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Direttore responsabile Raffaella Zelia Ruscitto
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Parole, parole, parole, parole…

In molti avremmo bisogno di ripetizioni di democrazia

di Raffaella Zelia Ruscitto

SIENA. Non so se c’entra qualcosa con la fase della mia personalissima vita… o se, con moto ostinato e contrario, è quello che accade intorno, a provocarmi la sensazione di un disagio profondo. Non so se può dipendere dall’uscita di Calderoli (che ci vuole un bel coraggio a fare similitudini antropomorfe con la faccia che si ritrova!), o dalla vicenda dell’estradizione-rapimento di Alma Shalabayeva e della sua figlioletta di appena sei anni (all’insaputa del Ministro Alfano), o dal finanziamento pubblico ai partiti in un momento di sofferenza sociale, o dalla Fondazione Mps che, non ingenerando alcuno stupore, ha annunciato il voto favorevole all’azzeramento del vincolo del 4 per cento, o se dipende dall’aggressione subita ieri pomeriggio dal sindaco Bruno Valentini. Magari da tutte queste cose insieme. Dagli episodi presi singolarmente come dalla valanga di commenti che ne sono scaturiti che, a leggerli, viene una improvvisa voglia di espatriare.
Mi domando che Paese siamo diventati. Viviamo nell’illusione di godere della democrazia ma non siamo in grado di gestirla neppure nel quotidiano. Siamo convinti fermamente di essere nel pieno diritto di dire sempre e comunque quello che pensiamo senza neppure controllare che il collegamento bocca-cervello sia in funzione. Ci lanciamo a difesa o contro quello o quell’altro solo perchè portano (o dicono di portare) la camicia del nostro stesso colore o del colore dei nostri avversari. Siamo, per questo amore per il tifo, disposti ad accettare qualunque “verità” detta da quelli che ci siamo scelti come “condottieri” nelle nostre schiere.
In diversi poi, tanto per alzare l’asticella della qualità del dialogo, hanno imparato bene la lezioncina dello squadrone: prima di esprimersi controllano di essere dalla parte dei più numerosi, dei meglio vestiti, di quelli che contano, di quelli che offrono garanzie di tutela. Poco importa se, così facendo, dicono il contrario di quello che dicevano ieri: la memoria è talmente corta e la coerenza non è di questo mondo, e se ha ancora residenza qui, certamente non paga! (Nemmeno l’Imu, è chiaro)
Qualcuno, ben più in alto di noi comuni mortali, queste debolezze da Paesuccio senza spina dorsale, deve averle capite e ci viaggia ancora bene. Magari in auto blu con tanto di scorta.
A Roma come a Siena, a Milano come a Palermo, va bene tutto e il contrario di tutto: la differenza la fa chi si rende protagonista del fatto e non il fatto in sè.
E dopo le parole? E dopo i fiumi di commenti? Dopo non c’è niente. Nulla. Zero. E’ come se il diritto di dire la propria, in strada o meglio su Fb o Twitter, fosse bastevole a soddisfare il proprio senso di democrazia. Come se, una settantina di anni fa, quelli che dissentivano dal regime fascista si fossero limitati a scrivere agli amici due righe di “contrarietà” o “disprezzo” nei confronti di quanto avveniva e poi, come se nulla fosse stato, avessero proseguito la loro vita senza farsi troppi problemi. Certo, il paragone è forte ma non vuole istigare alla violenza (ammesso e non concesso che io possa istigare qualcuno a fare alcunchè!). Sia chiaro.
La ferma condanna all’episodio di aggressione del sindaco Valentini è senza ombra di dubbio. Il professore in pensione ed il suo gesto non meritano commenti e certamente non lasciano alcuna scia ed alcun proselite se non lui medesimo che, circa dieci anni fa si era reso protagonista di un episodio analogo ai danni del consigliere, sempre di opposizione, Marco Falorni. Evidentemente, la sua rabbia è bipartisan.
Potremmo cascarci anche noi e dire, come hanno fatto in tanti, che è sintomo di un tempo malato, di un’ansia per il futuro che attanaglia, di una frustrazione che rende violenti. Avevamo da poco – e a fatica – archiviato le violenze gratuite e disgustose del dopo-palio. Anche su quelle c’è chi ha speso parole su parole: chi ha condannato e chi ha difeso. E’ stato chiamato in causa il nobile passato: addirittura si sono ripresi, dai bauli impolverati della memoria paliesca, altri e magari anche più gravi episodi di violenza, solo per avallare o giustificare quei quattro scalmanati del luglio 2013 (come se, in passato, non ci fossero stati scalmanati… ma, arrendetevi, non si può giustifare la violenza chiamando in causa il passato proprio come un assassino non si potrebbe giustificare chiamando in causa Hitler!).
Potremmo dire, come qualcuno ha tentato, che è tutta colpa del clima di odio  che si respira in città. E’ tutta colpa, in poche parole, di quelli che condannano senza mezzi termini (ammesso che esistano condanne “ma non troppo”), che criticano senza peli sulla lingua, che indicano con nome e cognome i responsabili dell’impoverimento della città. In pratica, di quelli che, fuori dal coro (o lontano dalla valle del silenzio servile) hanno esercitato il loro sacrosanto diritto di ricerca della verità e ne hanno resi pubblici gli esiti. L’indignazione, la protesta, il “j’accuse” di una società ad una malagestione dilagante, ad una corruzione sdoganata, ad un servilismo bigotto e funzionale al potere non è cosa di cui vergognarsi ma a cui aggrapparsi con le unghie e con i denti nella speranza di una società migliore. Preparandosi a sostenerla con forza, ove ce ne sia necessità. E questo è un dato di fatto.
Dopo la risibile operazione di discredito delle voci fuori dal coro nel caso “Rossi” (la scoperta delle e-mail e degli sms del capo della comunicazione Mps, tragicamente scomparso il 6 marzo scorso, ha dimostrato la malafede di chi ha fatto passare ben altri messaggi), ieri si è inizialmente tentata una simile strategia. Una azione di imbavagliamento che è stata prontamente fermata… da Valentini!
E’ stato proprio il sindaco, dalle pagine di Fb, a fermare sul nascere i soliti architetti della comunicazione di regime, conoscendo bene, evidentemente, la macchina della disinformazione da tanti anni al servizio del potere senese: “Giusto per capirsi. Che a nessuno venga in mente di utilizzare il brutto episodio che mi è accaduto per chiedere di limitare il diritto di critica verso politica ed istituzioni. Non ne abbiamo mai avuto bisogno come adesso. Spero però che questa escalation nell’aggressività verbale si fermi, evitando di eccitare oltre misura le persone più fragili”. Ha detto.
Qualcuno l’ha capito, qualcuno si è trattenuto a stento.
Qualcuno (e noi siamo tra questi) è rimasto folgorato dalla esternazione del primo cittadino e, per qualche minuto, ha continuato a leggere quelle poche righe convinto di aver letto male. Invece no. Il concetto era chiaro. Era il riconoscimento di una realtà drammatica che a Siena, fino a ieri, è stata negata. Era la ferma opposizione di un uomo di “regime” al modus operandi del “regime”. Era quasi un “ordine di scuderia” dato pubblicamente!
Non che Valentini sia nuovo a queste operazioni “relativistiche”. In un passato che ci appare ancora più lontano di quanto non sia, ci aveva già sbalordito con le esternazioni fatte durante la campagna per le primarie. E nell’ultimo Consiglio Comunale non ha fatto mancare occasione di versare fiumi di inchiostro per le dichiarazioni sulla “banda di delinquenti” a capo, nella passata gestione, della Banca Mps. Battezzato da noi con il termine di “rinnovatore riluttante”, ai fatti, Valentini è clamorosamente mancato. Appellandoci al nostro diritto di critica, non manchiamo di pronunciarci negativamente sulle azioni fino a qui compiute sotto il suo mandato, in merito a Fondazione e Banca. Quel coraggio di parlare che non è venuto meno (se non a tratti) in questi mesi, non ha retto alla prova dell’agire. Proprio adesso che, mai come ora, ci sarebbe bisogno di azioni rivoluzionarie per cercare titanicamente di invertire la rotta di questa nave senza timoniere e senza ciurma che è Siena.
Mentre si guarda oltre… mentre tutti parlano dell’aggressione al sindaco ma tacciono sulle ultime “novità” dalla Fondazione Mps (sempre più genuflessa davanti al presidente della Banca) non ci sono, in città, segni di fermento. La stampa ci informa che abbiamo fatto male ad aggrapparci ai vecchi modelli organizzativi della banca. Robe da ottusi e pure un tantinello presuntuosi! Facciamo il bene di Mps, lasciamolo andare al suo destino, come un bel figlioletto a cui abbiamo tolto tutto e che adesso ci prepariamo a vendere al miglior offerente (migliore si fa per dire). E’ il mercato, bellezza! ci dicono. E vogliono pure darci a bere che è la cosa più giusta, che fino ad oggi era tutto sbagliato e che: “svegliatevi! Non siete nel paese della cuccagna!”, e che ha fatto bene il Consiglio Comunale e che la Fondazione ha fatto ancora meglio. Che, fino ad oggi nessuno (ad eccezione di Mussari e Vigni… ma, che volete!, si fa presto a dire che hanno sbagliato, con il senno di poi) ha commesso errori, soprattutto in quella Fondazione che oggi, guarda caso, come sempre, ha preso la decisione giusta. Tutto è bene quel che finisce bene, malgrado noi poveri comuni mortali che non sapevamo di essere gli unici ad aver sbagliato. Adesso lo sappiamo. Grazie. Sentivamo proprio il bisogno di questa infornata di cavolate per non sentirci fregati oltre il limite della umana frustrazione. Quando già ci preparavamo al commissariamento della Fondazione (sono stati tutti troppo bravi, evidentemente) oppure alla nuova lottizzazione (Marzucchi, dicono i bene informati, sarebbe già all’opera con il Signorini in quel di Talamone), ecco che ci rendiamo conto che chi è informato sta già agendo, come sempre, per il nostro bene.

E torniamo all’esempio dei partigiani e alle meste osservazioni su ciò che siamo diventati. Alla nostra “democrazia della parola” fatta di fazioni, che si è ormai ridotta a mero esercizio lessicale. Alla nostra indignazione che non pare avere altre strade: o sfocia nella primitiva e cieca violenza oppure esala l’ultimo respiro con un’alzata di spalle. Al nostro sentirci parte di un qualcosa che spesso si riduce alle mura della nostra casa, al nostro clan allargato e, a volte, neppure a quello. Al nostro “ingoiare tutto”, perchè tanto non cambia nulla o perchè almeno mangio qualc0sa anch’io.

C’è stato un tempo in cui, per queste stesse strade, sotto questo stesso cielo, vivevano uomini e donne capaci di pensare e di essere qualcosa di più e di meglio; uomini e donne che ogni giorno, con il loro modo di agire, mostravano una dignità ed una rettitudine che da sola bastava a schiaffeggiare la malafede e la mediocrità di chi gli stava di fronte. Un tempo si scendeva in piazza per ricordare, a chi doveva amministrare, il rispetto dei diritti di tutti e nelle piazze si portavano pure i figli, tanto per educarli alla condivisione delle lotte civili. Un tempo c’era l’onestà e la dignità che venivano prima di tutto.

Adesso ci si incontra in rete, si mette un “mi piace” e si pensa, così, di aver fatto il proprio dovere. A chi ha proposto un movimento a-partitico, libero da padroncini e mosso solo da un sano desiderio di rinnovamento, nessuno è disposto a dare un concreto seguito.  A chi si à lanciato in una nuova avventura politica con la speranza di dare un contributo fattivo alla crescita della città è stato dato un “simpatico” calcio nelle terga. A chi critica si toglie l’amicizia e, se si può, lo si accusa dei mali del mondo…

E ora, ditemi, in tutta sincerità, se non vi sentite un pochino a disagio anche voi!

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