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Direttore responsabile Raffaella Zelia Ruscitto
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Dynasty rossa: l’importanza del nome. E del cognome

E il mantenimento del posto? Stesso procedimento

di Raffaella Zelia Ruscitto

SIENA. Certo, per essere un Pd lanciato senza tentennamenti verso il cambiamento, pare troppo attaccato alla vecchia regola del “Ti piace vincere facile”, tirata fuori dai cassetti di via Rosi ad ogni appuntamento con le primarie.
Siamo andati tanto vicini al candidato unico per la segreteria provinciale che – quasi quasi – all’uscita di Riccardo Burresi, presidente del Consiglio provinciale, di area monaciana, abbiamo tutti tirato un sospiro di sollievo. Certo, sarebbe stato bello (e pure incredibile!) un congresso con diversi candidati, diversi documenti programmatici e un confronto su temi di rinnovamento. Ma Siena resta fedele a se stessa: il rinnovamento non nasce da un confronto di idee ma viene calato dall’alto, con modalità che hanno così poco a che vedere con il rinnovamento stesso che viene ormai da ridere. A partire dal fatto che i “rinnovatori” sono sempre gli stessi, che cambiano vestito ma la faccia no, quella sarebbe impossibile.
Il Pd senese si conferma un partito sotto sequestro: mentre si appresta ad una stagione congressuale da cui dipende il suo definitivo declino o la sua rinascita, si accartoccia su vecchie logiche senza futuro e continua a lavorare per un solo candidato. Quello scelto, manco a dirlo, dall’apparato. Di fatto snaturando lo stesso percorso – che dovrebbe essere sostanzialmente partecipativo – che partirà dai circoli e sfocerà  nell’assemblea.
Come abbiamo visto nell’ultima tornata elettorale, la mobilitazione della struttura operativa del partito è confluita nel sostegno al segretario uscente. Ovvero nel candidato scelto dai vertici “decennali”. Anche questa, una operazione nota. Infatti, l’allora vincitore dalle primarie, quel Valentini candidato a sindaco in barba a C., è stato sostenuto ben poco durante tutto il confronto pre-elezioni. Come se non fosse stato il candidato a sindaco del Pd nella sua interezza. In pratica, la campagna elettorale del Pd si è concentrata sui consiglieri di orientamento restauratorio, a discapito di tutti gli altri.
Burresi, dal canto suo, non manca di denunciare questo mdo di operare, addirittura scrivendo ai Garanti del partito. A quel Luigi Berlinguer che tante volte è stato chiamato in ballo per diverse presunte “scorrettezze” messe in atto da C. e compagnia. E per tutte quelle volte, il monolite della sinistra senese in tutte le sue evoluzioni, l’ex rettore, ex ministro e, a detta di tanti, eminenza grigia della casta locale sopravvissuta alle tante “scorribande” in città, si è guardato bene dall’informarsi, dal richiamare all’ordine i millantati padroni della struttura operativa e decisionale democratica. Sicuramente qualcosa avrà fatto: altrettanto sicuramente, questo qualcosa non ha apportato alcun beneficio – pratico o etico – a quello che era un tempo  un sano, sanissimo partito di maggioranza assoluta a Siena.  Prima dell’arrivo di una dirigenza autoreferenziata e inadatta…. Il collegio nazionale dei garanti, presieduto da Berlinguer, non si è mai espresso per un ripulisti. Neppure all’indomani delle “poco amichevoli comunicazioni della magistratura”. Al punto che il termine “garanti”, ci viene da pensare, maliziosamente, che voglia dire “garanti dello status quo”.
Ma Berlinguer non è solo Luigi. C’è anche Aldo. Quell’Aldo che, oltre all’attività di docente universitario si è trovato anche ad essere, guarda caso,  membro del Consiglio di amministrazione di MPS Gestione crediti Banca e di Banca Antonveneta Spa. Aldo, che sul Sole 24 Ore intervista, insieme con Eleonora Micheli, l’europarlamentare Pittella. Tema: Mps. E così, finalmente, scopriamo che, quasi quasi, banca Mps sta bene rispetto ad altre banche. Che, anzi, si è riempita la pancia di titoli di Stato per una sorta di altruismo patriottico e che, proprio per questo, si è poi trovata a chiedere aiuto, sempre allo Stato che, per riconoscenza non poteva certo tirarsi indietro. E scopriamo anche che l’Europa, questa biricchina, tratta le banche italiane (che stanno meglio di altre consorelle d’oltralpe), come figliastre.  Sciocchi noi che avevamo capito, invece, che la banca Mps fosse stata letteralmente messa in ginocchio da una gestione scellerata e da operazioni nefaste, su cui la magistratura indaga, chissà perchè.
Poi, praticamente lo stesso giorno, con un tempismo perfetto, leggiamo un trafiletto su L’Espresso in cui proprio Aldo Berlinguer è protagonista. “Liquidazione coatta amministrativa. E’ il verdetto emesso dal Tesoro nei confronti della Askar Invertors, società di gestione del risparmio specializzata in investimenti immobiliari che tira in ballo un nome prestigioso: quello dei Berlinguer. La liquidazione è scattata dopo che sono stare rilevate irregolarità di “gravità eccezionale” tutte riconducibili agli organi di vertice della sgr che non hanno assicurato la sana e prudente gestione” di Askar, “compromettendone la permanenza sul mercato”. Il decreto del Ministero parla di opacità degli assetti proprietari, di violazione degli obblighi di comunicazione e di carenze nella governance della società di cui è presidente Aldo Berlinguer”.
Quello che stupisce (ma anche no, data la frequenza con cui si commentano certe cose in Italia) è che i nomi – in questo caso i cognomi – non passano mai. Non passano di moda e non scendono mai dalla cresta dell’onda su cui sono saliti. La notorietà, la permanenza ai vertici di società, banche, aziende, a volte parte con la prima generazione, a volte con la seconda… e poi magari prosegue.
Così, dopo il baronato universitario, registriamo anche quello economico, politico e dirigenziale. Nella piccola Siena accade anche questo, a beneficio di una casta i cui legami sono caratterizzati da interessi ma non disdegnano rapporti di parentela più o meno diretta.
Se qualcuno, in una posizione favorevole all’interno del Pd, fosse davvero intenzionato a rinnovare il partito, si troverebbe a scontrarsi con un classico “muro di gomma”, refrattario ad ogni possibile modifica.  Impresa praticamente impossibile per un singolo, improbabile per un piccolo gruppo… difficile per un gruppo nutrito e compatto… raggiungibile per una rivoluzione. La rivoluzione che gli iscritti (quelli che ancora sono disposti ad iscriversi) non pare intendano fare. Lo dimostra il numero di candidati alla segreteria provinciale. E lo dimostra il nome che circola per l’unione comunale di Siena. Ancora tale Alessandro Mugnaioli. Voci insistenti darebbero come sfidante Sara Romano, una renziana doc, preparata e storica donna del Pd, intollerante a lacci e laccioli. E per questo avversaria fastidiosa, inopportuna e tanto altro.
Se fino ad oggi la storia ci ha insegnato che gli aspiranti rinnovatori del partito di maggioranza a Siena hanno fatto, chi più chi meno, una precoce fine politica (ma che fine ha fatto la generazione degli uomini e delle donne di sinistra “coetanei” di C.?), non comprendiamo con quali armi il giovane Guicciardini possa destrutturare (o resettare) il vecchio sistema a vantaggio di una nuova concezione della politica. Lui, nato politicamente all’ombra proprio di quel vecchio sistema, fino ad oggi ad esso fedele, da chi e quanto si farà “entusiasmare” sulla via della renziana rottamazione?
Queste disquisizioni sono, secondo il segretario provinciale uscente, mera perdita di tempo. Da un certo punto di vista non possiamo che dargli ragione. Credere davvero ad un cambiamento di rotta è un autentico volo pindarico. Ma la “filosofia minima”, l’aspirazione al bello e al buono e il contrasto a ciò che ci appare (non proprio solo teoricamente) sbagliato, è insito nell’uomo. Ambire a un mondo migliore, fatto da uomini e donne migliori, è tempo perso?  Desiderare un confronto  libero non scevro da critiche è tempo perso? Data la mancanza di organi bersaglio, destinatari della richiesta di confronto, forse sì. Ma non sappiamo se ammettere l’inutilità di questi esercizi vada a nostro detrimento o a danno di chi ne ha decretato tale fine. Ai posteri l’ardua sentenza…

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