Lettera aperta a Eugenio Scalfari
di Mauro Aurigi
“Egregio Dott. Scalfari,
sono un normale cittadino con una certa esperienza della sinistra: di famiglia operaia socialista fin dalla fine dell’800, ma su antico ceppo anarchico, nel 1960 aderii, ventenne, al Psi di Santi e poi di Lombardi, per abbandonarlo al momento del suo ingresso nell’area governativa; poi iscritto al PCI dal 1968, ossia dallo strappo con l’URSS di Berlinguer, e fino alla sua morte nel 1984; dal 2006, ormai vecchio, militante del M5S.
L’INVIDIA DEL PENE
Le devo dire che la cosa che più ricordo degli esponenti grandi, medi e piccoli della (sedicente) sinistra italiana, soprattutto di quella comunista ed ex tale, è la loro ipocrisia ideale e ideologica. A chiacchiere vantavano un’inesistente ansia democratica e antiborghese (tutto il potere al popolo!), mentre invece nutrivano un’insana, inconfessabile ambizione, venata anche di sadismo (vivo nella città più “rossa” d’Italia e so quello che dico): quella di dominare e possibilmente sostituirsi, ovviamente gratis, agli imprenditori privati, più che odiati, invidiati (l’invidia del pene!). Credo che da ciò discenda anche l’ammirazione inconfessata ma manifesta, per i grandi despoti del passato. Non tutti quei personaggi erano così, ovviamente. Non lo erano, per esempio, Umberto Terracini, Luciano Lama o Enrico Berlinguer, ma pensi a un D’Alema, che non si è accontentato di diventare un ricco borghese: ora è addirittura un nobile (del Vaticano!).
Per cui mi ha colpito particolarmente quell’ardito accostamento, da Lei fatto sulla Repubblica di domenica 2 marzo, di Matteo Renzi a Lorenzo il Magnifico, che avrei senz’altro condiviso se fosse suonato come segnale negativo. Purtroppo invece il Suo era un encomio al Medici e di conseguenza al Renzi, cosa che ora mi fa collocare anche Lei tra gli esponenti della sedicente sinistra di cui ho detto sopra. Perché, veda, il Magnifico è colui che ha lentamente soffocato la libertas della Repubblica di Firenze, che fece aggredire dall’esercito fiorentino la piccola Volterra massacrandone la popolazione e spogliandola dei capolavori artistici e librari, ovviamente trattenuti per sé, e che ha creato i presupposti affinché la sua famiglia soffocasse la libertas di tutto il resto della Toscana.
LA BUFALA MEDICEA
Rimane il fatto che con l’egemonia medicea cessò di colpo l’enorme contributo dato dalla Toscana alla cultura e all’arte occidentali. La stessa città di Firenze, per le cose di cui oggi va famosa, è ancora tutta “repubblicana”. E non mi citi gli Uffizi, come gloria medicea: sono il simbolo della morte dell’arte. Con i Medici, invece di investire nella produzione dell’arte, si è cominciato a investire nella celebrazione e nella collezione di quella del passato (da allora non abbiamo più smesso). Né si possono citare le Cappelle medicee, dopo quello che abbiamo detto dell’analoga impresa fatta da Berlusconi nel costruirsi un proprio mausoleo. Insomma i Medici si sono impossessati della città europea più ricca, colta e famosa, riuscendo a rilucere di quella luce riflessa che, grazie alle migliori penne mercenarie dell’epoca, sono riusciti a spacciare per luce propria. Furono anche dei sanguinari che commissionavano a sicari l’assassinio degli avversari politici. Insieme a Carlo V, quello del sacco di Roma, aggredirono la propria città, cingendola d’assedio per 10 mesi, prendendola per fame e spodestandone il legittimo governo repubblicano. Poi, sempre insieme a Carlo V, aggredirono Siena, la quale resistette 7 anni, alla fine dei quali solo 6-7mila Senesi erano ancora vivi (dei 25/30mila che erano). I più accesi repubblicani (i libertini) scapparono dalla città e non vi sono più tornati, ma i sicari dei Medici li tormentarono e assassinarono sino in Francia e Inghilterra. Sì, proprio un modello di sinistra i Medici!
I MEDICI: MAFIOSI E FASCISTI
Mentre negli Stati Uniti va in onda un documentario in cui i Medici sono definiti mafiosi (goodfathers) e fascisti, le amministrazioni pseudo “rosse” della Toscana ‒ Regione, Provincia e Comune ‒ non si vergognano di spendere un bel ballino di soldi dei contribuenti per celebrare ripetutamente quella famiglia e i suoi singoli membri, comprese le due regine di Francia. Per gli umili borghesi repubblicani, quelli della libertas comunale, ossia per i massimi responsabili dei successi culturali, politici, economici, artistici e scientifici di Firenze, neanche un soldo bucato. Né poteva essere altrimenti: non si può magnificare un popolo che raggiunga simili vette da solo, ossia senza la guida di un leader (traduzione letterale di Führer e Duce). Sarebbe una pugnalata alle spalle al mito del “capo al servizio del popolo”, non solo a Lenin o Mao o Castro o Togliatti, ma anche a Renzi, senza il quale oggi in Italia, ovviamente, non si può risolvere niente. Guai a prendere a modello le città-stato della civiltà comunale al cui Umanesimo (e poi Rinascimento) si deve, sì, la nascita e la crescita dell’Occidente, ma che tutte, avevano il difetto imperdonabile di governarsi da sole, senza un capo, un leader o un politico che fosse degno di essere storicamente ricordato. In Italia il fascismo, ossia il mito del capo, non è nato con Mussolini né è morto con lui.
E’ dal Cinquecento, con la fine della civiltà comunale, l’avvento definitivo delle signorie, la dominazione spagnola e la Controriforma cattolica, che la Penisola ha cominciato a diventare fascista. Mi viene in mente il buon Zeffirelli, un altro che amava i tiranni: da parlamentare (con Berlusconi, mi pare) pretendeva che la Toscana assumesse come proprio stemma quello dei Medici, definiti “Padri della Toscana”, ignorando da buon intellettuale italiano che la storia della Toscana era cominciata almeno 2500 anni prima di loro. Come vede, dott. Scalfari, Lei è in buon compagnia.
IL CASO SIENA
Infine, nel caso che Le fosse rimasto qualche dubbio, voglio ricordarLe ciò che è appena successo a Siena. La città mille anni fa fondò un ospedale, pubblico e laico, che ancora oggi è il più antico del mondo e il più grande della Toscana nella città più piccola della regione. Poi circa otto secoli fa ha fondato la sua università, pur essa pubblica e laica: oggi anche 25mila studenti in una città di 55mila anime. Quindi oltre 5 secoli fa fondò la sua banca, ovviamente pubblica e laica, diventata alla fine la più antica del pianeta, la terza d’Italia e la più solida d’Europa, con oltre 30mila dipendenti. Tutti questi organismi, e non sono i soli, risalgono al periodo repubblicano della città e per tutto questo tempo, in assoluta controtendenza in Italia in fatto di enti pubblici, hanno prodotto e diffuso sul territorio cultura e ricchezza invece di parassitare l’una e l’altra. Bene: da quel periodo repubblicano, così fecondo anche per l’attualità e durato più o meno mezzo millennio, e neanche dalle epoche successive durante le quali quelle istituzioni hanno continuato a crescere e prosperare facendo crescere e prosperare la città come poche altre in Italia, non è arrivato sino a noi il nome di un solo politico o leader. Poi da una trentina di anni a questa parte sono finalmente arrivati a Siena quei leader che a Lei piacciono tanto: Luigi Berlinguer, Pierluigi Piccini, Giuliano Amato, Franco Bassanini, Rosi Bindi e ‒ formalmente molto defilato ma più potente di tutti ‒ D’Alema. Intanto i piccoli gnomi senesi venivano allontanati da ogni carica significativa per essere sostituiti dalla vorace clientela di quei politici. Senza entrare nei dettagli, contemporaneamente e velocemente quelle tre grandi istituzioni, per tacere delle minori, hanno cominciato a degenerare. Oggi non ne rimane che l’involucro esterno: l’università soffocata dai debiti, l’ospedale venduto per disperazione alla Regione e la banca che sta qui come la buccia secca della crisalide, dopo che la farfalla ha preso il volo.
Ed ora arriva il fiorentino Matteo: il Magnifico.