NAPOLI. Sono in corso alcune perquisizioni nella sede de 'Il Giornale' e nelle abitazioni di alcuni giornalisti del quotidiano milanese. A quanto si e' appreso i provvedimenti sono stati disposti dalla procura di Napoli nell'ambito di una inchiesta su presunte minacce, attraverso la raccolta di un dossier, nei confronti del presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, dopo che l'imprenditrice aveva formulato critiche nei confronti del Governo in alcune sue dichiarazioni. I decreti di perquisizione, eseguiti dai carabinieri, sono stati emessi dai pm Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock e vistati dal procuratore Giovandomenico Lepore. L'ipotesi di reato formulata dai magistrati e' di concorso in violenza privata.L'indagine sarebbe scaturita da alcune intercettazioni disposte nell'ambito di una diversa inchiesta condotta dai magistrati partenopei. Dalle conversazioni e da un sms sarebbe emersa la presunta intenzione di una campagna di stampa nei confronti della Marcegaglia. Il diritto di critica da parte della stampa è fuori discussione ma il giornalista non può utilizzare i propri scritti "per coartare la volontà altrui" perché in questo caso si configura un reato, quello di violenza privata. E', in sintesi, quanto affermano i pm di Napoli Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock, nelle motivazioni alla base della decisione di perquisire la sede de "Il Giornale".
"Il giornalista – osservano i magistrati – non solo ha ovviamente il diritto di scrivere quanto ritiene necessario per far conoscere alla pubblica opinione, ma ha anche il diritto di criticare e di farlo in modo anche duro, pungente e veemente". "Può acquisire – scrivono i pm – notizie e informazioni anche riservate e persino segrete (che anzi secondo il codice deontologico dei giornalisti è addirittura tenuto a pubblicare), potendo preservare anche le proprie fonti; ancora il giornalista, fatti salvi ovviamente gli aspetti deontologici, può essere naturalmente fazioso". "Tuttavia – sottolineano Piscitelli e Woodcock – il giornalista (e nessun altro) non ha diritto di utilizzare i propri scritti e le proprie pubblicazioni, o meglio la prospettazione di propri scritti e proprie pubblicazioni, allo scopo di coartare la volontà altrui". A tale proposito i magistrati affermano che quando ciò accade "si configura il delitto di cui all'art. 610 cp ravvisandosi quello che la Suprema Corte di Cassazione ha definito come lo 'sviamento dello scopo' che connota in termini di ingiustizia il male prospettato: nel senso che per configurarsi il reato di violenza privata (ovvero il reato di estorsione, o quello di minaccia semplice, tutte nella fattispecie accomunato nell'elemento costitutivo della minaccia) non è necessario che il male sia di per sé ingiusto, bastando che risulti tale in relazione allo scopo cui la minaccia servi come mezzo". Dunque "è l'ingiustizia dello scopo che rende ingiusto il mezzo utilizzato e ciò anche quando il mezzo non è in sé e per sé ingiusto".