"Da Milano a Siena, quando l’interesse collettivo diventa negoziabile"

di Pierluigi Piccini
Milano oggi è sotto i riflettori delle inchieste giudiziarie: urbanistica, grandi operazioni immobiliari, funzionari e assessori travolti da accuse di corruzione. Ma il cosiddetto “caso Milano” non è soltanto cronaca giudiziaria: è la cartina al tornasole di un processo più lungo e profondo che, in Italia, ha trasformato la pubblica amministrazione e il suo ruolo.
Negli anni Novanta, con la legge 241 del 1990, si è scelto di “modernizzare” la PA introducendo criteri come trasparenza, economicità, collaborazione. Slogan suggestivo: rendere lo Stato un “amico del cittadino”. Ma, passo dopo passo, la riforma ha demolito il principio che voleva la pubblica amministrazione garante e custode dell’interesse generale.
Il silenzio-assenso al posto del silenzio-diniego, la comunicazione d’inizio lavori che sostituisce l’autorizzazione, il pubblico impiego privatizzato e lo spoils system che cambia i vertici a ogni cambio di governo: l’impianto ottocentesco e costituzionale è stato ribaltato. Oggi la PA è spesso mediatrice tra interessi, più che garante del bene comune. E quando il privato dispone di risorse e competenze superiori, il bilanciamento salta.
Milano lo dimostra in maniera clamorosa: operazioni di “demolizione e ricostruzione” diventate scorciatoie per trasformazioni urbanistiche di interi quartieri, riducendo al minimo gli oneri e le dotazioni pubbliche. Non a caso, in Parlamento si discute il ddl “Salva Milano”, che promette ulteriore semplificazione, mentre urbanisti e studiosi denunciano il rischio di un’urbanistica senza vantaggi per la città, tutta a beneficio della rendita immobiliare.
Queste dinamiche non riguardano solo le metropoli. Anche Siena, città dal patrimonio unico, conosce casi che rispecchiano la stessa logica: varianti urbanistiche a ripetizione, grandi progetti energetici usati come grimaldello per trasformazioni edilizie, infrastrutture rilanciate senza un vero disegno condiviso.
La variante per l’area del PalaSclavo è un esempio significativo. Si è scelto di dividere l’area in comparti autonomi: sport, parcheggi, studentato. Così si potrà partire da ciò che è più conveniente o più facile, senza aspettare la messa in sicurezza e la riqualificazione del palazzetto. Una logica pragmatica, certo, ma che rischia di spezzare l’unità di visione e di lasciare il cuore dell’impianto sportivo indietro, mentre il resto corre.
A Isola d’Arbia, l’area dismessa dell’ex Idit è al centro di un accordo tra Comune e privati: prima i pannelli fotovoltaici su oltre cinque ettari, poi – forse – la rigenerazione urbana. L’energia rinnovabile è un bene, ma in questo caso il rischio è evidente: si parte dall’impianto, che è subito redditizio, mentre la riqualificazione degli edifici diventa opzionale. L’interesse collettivo alla rigenerazione dipende dalla volontà di un investitore, non da una regia pubblica vincolante.
Ancora più controverso il progetto per l’aeroporto di Ampugnano. L’idea è rilanciare lo scalo finanziandolo con un maxi impianto fotovoltaico. Ma i sindaci vicini denunciano di non essere stati consultati, e molti osservatori si chiedono se abbia senso puntare su un aeroporto locale in un’epoca in cui il trasporto aereo di piccola scala è in crisi. L’accoppiata “aeroporto + fotovoltaico” sembra costruita per garantire la sostenibilità economica dell’infrastruttura, più che per rispondere a un disegno condiviso di mobilità e sviluppo sostenibile.
Anche la crescita dei supermercati segue lo stesso copione. Varianti e autorizzazioni hanno favorito nuove aperture in aree sensibili, con il rischio di desertificare il commercio di vicinato. Ancora una volta l’interesse privato si insinua nei vuoti di pianificazione pubblica, mentre le ricadute sociali restano in secondo piano.
Che cosa lega Milano e Siena? Non solo inchieste o progetti contestati, ma un filo rosso più profondo: la progressiva privatizzazione della sfera pubblica. Quando l’amministrazione perde strumenti, competenze e autorevolezza, l’interesse collettivo diventa uno tra i tanti interessi, spesso il più debole. La pianificazione si riduce a somma di varianti. L’energia rinnovabile, valore positivo in sé, diventa leva per operazioni immobiliari. Le infrastrutture vengono rilanciate senza una visione territoriale. La partecipazione resta formale: lo dimostra il caso Ampugnano, con i Comuni confinanti informati a giochi fatti.
Per invertire la rotta servono strumenti e visione. Occorre recuperare la capacità pubblica di progettare, non solo di autorizzare; rendere vincolante la partecipazione dei cittadini e dei territori confinanti; obbligare a verifiche di impatto sociale e ambientale prima di ogni grande intervento; garantire che una quota rilevante della rendita urbana torni sempre alla collettività in servizi, verde, alloggi sociali.
Milano mostra l’esito finale di un percorso: un’amministrazione debole e una città in mano agli interessi immobiliari. Siena è ancora in tempo per scegliere una strada diversa, ma solo se la politica saprà recuperare la sua funzione originaria: guidare lo sviluppo con responsabilità, mettendo davvero l’interesse generale al primo posto.