"Non esiste una via valida per tutti. Ognuno trova la propria modalità di restare integro. C’è chi sceglie il bosco. C’è chi sceglie la città, ma smette di conformarsi"
SIENA. Negli ultimi anni sta accadendo qualcosa di interessante, qualcosa che molti fingono di non vedere, ma che è sotto gli occhi di tutti: sempre più persone si stanno allontanando, in modi differenti, da ciò che comunemente chiamiamo “sistema”. Non sempre si tratta di gesti clamorosi o scelte estreme. A volte è una decisione silenziosa, quasi invisibile, che avviene interiormente molto prima che esteriormente.
In questi giorni si discute tanto della famiglia nel bosco di Chieti. Come sempre accade quando qualcuno rifiuta una struttura collettiva, si scatena il dibattito: c’è chi giudica, c’è chi ironizza, c’è chi applaude, c’è chi cerca di incasellare la vicenda nella solita lotta tra “moderno” e “antico”. Ma la questione, in realtà, è molto più profonda e riguarda un movimento più ampio, sotterraneo, fatto di persone che stanno, ciascuna a modo proprio, prendendo le distanze da ciò che percepiscono come una costruzione artificiale che non parla più alla loro interiorità.
Ci sono quelli che scelgono di vivere lontani, immersi nella natura, quasi in una forma moderna di eremitismo volontario; ma ci sono anche coloro che restano pienamente integrati nella vita di tutti i giorni, continuano a lavorare, a partecipare ai ritmi della città, pur avendo lasciato definitivamente la dimensione sociale e politica fatta di competizione, chiacchiere, appartenenze, schieramenti e conflitti. Ma magari avendo eliminato la tv e tante altre cose superflue. Non ci si riconosce più in pratica nella vecchia vita. Non interessa più.
Molti stanno comprendendo che in fondo il banco è truccato, che il modello dominante non è costruito per nutrire o far crescere l’individuo, ma per mantenerlo distratto, teso, frammentato, diviso tra il bisogno di apparire e la paura di non essere abbastanza. La sensazione diffusa è quella di una recita collettiva alla quale sempre meno persone hanno voglia di partecipare.
E allora qualcuno cambia radicalmente vita, altri cambiano solo lo sguardo, ma il movimento interiore è lo stesso: si cerca qualcosa che assomigli all’essenziale, qualcosa che lasci spazio al silenzio, alla presenza, a un modo più umano di abitare il mondo. Non è un gesto di fuga. È spesso un ritorno. Un ritorno a sé, alle proprie domande più vere, a un senso di radicamento che nessuna gara sociale può sostituire.
Non esiste una via valida per tutti. Ognuno trova la propria modalità di restare integro. C’è chi sceglie il bosco. C’è chi sceglie la città, ma smette di conformarsi. C’è chi continua a partecipare, ma con una distanza interiore che protegge.
E forse questa è la cosa più importante: la consapevolezza che la libertà non coincide necessariamente con l’uscita dal mondo, ma con la capacità di non lasciarsi più definire da esso.
Non tutti faranno la scelta estrema di vivere in un bosco senza acqua corrente e senza energia elettrica. Ma molti, moltissimi, hanno già fatto un passo indietro da ciò che percepiscono come una grande illusione collettiva.
E una volta che lo vedi, non puoi più dimenticarlo.
Ahoy!
Siena Pirata






