MONTALCINO. Spettabile ilcittadinoonline,
il 29 settembre u.s. è uscito un lungo articolo a firma Luciano Ferraro, sul Corriere della Sera. Ferraro è il giornalista che si occupa di vino e dintorni per il quotidiano più autorevole del nostro Paese e naviga da anni ormai nel mondo del vino: è dunque un esperto del settore e non mi permetto di mettere in dubbio la sua conoscenza approfondita del mondo del vino e dei numerosi protagonisti che lo animano e lo interpretano. penso anche che sia importante che un grande quotidiano si occupi di agricoltura e di quel comparto speciale che è l’enologia – una bandiera per l’Italia, e fatturati che aiutano anche la nostra bilancia dei pagamenti, oltre a deliziare i palati di tutto il mondo -.
Da vecchia lettrice del Corrierone (come usavamo chiamarlo a Milano, in tempi più sereni di quelli che stiamo attraversando) leggo, magari più velocemente di antan, tutto il quotidiano; e però ieri mi sono impiantata sulla pagina firmata da Ferraro che mi ha lasciata a bocca aperta.
Poiché sono milanese con un piede a Montalcino, ho avuto il privilegio di conoscere e frequentare (e pure assaggiare!) tutti gli affascinanti personaggi che hanno fatto grande il Brunello (e non solo) negli anni della riscossa del grande vino. Ne cito solo alcuni tra i più noti: Franco Biondi Santi, Gianfranco Soldera, Gianni Brunelli, Piero Palmucci, il “comandante” Diego Molinari, la signora Francesca Colombini … ma non dimentico un buon gruppo di altri produttori che non considero affatto corollario, nel mio Paradiso un po’ naif, un po’ affettuoso, ma di prima mano, perché ho voluto molto bene a questa terra. E non è stato un amore interessato, nonostante abbia due parenti che vi lavorano e altre cose in divenire. E’ davvero stato amore e ammirazione per il lavoro di grandi e piccoli produttori, e ho visto nascere da vicino una “linea verde” che interpreta convintamente biologico e biodinamico, e che all’inizio sembrava quasi scontrarsi con il main stream conservatore, rivelandosi poi un motore coinvolgente per il territorio.
Insomma un po’ ne ho viste e qualcosa ne so. Ho anche scambiato, nel tempo, idee con Angelo Gaja, che acutamente – con il suo occhio lungo ed esperto – ha segnalato l’importanza strategica di una sinergia tra i grandi produttori e i piccoli vignaioli che arricchiscono di profumi, ma anche di esperienze inedite, questo territorio diventato un emblema di un successo legato, non solo alle qualità della terra, ma anche al sapiente lavoro di chi produce guardando a fare sempre meglio, pur non trascurando i passi fatti dai grandi vecchi del passato anche recente.
E vengo alle ragioni del mio stupore nel leggere il lungo articolo di Luciano Ferraro che, annuncia la premiazione di tre eminenti personalità della produzione enologica – grandi produttori, conosciuti, rispettati e meritevoli certamente di essere premiati per il loro grande lavoro di grandi produttori …
Senonché Ferraro li premia come “vignaioli”, e a me è scappato da ridere perché sono ormai anni che si parla di vini fatti a mano, di vini artigianali, sì, insomma di vini che magari appartenendo alle medesime denominazioni (o a zone di produzione), escono in produzioni limitate, ma con caratteristiche che da anni stanno interessando in modo crescente critica e pubblico di conoscitori e appassionati. Sono noti, a tutti, come i vini di Vignaioli; sono fatti personalmente da gente che vive sulla terra, lavora nella vigna, discute con colleghi, sceglie tutto, osserva gli insetti, sceglie maniacalmente potature e non so che altro … non sono un fenomeno, sono un sentimento, sono la riscoperta della terra come madre di tutto e di tutti, sono persone in cammino, sostenute da un’utopia luminosa, e questo manipolo di vignaioli convince, suscita attenzione. Nel senso che la loro idea – tutt’altro che folle, malgrado la mia descrizione – colpisce l’immaginario di quelli che in un bicchiere di vino ci vedono non solo goduria (o come si diceva vent’anni fa, il bel paesaggio), ma intravedono un futuro possibile, più lento, più umano, più vicino alla natura (da cui ci siamo imprudentemente allontanati). Questi sono i vignaioli. Sono produttori anche loro, ma piccoli e niente a che vedere con i signori in blazer, certamente innamorati della terra, orgogliosi dei loro grandi vini, delle decine o centinaia di ettari a vigneto, delle cantine bellissime, ma non certo con l’allure di vignaioli.
E allora mi chiedo: perché non li si premia chiamandoli produttori – mica è una diminutio, anzi, rende proprio l’idea del grande produttore. Proviamo a restituire alle parole il loro vero significato, soprattutto quando rischiano di scalfire il significato del lavoro di un gruppo piccolo ma significativo.
Restituiamo “vignaiolo” (quello che sta nella vigna, tocca la terra, lavora in prima persona, si ispira alla propria creatività) ai vignaioli.
Silvana Biasutti
