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Direttore responsabile Raffaella Zelia Ruscitto
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Giornalisti a Gaza: dove tutta l’umanità muore lentamente

A Pontignano il racconto di due reporter palestinesi testimoni del genocidio di cui nessuno scrive

di Raffaella Zelia Ruscitto

CERTOSA DI PONTIGNANO. Un profondo disagio, quasi un senso di vergogna. Questa mattina, alla Certosa di Pontignano, si è tenuto un incontro organizzato all’interno del Festival del Giornalismo d’Inchiesta che aveva per titolo “Raccontare Gaza: etica, presenza, pluralismo”.

All’incontro hanno parlato i giornalisti Nello Scavo, inviato di Avvenire, in collegamento dall’Ucraina; Azzurra Meringolo, giornalista specializzata nel Medioriente, per il Giornale Radio Rai, in collegamento da non si sa bene dove; Beppe Giulietti, coordinatore di Articolo 21, che ha inviato un messaggio ai presenti; Safwat Kahlout giornalista palestinese di Gaza e Faten Elwan giornalista palestinese di Ramallah, in Cisgiordania.

Un appuntamento che ha visto la partecipazione di diversi giornalisti anche in virtù dei 5 crediti formativi deontologici per i partecipanti.

Dalla bellissima sala affrescata della Certosa, comodamente seduti in atteggiamento di meri spettatori, abbiamo ascoltato le testimonianze dei due giornalisti palestinesi con sempre maggiore imbarazzo. La fuga dalle case a Gaza, nei primi giorni della guerra; “l’abitudine all’emergenza” e alla guerra già prima del 7 ottobre; la fame, la sete, la paura… eppure la ferma volontà di raccontare malgrado la violenza che spezza le parole in gola, che inumidisce gli occhi. E poi le minacce, i proiettili nella gamba, sparati da un soldato dell’IDF, le molestie sessuali, gli arresti intimidatori… Malgrado quei giubbotti con la scritta “PRESS” non siano più scudi ma bersagli, malgrado gli stessi luoghi di incontro e di lavoro improvvisati siano presi di mira e bombardati (l’ultimo attacco il 1° luglio scorso, costato la vita a giornalisti, bambini che festeggiavano un compleanno e semplici avventori) c’è chi resta e racconta.

Racconti sempre più raccapriccianti, sempre più orribili… racconti di un genocidio che non conosce freni e nel quale l’umanità tutta muore, ogni giorno, ogni volta che un proiettile uccide, che una bomba uccide, che un drone uccide. Gaza: da più grande carcere a cielo aperto del mondo a più grande cimitero a cielo aperto del mondo.

Oltre 200 i giornalisti morti dal 7 ottobre 2023. 

Il mondo resta a guardare e può farlo solo attraverso gli occhi dei giornalisti e fotoreporter palestinesi. Il resto della stampa – quella internazionale – resta fuori da Gaza e dalla Cisgiordania per espresso divieto di Israele. 

Deontologicamente parlando… la stampa italiana (in larga parte) è colpevole di un silenzio complice, imbarazzante, oggettivamente privo di giustificazioni. I giornalisti, che dovrebbero dare voce alla verità, essere testimoni di storie che il potere non ha interesse a far emergere, si rendono addirittura protagonisti di mistificazione, e si fanno megafono di propaganda di governo. Esempio lampante, proprio in questi giorni, l’attacco diffamatorio di Maurizio Molinari, ex direttore di Repubblica, ai danni di Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati. Al silenzio vergognoso delle istituzioni italiane di fronte alla richiesta di sanzioni fatta dagli Stati Uniti contro la nostra connazionale (che coraggiosamente ha denunciato il genocidio palestinese e le relazioni economiche e politiche che lo favoriscono) si aggiunge la diffamazione per voce di un giornalista contro cui è partito un esposto all’Ordine, che si auspica possa dare un segnale di cambio di rotta significativo.

Poche voci (troppo poche) si alzano per denunciare una deriva etica nell’informazione che pare andare di pari passo con un impoverimento dei valori fondanti delle democrazie. La diffidenza nei confronti “dell’altro”, che ci viene inculcata ormai quotidianamente; l’odio che ci viene instillato nelle orecchie attraverso la produzione in vitro di paure derivanti dalla convivenza, dal confronto, dalla povertà sempre più dilagante, tende a deumanizzare il bersaglio del nostro odio. Un processo già avvenuto negli anni ’30 e ’40 quando l’Europa, smarrita, si voltò dall’altra parte per non vedere i campi di sterminio nazisti.

E’ proprio di oggi la notizia che l’UE non ha sospenso l’Accordo di associazione tra Unione europea e Israele. La proposta dell’Alta rappresentante per la politica estera Kaja Kallas, che prevedeva 10 misure da adottare per interrompere le relazioni con lo Stato di Israele, è saltato a causa di una mancanza di unanimità degli Stati. A favore Spagna e Irlanda. Contro, manco a dirlo, Italia e Germania. Una nuova vergogna storica per il nostro Paese e, di conseguenza per l’Europa intera che, pur riconoscendo le numerose violazioni al diritto umanitario, riconosciute dall’ONU e dalla Corte Internazionale di Giustizia, ha inteso palesemente appoggiare le politiche sioniste genocidiarie.

Crollano tutte le istituzioni sovranazionali sorte dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale, quando i popoli urlavano “mai più”, nel silenzio distratto di quegli stessi popoli ormai troppo disfatti dal peso di sbarcare il lunario o troppo presi a infamare sui sociali o magari a fare qualche balletto ridicolo per aumentare follower. O peggio, vittime dell’ormai decennale algoritmo che avvalora le opinioni di chi cerca notizie online e contribuisce a creare “tifoserie” contrapposte e non esseri pensanti e disposti ad un civile confronto e, magari, ad un arricchimento della visione delle cose.

In tutto questo mondo impazzito, i giornalisti (NON) fanno la loro parte e vengono sostituiti da volenterosi blogger, da improvvisati narratori di storie, da ragazzini in cerca di visibilità, da indignati dalla narrazione istituzionale così palesemente falsa. E il peso del giubbotto “PRESS” rischia ogni giorno di ondeggiare tra l’essere un bersaglio e l’essere la colorata casacca del pagliaccio.

In questo desolante scenario – che resterà tale fino a quando non saranno i giornalisti veri così come gli uomini veri e ribellarsi e rompere gli schemi – qualcosa di buono mi sento di segnalarlo. 

L’Ordine Nazionale ha aderito alla campagna di raccolta fondi a favore dei giornalisti palestinesi della Striscia di Gaza e delle loro famiglie. La campagna di solidarietà si chiama “Alziamo la voce per Gaza’‘. I fondi sono destinati ai giornalisti palestinesi attraverso il loro sindacato con sede a Ramallah, che fa parte della federazione internazionale (IFJ).

I contributi possono essere versati sul conto corrente MPS intestato al Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti.

IBAN:  IT40N0103003250000005602513 con la causale ”Alziamo la voce per Gaza”.

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