Nuovi particolari sull'affaire con Deutsche Bank

di Red
SIENA. Mario Draghi non ha perso la prima occasione utile per una tirata d’orecchi a tutta la classe politica italiana. Il bollettino mensile Bce gennaio 2013 fa presente che “Nell’area dell’euro il clima del mercato obbligazionario ha risentito dell’influsso negativo esercitato dalle revisioni al ribasso delle previsioni di crescita”. Riguardo al nostro paese e all’evoluzione politica degli ultimi mesi che ha portato alle dimissioni di Monti e del suo governo riflette che “L’accresciuta incertezza politica in Italia, inoltre, è stata all’origine di alcuni flussi di capitali, con l’obiettivo di ricercare investimenti più sicuri (flight-to-safety), verso i titoli emessi dai paesi con rating AAA”. Ovvero: cari politici, attenti a quello che dite, che fate, che promettete. Il vantaggio in termini di piccoli punti percentuali nel gradimento elettorale può valere miliardi di euro che si spostano dal sostegno al debito pubblico italiano verso titoli di altri paesi, forse meno redditizi, ma anche meno volatili. Promettere di cancellare l’Imu, ad esempio, va bene per la massaia di Voghera. Ma se non si spiega al Fondo di Investimento XYZ come si manterrà salda la bilancia finanziaria del paese senza la tassa e senza tagli alla spesa pubblica ben mirati, alle aste dei Bot e BTp ci saranno sempre meno investitori disponibili e il tasso di interesse ricomincerà a salire, rimettendo in moto lo spread alla quota toccata alla fine del 2011.
Intanto la scoperta del “Progetto Santorini”, un malefico derivato studiato da Deutsche Bank e MPS nel 2008 per coprire le perdite milionarie del duo Mussari-Vigni, si arricchisce di nuovi particolari. Il primo riguarda proprio la prima banca tedesca. Secondo il Financial Times, infatti, durante la terribile crisi finanziaria del 2007-2009 Deutsche Bank avrebbe nascosto perdite per 12 miliardi sui derivati per non dover richiedere gli aiuti di Stato. Certo è che le commissioni di MPS hanno ben aiutato l’istituto di Francoforte sul Meno a superare la propria crisi. Deutsche Bank è sempre stata (ed è tutt’oggi) uno degli istituti europei con la maggior leva finanziaria. Questo significa che, a fronte di asset ingenti, la sua patrimonializzazione è scarsa: potenzialmente una delle vittime più grosse di Basilea 3, altro che il Monte. In più è particolarmente protetta dal governo della signora Merkel, anche a costo di una sostanziale impunità. Per questo non deve stupire il fatto che l’indagine sulla scorretta contabilizzazione dei derivati sia condotta dalle autorità americane (fra cui l’autorità di Borsa statunitense, la Sec), a cui si sarebbero rivolti, nei mesi passati, tre ex dipendenti della banca, non prima di aver segnalato le proprie perplessità sul portafoglio di derivati ai propri superiori. Ecco perché la notizia del progetto Santorini viene dagli USA e dall’esame dei documenti che la banca tedesca ha dovuto presentare agli organi statunitensi. Ed è la dimostrazione che in Italia la Vigilanza non la fa nessuno e chi ne era all’epoca a capo oggi occupa ruoli e poltrone di tutto rispetto. Anna Maria Tarantola, per esempio, è il presidente della Rai; Mario Draghi è il presidente della Bce; Vittorio Grilli è fino alle prossime elezioni il ministro dell’Economia.
”Questa transazione mostra la complessità dei bilanci delle banche – ha commentato Mark Williams della Boston University che in passato è stato funzionario della Federal Reserve per le banche – ti fa chiedere quali altri scheletri ci siano nell’armadio”. La risposta la dovrebbero dare Alessandro Profumo e Giuseppe Mussari, ovviamente. Santorini era “un problema” (parole sue) che Mussari aveva trovato nel 2006 in Rocca Salimbeni, senza immaginare l’uso che ne avrebbe fatto da lì a due anni. In effetti, l’originale contratto con Deutsche Bank era stato fatto nel 2002 dalla vecchia gestione del direttore generale De Bustis e già nel bilancio 2003 aveva iniziato a dare problemi (svalutata per 114 milioni di euro). Il veicolo Santorini aveva in pancia il 4,99% di Intesa Sanpaolo ed era controllato da Deutsche Bank (51%) e da Mps (49%). Nel 2006 la banca tedesca esercitò il recesso e il Monte acquisì il 100% della società irlandese, che negli anni successivi è stata svalutata fino a zero. Interpellata da Bloomberg, una portavoce di MPS non ha comunque commentato l’operazione con Deutsche Bank, né ha voluto dire se Santorini è una delle operazioni di finanza strutturata che ha portato la banca ad alzare la sua richiesta di aiuto pubblico di mezzo miliardo. Dal canto suo, una collega di Deutsche Bank ha sottolineato che “la transazione era soggetta ai nostri rigorosi processi di approvazione interna e ha ricevuto il necessario via libera del cliente, che aveva un suo consulente indipendente“. In ogni caso il Monte dei Paschi non ha mai rivelato gli effetti dell’operazione del 2008 nei suoi bilanci annuali e non è noto se il contratto con la banca tedesca faccia parte della documentazione al vaglio della magistratura.
Secondo due professionisti che hanno visionato i documenti, gli azionisti del Montepaschi non sono stati messi nella posizione di sapere delle scommesse in derivati della banca, dal momento che i resoconti finanziari periodici non hanno fornito sufficienti informazioni. Si attendono pronte reazioni dagli interessati, che verifichino anche se il CdA di allora avesse autorizzato l’affare. Nei suoi bilanci, rileva sempre Bloomberg, Monte dei Paschi ha riportato che il contratto – che ha una durata di dieci anni (fino al 2018) – ha comportato delle perdite virtuali per 87 milioni di euro nel 2007, nel 2008 per 62 milioni, mentre nel 2009 la liquidazione dell’operazione ne ha portate 224,4 milioni. Totale corrispondente giusto giusto ai risparmi che Viola vorrebbe realizzare con le esternalizzazioni…
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