FIRENZE. In che modo denatalità e invecchiamento rimodellano il profilo economico e sociale della Toscana. Dall’impatto sul mercato del lavoro e sul ricambio generazionale, a quello sui consumi, sulla domanda e costi della protezione sociale e della sanità. Se n’è parlato oggi, nel corso del seminario dal titolo ‘Le implicazione economiche e sociali della transizione demografica in Toscana’, organizzato da Irpet in collaborazione con Age-IT (Ageing Well in an Ageing Society). La giornata, oltre ad illustrare con numeri e dati le principali dinamiche, ha fornito l’occasione per discutere di politiche utili ad accompagnare il fenomeno.
Il cosiddetto inverno demografico (calo nascite sommato a invecchiamento della popolazione) è particolarmente accentuato in Toscana che ha una delle quote più elevate di popolazione anziana in Europa e un’età media superiore a quella UE, a cui si affiancano il rinvio della fecondità e la bassa natalità, erodendo così la base giovane-attiva. Secondo le proiezioni salgono l’indice di dipendenza degli anziani, dal 42,9% nel 2025 al 67,5% nel 2065, e l’età media, da 47,7 a circa 52 anni, con un effetto combinato che appesantisce il sistema previdenziale e sociosanitario e frena il potenziale innovativo. Il Tasso di Fecondità Totale (TFT) ha avuto un picco di 2,13 nel 1964 ed è calato sotto 1 nei tardi anni Novanta; la parziale ripresa osservata nei primi Duemila – sostenuta anche dall’immigrazione giovane – si è successivamente affievolita. I 13 mila i nati in meno nel periodo 2008-2024 sono imputabili, per 8 mila unità, al solo effetto demografico, i restanti 5 mila alla minore fecondità. Pertanto, la quota preponderante della flessione delle nascite (-64%) dipende dalla minore numerosità delle donne in età feconda, il restante 36% dal calo del TFT, passato da 1,41 a 1,12 figli per donna.
L’indagine condotta da Irpet per approfondire le cause del calo della fecondità e individuare possibili linee di intervento (coinvolto un campione di 1.727 donne di età compresa tra 25 e 56 anni), ha evidenziato il cosiddetto gap riproduttivo (distanza tra figli desiderati e figli effettivamente avuti): oltre tre quarti delle donne dichiarano di non aver realizzato pienamente il proprio desiderio di maternità. Il modello a due figli rimane l’ideale dominante sia tra le madri (43,4%) sia tra le non madri (55,4%). Tuttavia, le prime mostrano aspirazioni più elevate (quasi la metà indica tre o più figli), mentre le seconde tendono a preferire nuclei più piccoli o a limitarsi a un solo figlio, segnalando una diversa percezione di costi e vincoli legati alla genitorialità.
La relazione tra fecondità, condizione occupazionale e reddito, oltre a confermare come la fecondità in Toscana appaia sempre più determinata dalla sicurezza economica e dal doppio reddito, con il contributo femminile ormai centrale, evidenzia un altro dato: prima della nascita, le donne guadagnano in media circa 8.000 euro in meno all’anno rispetto agli uomini, diventano 12.000 dopo la nascita. In generale emerge un divario di penalità di coppia che passa da circa il 15% nel breve periodo al 36% nel lungo periodo, stabilizzandosi intorno a una perdita di circa 4.500 euro annui per le mogli rispetto ai mariti (rispetto ai 1-2 anni pre-nascita).
Un’occhiata anche all’impatto dei servizi educativi per la prima infanzia (0-3) su fecondità e occupazione femminile. La Toscana, grazie ai servizi erogati (più di 25.000 posti autorizzati, superato di 5 punti l’obiettivo UE di 33 posti in asilo nido ogni 100 bambini; oltre la metà dei comuni toscani ne mette a disposizione più di 50) e al sostegno economico (Nidi gratis introdotto a partire dal 2023), ha sperimentato effetti positivi sia sull’inclusione femminile nel mercato del lavoro che, pur in misura più contenuta, sulla fecondità. Le madri occupate al momento della nascita del figlio, hanno una probabilità di continuare a lavorare nei mesi successivi del 2-3% superiore quando il bambino frequenta un nido sussidiato, con effetti ancora più marcati (+5%) per chi ha contratti precari. Per le madri inattive alla nascita la probabilità di entrare nel mercato del lavoro supera di circa il 22% quella di donne con caratteristiche simili i cui figli non frequentano il nido. Tra le madri disoccupate, la combinazione nido-sussidio aumenta del 13% la possibilità di reinserimento lavorativo. Complessivamente, se tutte le madri con figli in età frequentassero il nido, avremmo i seguenti miglioramenti: la quota di madri che, disoccupate alla nascita del figlio, avrebbero un avviamento al lavoro entro due anni dalla nascita salirebbe dal 58% al 74%; la quota di madri inattive che nella stessa finestra temporale si attiverebbero crescerebbe dal 43% al 72%; la quota di madri occupate alla nascita del figlio e che tali
rimarrebbero nei due anni successivi salirebbe dal 95% dal 97%. Indipendentemente dalla condizione professionale, le madri che hanno usufruito di nido e bonus hanno infine una probabilità di avere un secondo figlio più alta del 5% rispetto a quelle con caratteristiche analoghe, ma che non ne hanno beneficiato.
Altri aspetti analizzati nel corso del seminario hanno riguardato gli effetti della partecipazione culturale degli anziani su salute e benessere, le prospettive della cosiddetta Silver economy, l’invecchiamento della popolazione e la struttura dei consumi e gli effetti sulla crescita, gli interventi e le politiche per la non autosufficienza ed infine gli effetti della transizione demografica su crescita economica e mismatch occupazionale.






