Il microcosmo di provincia in chiave ironica e sociale

di Patrizia Fazzi
Questo a riprova, che – come ha sottolineato lo stesso Vitali – non è vero che gli italiano leggono poco, ma che, aggiungiamo noi, sanno invece scegliere, tra i tanti scaffali delle librerie, vicende e autori che uniscono abilmente intreccio, ironia, valenza individuale e collettiva. Così anche in questa occasione il pubblico aretino, numeroso, attento, plaudente, è stato intrattenuto da uno scrittore che ha trovato una sua inconfondibile cifra narrativa, confermata dal libro oggetto della serata: “Premiata Ditta sorelle Ficcadenti” (Rizzoli, 2014).
Titolo che è già un programma e pone al centro della storia Giovenca e Zemia, due sorelle, anzi sorellastre, l’una l’opposta dell’altra per avvenenza fisica, ma unite da una stessa capacità di gestire insieme sentimenti e affari, muovendosi tra spasimanti, chiacchiere di paese, eredità contese, trappole varie della sorte e degli altri. Punto di partenza della vicenda l’arrivo nella amena località bellanese della Premiata Ditta con la sua merceria e il conseguente fatale innamoramento per la bella Giovenca da parte di tal Geremia Pradelli, ingenuo e sprovveduto giovane del paese. A seguire i tentativi messi in atto dal prevosto Primo Pastore, spiato invano dalla sua curiosa perpetua Rebecca, per dissuadere Geremia da una passione apparentemente inappagabile. Il romanzo, ambientato cronologicamente nel 1915, pullula di molti altri personaggi, spesso connotati da nomi curiosi e inusuali, scaturiti dalla fantasia di Vitali ma anche dalle bizzarrie anagrafiche( Esebele, Stampina, Aristemo, Blenda, Cirfolo, Estatina…). Un microcosmo di provincia – ma non “provinciale “ ha tenuto a ribadire lo scrittore – in cui giunge l’eco della grande storia, il conflitto mondiale, che però arriva, secondo le parole di Vitali, “ come un’onda da centro lago”, smorzata e filtrata dalla forza d’urto iniziale.
Ognuno dei suoi personaggi è delineato nei suoi risvolti fisici e interiori, captato nelle sue umane debolezze e talora grettezze infide: la penna di Vitali scava con ironia nei tic, disvela i pensieri dei personaggi anche solo attraverso un gesto, una mossa inconsulta, ricavandone una galleria di figure che, come in una partita a scacchi, si inseguono e si scavalcano, tenendo il lettore incollato al susseguirsi dei brevi capitoli, ognuno dei quali è una piccola scena di teatro, finita la quale cambia la quinta di fondo e si passa ad un altro inaspettato risvolto. In questa prospettiva Vitali è maestro nell’orchestrare, qui come nei precedenti romanzi, lo snodarsi delle vicende, l’aprirsi e il chiudersi delle sequenza narrative, siglate da battute lapidarie, incisive, spesso sottilmente esilaranti.
Il valore intrinseco della storia, al di là della piacevolezza della lettura, sta nel mettere a fuoco sentimenti e comportamenti che l’autore trae e ritrae sì dal suo “piccolo mondo antico” bellanese, ma che in realtà rappresentano un cosmo universale dove “amore” non sempre si associa con “cuore” e “potere” non sempre a “dovere”, ricorrendo allo strumento ineguagliabile della comicità e dell’ironia per stigmatizzare l’avidità, il perbenismo, la codardia ed altri vizi più o meno capitali, senza mai cadere nella retorica, ma ricorrendo al massimo ad una saggezza popolare che accoppia conoscenza con sentire naturale (come Giovenca definita dalla Rigorina “la gallina dalle uova d’oro”). Nel lessico del romanzo spiccano anche espressioni dialettali, specie sulla bocca della perpetua Rebecca, dando un tocco di quasi verismo, senza costringere il lettore a corsi accelerati di ‘lumbard’.
Quello che più ha colpito il pubblico aretino nelle risposte date da Vitali alle domande di Barbara Bianconi e di Marco Forosetti è stata la costante autoironia e al tempo stesso la serietà di fondo applicate nella sua esperienza professionale sia di medico che di scrittore, l’una intersecata e di sostegno all’altra. Partendo da una adolescenziale attrazione per la scrittura, l’autore di Bellano ha confessato di aver conseguito la laurea in medicina su forte direttiva paterna, ringraziando tuttavia il genitore per questo incitamento che gli ha permesso di acquisire un vasto bagaglio culturale e un contatto diretto con le persone, elementi basilari per portare a compimento il sogno di divenire, come lo ha definito Giovanni Arpino, “un raccontatore di storie”. “L’esercizio della scrittura ( e della lettura), – ha dichiarato Vitali – è per me divertentissimo”. E non possiamo che essere d’accordo con lui.
“Il Giardino delle idee” continua con altri importanti appuntamenti: 3 maggio Alan Friedman, 7 giugno Carlo Cracco e il 24 giugno chiusura magnifica con Margareth Mazzantini.