessore alla sanità del Comune di Siena, Francesca Appolloni, nel suo intervento diretto al Festival e in videomessaggio: “Il mio grazie va a voi che state donando, avete donato e donerete. Un gesto – dice Appolloni – dal grande valore civico che regala la vita e la speranza. Il ringraziamento va a tutte le associazioni che ogni giorno sono impegnate in questa importante attività ed in particolare ai Gruppi donatori delle Contrade di Siena che ogni anno permettono di raggiungere numeri altissimi di donazioni.
Donare è bello, è un valore che dà un senso alla nostra vita e ci consente di essere ogni giorno migliori” conclude l’assessore alla sanità.

“Il mio impegno per far crescere il sistema trasfusionale toscano”

Un impegno formale per sviluppare ulteriormente il sistema trasfusionale toscano. Chi mi ha preceduto ha fatto bene, ma crescere ancora è importante. Lo faremo con l’informatizzazione, con il completamento delle tre sedi della trasfusione toscane, con la formazione del personale infermieristico, con il centro regionale per la lavorazione del plasma e con un accresciuto contatto con tutte le associazioni del volontariato che operano nel mondo della trasfusione. Mi attendo infine che da questo confronto che state realizzando al Festival della Salute possano arrivare ulteriori spunti per il lavoro del mio assessorato”.

E’ l’intervento-proclama dell’assessore alla Sanità della Toscana Simone Bezzini che ha portato il suo saluto alla trasmissione di Gaetano Gennai dell’Area Comunicazione CRS Regione Toscana. Bezzini si è definito estremamente responsabilizzato dal proprio ruolo e ha nuovamente ringraziato i professionisti e tutto il personale del Servizio Sanitario Regionale per come stanno affrontando l’emergenza, sottolineando soprattutto l’impegno del comparto “Sangue” nella giornata regionale dedicata e ribadendo il fatto che la Regione Toscana si impegna per fronteggiare il virus, ma tiene costantemente un occhio a quello che sarà il futuro sviluppo del Sistema Sanitario Regionale.

“Andare a donare sangue è un ottimo motivo per uscire di casa”

“Sappiamo che dal plasma iperimmune dipende largamente l’apporto di farmaci salvavita nei nostri ospedali – afferma il dottor Vincenzo De Angelis, intervenuto dalla sua casa di Trieste al Festival della Salite di Siena -; in particolare in Toscana, perché tratta uno dei centri più importanti per immunodeficienze secondarie, uno dei principali utilizzatori di immunoglobine.

“Il Covid dal 1 gennaio al 30 ottobre ha provocato un calo su scala nazionale di raccolta di plasma di circa il 3%, ma il dato più preoccupante è quello di ottobre 2020, che ha fatto registrare un 19% di plasma in meno rispetto allo stesso mese del 2019. Se invece parliamo di plasma convalescente, ovvero guarito da Covid, dobbiamo ricordare che può essere ammesso alla donazione, solo quello di pazienti idonei, escludendo così una certa categoria di persone. Mi sento di dire – continua il Direttore del Centro Nazionale Sangue – che fortunatamente non manca sangue immune e questo è positivo. Ma va fatto capire ai cittadini che la raccolta di sangue nel Paese nel complesso sta calando e questo ci preoccupa. Dobbiamo incentivare le persone ad uscire di casa per venire a donare, assicurando condizioni di totale sicurezza.”

“Donare il sangue è una priorità costante”

Donare sangue salva vite. In tempo di pace ed in tempo di pandemia, come dimostrato ampiamente in questi mesi in cui la donazione è stata al centro di vari percorsi terapeutici.

“Ringrazio la dottoressa Carli per il ruolo del Centro Regionale Sangue – commenta la dottoressa Simona Dei, direttore Sanitario dell’Asl Sud Est Toscana – fondamentale sempre, ma in particolar modo adesso con il sangue che è servito per creare uno dei farmaci più potenti come il plasma iperimmune. Se non ci fosse stata donazione non avremmo avuto questa importante arma terapeutica. Ecco perché è fondamentale tenere alta l’attenzione sulla donazione e garantirla in tutti gli ospedali, anche quelli periferici. Perché spesso ci dobbiamo scontrare con la realtà dei numeri e delle risorse umane, di colleghi che preferiscono aziende ospedaliere universitarie per sfide più interessanti e così luoghi più periferici rimangono privi di risorse. Occorre ridisegnare il servizio e trovare modalità organizzative diverse perché con questa modalità, non riusciremo a dare quelle risposte che abbiamo sempre dato. Noi vogliamo continuare a farlo ma è importante confrontarsi sul tema della sostenibilità”.

“Abbiamo imparato ad usare più tecnologia anche per la donazione del sangue”

Il Covid ha modificato abitudini consolidate e capisaldi dell’organizzazione sanitaria, richiedendo notevoli sforzi a chi si è trovato a dover gestire questa situazione in un momento emergenziale.

“Il primo problema – commenta al Festival della Salute 2020 la dottoressa Simona Carli, direttore del Centro Regionale Sangue –  è stato dare risposte alle necessità di sangue che già c’erano prima della pandemia, a cui si sono aggiunte quelle del durante e del dopo. Eravamo pronti a gestire un crollo delle donazioni che per fortuna non c’è stato. Possiamo contare su un elevato numero di donatori periodici e questo ci ha permesso di reggere la botta iniziale che inevitabilmente c’è stata. Ma la risposta dei nostri donatori è stata imponente. Un secondo problema è stato infatti poi la gestione del grande afflusso di nuovi donatori che si sono mossi dopo la prima ondata. Abbiamo dovuto spiegare di rinviare le donazioni per poterle meglio gestire in base al fabbisogno di sangue. Abbiamo imparato a usare la tecnologia per effettuare prenotazioni online e per gestire le scorte strategiche, che sono molto utili. Diciamo che tra i vari aspetti negativi del covid, quello dell’implemento dell’uso della tecnologia è un aspetto positivo che ha portato vantaggi che ci ritroveremo in futuro”.

“Pur con la paura, le scorte sangue non sono mai mancate”

“La paura e l’incertezza hanno caratterizzato all’inizio il lavoro degli operatore dell’Asl Sud Est impegnati nel sistema trasfusionale. Ma le scorte di sangue non sono mai mancate”.

Pietro Pantone, direttore del Simt Grosseto e direttore dell’unità operativa complessa di Immunoematologia e Trasfusione del sangue del presidio ospedaliero ”Ospedali riuniti aretini” si è prestato a raccontare ieri al Festival della Salute l’attualità recente vissuta dagli operatori sanitari della Sud Est.

“Siamo stati costretti – ha detto – a operare una profonda riorganizzazione della nostra attività, mentre il virus si è scatenato. Ci sono stati attimi di panico e smarrimento. Ne siano esempio le protezioni personali che non eravamo preparati ad usare, le mascherine che non erano idonee o mancavano e quando sono arrivate, giustamente, sono state all’inizio destinate ai Pronti Soccorso e ai Reparti Covid. Ma non ci siamo mai sentiti; sia le strutture regionali di riferimento che le direzioni ospedaliere ci hanno aiutato a comprendere e adeguarci”.

“La riorganizzazione è stata comunque rapida – conclude Pantone –; ha riguardato soprattutto il settore emotrasfusionale che ha dovuto anche cercare propri check-point ove non utilizzabili quelli degli ospedali per evitare assembramenti. Importante è stato il lavoro fatto insieme alle associazioni di volontariato che ci supportano con il meccanismo delle prenotazioni e incentivano il reclutamento di donatori. Abbiamo tantissimi aspiranti: è fantastico il popolo dei donatori di sangue”.

Il dottor Pantone ha infine rimarcato che gli attuali deficit rimanenti non dipendono da scelte aziendali ma dall’assoluta carenza di operatori sanitari, una categoria che era già provata prima del Covid, che si vorrebbe assumere ma non sono reperibili sul mercato del lavoro.

La risposta di Siena Soccorso all’emergenza sanitaria 

Oltre ai medici e agli infermieri, anche le associazioni di volontariato sono state in prima linea nella lotta al Covid-19. Una di queste è Siena Soccorso, che raggruppa le 43 Misericordie provinciali e che ha dovuto far fronte a difficoltà mai affrontate prima.

“Il nostro lavoro sia durante il lockdown della scorsa primavera sia oggi è complesso, perché ci siamo trovati a dover fornire assistenza nelle case o a prendere persone senza sapere cosa ci aspettava” ha spiegato Luciano Corti nell’ambito della rubrica “Le Associazioni del territorio – Le Associazioni in emergenza Covid-19” a cura del Cesvot Siena al Festival della Salute 2020 in corso a Siena in modalità streaming fino al 15 novembre.

“Nella prima fase dell’emergenza, inoltre, abbiamo dovuto far fronte alle difficoltà legate alla mancanza di dispositivi di protezione individuale come mascherine, guanti o camici. Chiaramente la paura è tanta ancora oggi, perché i problemi sono tanti e riguardano anche aspetti emotivi dei nostri volontari. C’è chi lavora e magari viene mal visto in azienda per la sua attività di volontariato, ma anche in famiglia può non essere vista di buon occhio per paura del contagio” ha aggiunto Corti.

“Dobbiamo poi gestire richieste di intervento non solo per urgenze legate al Covid-19 ma anche per gli altri malati e una problematica evidente è quella dell’accesso ai pronto soccorso – ha concluso Corti -. Abbiamo riscontrato casi di ambulanze e volontari rimasti in attesa per tutta la notte e questo crea disagio e perplessità: stiamo cercando in tutti i modi di riuscire a risolvere questi problemi che riguardano non solo Siena, ma tutta Italia, e speriamo di riuscirci facendo squadra”.

Cibo medicina per il corpo: sano e vicino le parole chiave

Da migliaia di anni cibo e salute sono legati a doppio filo. Ippocrate, padre della medicina, riteneva che il cibo di cui ci nutriamo può essere curativo. Eppure, oggi in molti hanno dimenticato quanto è importante mangiare bene per il nostro corpo. Come ha certificato l’Organizzazione Mondiale della Sanità, “la nutrizione è un’importante causa determinante di malattie croniche” e il cibo può essere efficace sia in termini di prevenzione, sia per la guarigione.
 Ma dove trovare prodotti sani, quegli alimenti alleati del nostro organismo? È più facile di quanto si pensi, come ha spiegato lo chef internazionale Fabio Picchi, ospite al Festival della Salute 2020.

“Prima un discorso preliminare: mangiamo troppi prodotti alimentari e poco cibo genuino. Ma non tutto ciò che è confezionato è cattivo, bisogna saper leggere le etichette – afferma Picchi -. Come fare per mangiare bene? Bisogna riscoprire i sapori di una volta, la natura e ciò che ci offre il territorio. Dobbiamo tornare o iniziare a frequentare contadini, pastori, allevatori”.
 I vantaggi sono innumerevoli: “Primo, è divertente. Secondo – aggiunge lo chef – è meno caro e terzo, si contribuisce ad un atto di salvaguardia del Pianeta e della nostra salute. Ricordiamoci sempre che se mangiassimo bene si dimezzerebbe la spesa sanitaria. Faccio un esempio legato alla  pandemia: sappiamo che assumere vitamina D, anche attraverso il cibo, aiuta il nostro sistema immunitario proteggendoci dall’aggressione dai virus come il Covid-19. Bene, a mio parere nessuno ne ha parlato a sufficienza durante l’emergenza perdendosi in ben altri discorsi”.

Ma quali alimenti consiglia lo chef per stare bene e aiutare il nostro organismo? Niente di sofisticato: “La ricetta più semplice per stare bene è pane, burro e acciughe.  E mangiate pure una schiacciata con la salsiccia di casa, pecorino e pere, il pesce povero. Il corpo e la mentre vi ringrazieranno”.

La pandemia, la didattica a distanza e l’isolamento di studenti e insegnanti

Niente sarà più come prima, quando l’emergenza sanitaria legata alla pandemia da Covid-19 finirà, è uno slogan che abbiamo sentito pronunciare più volte in questi mesi. Intanto, però, alcuni cambiamenti sono già in atto e sono stati accelerati proprio dall’emergenza. Uno di questi è il ricorso alla didattica a distanza: in questa seconda ondata ha coinvolto, per il momento, prevalentemente le scuole secondarie di secondo grado ma la scorsa primavera ha riguardato tutto il mondo scolastico. Studenti e insegnanti si sono ritrovati improvvisamente da soli, senza quella quotidianità fatta di contatti diretti in classe, ed è emerso con forza il problema dell’isolamento.

“Un problema morale che possiamo affrontare con provvedimenti di vario genere purché non siano occasionali. La sensibilità verso questa tematica deve espandersi” secondo Alessandro Pagnini, docente di Storia della filosofia contemporanea e presidente di Uniser Polo Pistoia, nel corso del talk show “Il male della solitudine” al Festival della Salute 2020, in corso a Siena in modalità streaming fino al 15 novembre.

“In ambito sanitario – prosegue – abbiamo visto idee interessanti per mettere in contatto i degenti con i propri cari, come ad esempio protesi di plastica per consentire di abbracciarsi. La solitudine infatti è un problema di salute mentale e questa emergenza sanitaria ci ha presentato aspetti che dovrebbero essere affrontati in maniera approfondita e serie. In ambito scolastico, l’online può surrogare in maniera soddisfacente l’offline e colmare le difficoltà e l’isolamento degli studenti e degli insegnanti? Dobbiamo dare subito risposte a queste domande e credo che il MIUR non abbia avuto coraggio sufficiente per affrontare questa difficoltà”.

“La solitudine – spiega ancora Pagnini – può avere anche risvolti virtuosi ma solo se valorizzata in un certo modo. Invece è mancato il coraggio di tentare qualcosa di nuovo e rivoluzionario: i corpi non possono essere sostituiti, e su questo siamo tutti d’accordo, ma non credo che i governi abbiano approfittato di questa occasione per sperimentare modalità nuove. Bisogna tornare, anche nell’ambito della formazione permanente, a dare un senso positivo alla solitudine. Solo così si realizza una vita degna di essere vissuta nell’acquisizione di conoscenze, come avrebbero detto i socratici, senza surrogati inadeguati: penso ai post sui social o al download di documenti dal web”.

Il lockdown e le conseguenze sottovalutate dell’isolamento

Stop alle visite ai parenti ricoverati in ospedale. Divieto di andare a trovare i parenti ricoverati nelle case di riposo. Due conseguenze dell’emergenza sanitaria che stiamo vivendo a causa della pandemia da Covid-19 e che hanno configurato una sorta di isolamento forzato.

Un aspetto che, secondo quanto emerso nel corso del talk show “Il male della solitudine” è stato sottovalutato dai decisori politici. Marco Geddes da Filicaia è stato direttore sanitario del Presidio Ospedaliero Firenze centro dell’Azienda sanitaria di Firenze e dell’Istituto Nazionale Tumori di Genova, vice presidente del Consiglio Superiore di Sanità, assessore alla Sanità e servizi sociali del Comune di Firenze, e sulla questione ha un’idea ben precisa.

“Perché l’isolamento e la solitudine possono essere di due tipologie. C’è la solitudine che l’individuo sceglie autonomamente, magari perché ha bisogno di un momento di riflessione, e poi c’è quella imposta dalle istituzioni, come con i provvedimenti messi in atto per l’emergenza Covid. La si trova oggi nelle RSA, così come nei ricoveri ordinari e in quelli per Covid.19. Ha ragioni radicate, obiettive, che sono quelle di prevenire il rischio di contagio attraverso contatti con parenti e amici da parte dei ricoverati e degli operatori sanitari. Ma si porta dietro conseguenza drammatiche” spiega Geddes.

“L’isolamento nella gestione dell’emergenza sanitaria è stato considerato un male minore ma ha risvolti drammatici e si traduce in situazioni di grande sofferenza per la persona assistita e per i suoi cari. Mi ha sorpreso la disattenzione verso questo tipo aspetto perché è un problema enorme – prosegue. Capisco che nelle RSA assistiamo a situazioni critiche ma l’incapacità in dieci mesi di allestire uno o più punti per le visite è stata una grave mancanza. Sarebbe bastato agire come in ambiti carcerari o ospedalieri, attraverso stanze colloqui con separazione a vetro che richiedono modesti interventi, dal costo limitato, e si realizzano nel giro di 1-2 mesi”.

Per l’ex vice presidente del Consiglio Superiore di Sanità, dunque, “le norme costrittive devono essere utilizzate razionalmente: se vedo anziano che ha difficoltà a salutare dalla finestra i nipoti fuori non vedo perché non si debba attrezzare una sala ad hoc. Oppure utilizzare strumenti informatici di qualità per superare questi ostacoli: purtroppo in Italia siamo molto, molto indietro”.

La solitudine dei pazienti in ospedale e nelle Rsa: una questione etica

Il lockdown totale della scorsa primavera e la seconda ondata di contagi che l’Italia sta affrontando in autunno con le nuove limitazioni previste dai Dpcm hanno riportato nuovamente sotto i riflettori la problematica della limitazione agli spostamenti, anche all’interno del territorio comunale nelle zone rosse, e dell’isolamento. Un aspetto al quale è collegato strettamente il tema della solitudine: non solo di chi è costretto a passare giornate intere in casa, ma anche e soprattutto dei pazienti ricoverati nelle strutture ospedaliere e degli ospiti delle Rsa.

La lontananza dai propri cari, l’impossibilità di ascoltare una parola di conforto dal letto di un ospedale, sono una problematica che implica ragioni etiche e che non va sottovalutata, come ha spiegato Vittorio Gasparrini, funzionario di supporto organi e organismi consiliari della Regione Toscana.

L’occasione è stata il talk show “Il male della solitudine”. Gasparrini, membro della commissione regionale bioetica, un organismo consultivo e multidisciplinare che fornisce supporto e pareri all’assessorato alla sanità, ha posto l’accento sulle morti in solitaria in ospedale o nelle strutture per anziani dove molto spesso si sono sviluppati focolai: “Ce ne siamo occupati in due pareri sull’emergenza Covid-19 in cui si prendeva in considerazione l’aspetto della solitudine in ospedale e nelle RSA, dove si vive una tragedia permanente perché non è che l’ospite guarisce e poi esce”.

La soluzione individuata “è stata quella del potenziamento dei mezzi di comunicazione elettronica anche per gli anziani, nonostante problemi oggettivi come ad esempio la vista o l’udito – ha spiegato Gasparrini -. L’uso razionale delle risorse tecnologiche è infatti una possibile soluzione, poiché bilancia presenza fisica e potenziale informatico. L’introduzione di Zoom nelle carceri ha permesso a un detenuto marocchino di vedere la sua famiglia che non poteva permettersi il viaggio fino a Livorno. Lo stesso può accadere per un ospite delle RSA con la sua famiglia lontana e impossibilitata a fargli visita: è una potenzialità che dobbiamo sfruttare e la pubblica amministrazione deve fornire incentivi anche di natura economica alle strutture sanitarie”.

“Innovazione e comunicazione i tempi del Coronavirus” – Interventi Andrea Belardinelli e Andrea Volterrani – Festival della Salute 2020 (Siena, 14/11 ore 10:40)

Innovazione e comunicazione. Due temi estremamente importanti in ogni momento, ma che in tempo di pandemia hanno assunto un rilievo ancora superiore, nel tentativo di risolvere (o quantomeno alleviare) tutti i disagi prodotti dallo stravolgimento organizzativo dovuto al Covid.

“Sono stato travolto dal cercare di capire quale fosse il modo migliore per affrontare crisi ed emergenza – ammette il professor Andrea Volterrani, sociologo dei processi culturali e comunicativi – ed abbiamo scoperto che la tecnologia avrebbe potuto darci un grande aiuto.  Durante la pandemia non potevano essere usati molti degli strumenti tradizionali, perché la gente che non si poteva muovere e veniva a mancare il contatto diretto. Poi c’è stato da combattere il problema della paura, che era però molto più percepita che reale. Per questo abbiamo introdotto tanti nuovi metodi comunicativi ed operativi per far si che le persone potessero usufruire degli stessi servizi, ma senza spostarsi da casa.” 

“La digitalizzazione è importante – conferma il dottor Andrea Belardinelli, responsabile settore sanità ed innovazione – e la Toscana è stata pronta ad adattarsi a questo cambiamento. Siamo partiti dal mettere in rete laboratori pubblici e privati che fanno i tamponi per avere i dati in tempo reale, potendo così attivare tutta la rete di indagine epidemiologica nel più breve tempo possibile. Siamo interventi per aiutare le USCA (unità speciali di continuità assistenziale) introducendo l’utilizzo delle App. Abbiamo attivato un servizio di invio di ricette per sms (poi esportato anche in altre regioni) impedendo così alle persone di uscire di casa solo per ritirare un foglio. Con la ricetta in mano quindi i pazienti hanno avuto la possibilità di prenotarsi autonomamente il loro tampone recandosi nelle tante postazioni di drive through.” 

Dalla disabilità alle patologie incurabili: i benefici della musicoterapia. Tavola rotonda con Galli, Woods, Patzak e Parker

“La musicoterapia è l’uso consapevole e professionale della musica per facilitare l’espressione e la relazione, al fine di soddisfare bisogni emotivi, sociali ed esistenziali delle persone”. Numerosi gli ambiti applicativi: dall’autismo alla salute mentale, dall’oncologia alla riabilitazione.

Ma qual è stato il ruolo della musicoterapia prima e durante l’emergenza sanitaria? Attorno al tavolo virtuale: Vanna Galli, presidente dell’Associazione Quavio di Siena; Davide Woods musicoterapeuta dell’Associazione Italiana professionisti della Musicoterapia (AIM); Alexandra Patzak musicoterapeuta dell’Associazione Italiana professionisti della Musicoterapia (AIM); Deborah Parker coordinatrice dei servizi di musicoterapia dell’Associazione Prima Materia.   

Ci sono vari approcci che tendono a facilitare momenti espressivi, comunicativi e di relazione in persone che vivono un momento di sofferenza fisica, psicologica o esistenziale – ha affermato Woods -. Ci sono esperienze individuali o di gruppo e la musicoterapia si esprime suonando con la persona, lavorando assieme. In questo modo si crea una sorta di dialogo sonoro nella quale il paziente si sente ascoltato, riconosciuto e consapevole delle proprie capacità espressive. Strumenti, tecniche e approcci cambiano ovviamente in base ai contesti e alle persone”.

Uno degli ambiti di applicazione è quello delle cure palliative, e in questo “si utilizza molto la tecnica ricettiva che crea uno spazio di svago teso al rilassamento, ma contribuisce anche a un momento di espressione o di riflessione – ha spiegato Patzak -. L’obiettivo, ascoltando qualcosa di bello e piacevole, è quello di far entrare la bellezza nel periodo di malattia. Cattraverso la scelta dei brani si può fare un racconto della propria vita oppure esprimere lo stato d’animo che si sta vivendo. Poi c’è la tecnica del massaggio sonoro, con lo strumento musicale appoggiato al corpo: le vibrazioni fanno sì che la musica nasca proprio da quel corpo toccato dalla malattia”.

Un’esperienza, quest’ultima, raccontata da Galli con la sua associazione: “Quavio si occupa di pazienti inguaribili e abbiamo sperimentato il grande valore delle terapie complementari e in particolare della musicoterapia. Il suo valore è nella vitalizzazione che si ottiene. È adatta anche per gli operatori, perché è aggregante e facilita lo spirito di gruppo. Non può essere utilizzata con tutti i pazienti ma dipende dalla loro curiosità e capacità di ascolto: le persone più adatte sono quelle curiose, attirate dal nuovo, e sono quelle che ne traggono maggiore beneficio”.

La musicoterapia può avere infine anche risvolti sociali, come sottolineato da Parker: “La Community music therapy è una ramificazione della musicoterapia che si colloca in un contesto sociale e comunitario. Deriva dal modello sociale della disabilità, allargandone il profilo oltre quello medico e clinico: l’obiettivo è valorizzare elementi sociali che contribuiscono a far cadere la barriera di disabilità della persona, posta al centro come individuo unico e completo, non deficitario. In questo modo la musicoterapia aiuta a concentrarsi sulle risorse che l’individuo possiede, riconoscendo la sua parte creativa”.

 

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