Un libro sulla diversità come vera forza
AREZZO. E’ iniziato con il ricordo delle sue origini paterne toscane e del soggiorno in anni lontani a Cortona l’emozionante incontro con Margaret Mazzantini al ‘Giardino delle Idee’, in un Teatro Vasariano gremitissimo per la presentazione dell’ ultimo libro, “Splendore” (Mondadori, 2013) di questa scrittrice amatissima. Poche ore prima la Mazzantini aveva visitato la Cappella Bacci e visto dal vivo “Il sogno di Costantino” di Piero della Francesca, opera citata e descritta nel romanzo, in cui uno dei due protagonisti ha il nome di Costantino, l’imperatore dormiente, nella cui tenda penetra la luce e lo ‘splendore’ della rivelazione della croce .
Ma cosa intende l’autrice con questo intenso termine “splendore”? Il desiderio che ognuno di noi ha che la sua vita sia attraversata da un lampo divino e umano insieme, quella luce nello sguardo di chi ci ama e che ci rimanda un’immagine luminosa di noi stessi, dandoci di coraggio di superare la soglia dei pudori e dei dolori murati nell’ inconscio e di vivere secondo la nostra vera natura. In questo consiste, ha ribadito la scrittrice, il compito della letteratura e dell’artista che si fa carico della pena non tanto sua ma di tutti, scavando nella voragine interiore rivestita di perbenismo in cui spesso abbiamo paura anche di guardare.
Sollecitata dalle domande di Luca Caneschi e Barbara Bianconi, la Mazzantini, davvero ‘splendida’ nella sua sincerità, ha esposto con passione il senso del suo impegno etico di scrittrice, di raccontatore di storie di tutti, che la costringono ad un isolamento di mesi in uno ‘studiolo’ ogni volta diverso, per concentrarsi e inseguire a briglia sciolta il percorso dei personaggi e il filo delle vicende. “Comincio a scrivere – ha affermato – quando dalla osservazione attenta della realtà attraverso la mia particolare sensibilità artistica, ho assorbito materiale e riesco ad elaborarlo, travolta comunque come da un’onda in piena, che scaturisce liberamente dalla parte più folle di me” che si immedesima nel dramma stesso dei protagonisti, nel loro sentirsi inadeguati, inetti di sveviana ascendenza in cerca di una sorta di liberatorio viaggio che salvi dalla morte civile della coscienza e della stessa identità.
Nel romanzo “Splendore”, che prende le mosse all’inizio negli anni ’60 a Roma, una città greve e papalina, i due protagonisti Guido e Costantino vivono un momento di incontro all’insegna del nitore dei sentimenti, che però non riescono a portare avanti pienamente, soffocati dalle convenzioni. Saranno a lungo divisi, lontani, impegnati in altre vicende e in altri luoghi, maturando lentamente una formazione che li porterà a riunirsi dopo anni, a rompere gli schemi consolidati e a riappropriarsi della propria soffertà diversità, che è la vera ricchezza di ogni individuo, il vero “splendore”, l’adesione piena ad un sentire naturale, unico per ogni singolo individuo.
Ma l’intento vero della scrittrice, da lei stessa sottolineato, non è tanto incentrato sulla difesa o meno dell’omosessualità e quindi sul lanciare strali verso l’omofobia, peraltro deprecabile, quanto di dare nome e spazio alle cose indicibili, di operare ed invitare ad una “dolce riflessione’, allontanandoci dalla stupidità, dal fermarci alla superficie dei fatti e dei sentimenti, che poi fa sì che, come lei ha affermato, “la vita migliore sia quella che non possiamo vivere”…
Significativa la sua definizione della nostra società come ‘molle’, un ventre che sembra accoglierci e poi ci respinge, che va dietro a cose effimere, che rifugge gli approfondimenti, le sfumature, abbagliata da un mosaico di troppe immagini e soprattutto lontana dal rigore morale, dall’onestà, dal bene, dal rispetto per la natura, in qualunque modo essa si manifesti…Ecco dunque anche il suo pensiero rivolto ai giovani, alle nuove generazioni, le più fragili e colpite dalla società globalizzata che tutto sfiora e poco si addentra nella vera attenzione ai problemi, all’impegno contro l’indifferenza: “per loro, io che sono pure madre di quattro figli, spero, spero, spero e sono felice quando trovo nelle scuole insegnanti bravi, motivati e motivanti”.
Tutto questo esposto con semplicità ed empatia, senza pose nè enfasi, con stile diretto al cuore, uno stile simile e parallelo alla particolare cifra narrativa di Margaret Mazzantini e che per questo le ha fatto conquistare milioni di lettori e vincere premi prestigiosi, dallo “Strega” al “Campiello”, specie con “Non ti muovere” e “Venuto al mondo”, romanzi che vanno oltre la trama per offrire anche sfondi storici di stridente dolorosa attualità, come la guerra bosniaca. Uno stile inconfondibile il suo, che potremmo definire prosa lirica, narrativa poetica, caratterizzata com’è dal frequente uso di similitudini, linguaggio metaforico e da un andamento ritmico, ora spezzato, ora fluentemente musicale, mai comunque rigorosamente oggettivo, anzi permeato degli umori, sentimenti, turbamenti, dell’interiorità sommessa dei personaggi e delle situazioni.
Una persona innanzitutto, Margaret Mazzantini, che ha avuto il dono, come richiama indirettamente la citazione iniziale di Leonard Cohen, di essere nata con “the gift of a golden voice’ , una voce dorata capace di ascoltare e scrivere, ma di cui sente la grande responsabilità, il peso di un dono da restituire a tutti, con fatica, come un macigno di rivelazione della realtà che va elaborato nella fucina della pagina e offerto poi all’anima del prossimo, nella massima modestia. E allora, il premio migliore è per lei, come per tutti gli scrittori, quella frase del lettore che le dice ”lei ha espresso quello che io sentivo, mi sono riconosciuto nelle sue parole”.
Un lunghissimo applauso ha chiuso l’incontro e poi tanti autografi e sorrisi per una donna garbata e grintosa, umile e coraggiosa, che lasciato il palcoscenico, inizialmente calcato con successo, per seguire la “sua” strada, quella della letteratura e dell’impegno attivo nel diffondere la “dolce riflessione” . Grazie, Margaret.
(Foto di Luca Brunetti)
