Il tam tam politico invita lo Stato a procedere alla nazionalizzazione

di Red
SIENA. Sembra davvero che il Tandem si stia dissaldando. La lungimiranza paga e adesso che i nodi stanno tornando al pettine, il rammarico del miliardo di depositi che pare – si sa ma non si dice – MPS abbia perduto durante il regno di Alessandro Profumo diventa ancora più forte: però forse si può fermare lo spacchettamento della banca, la distruzione del lavoro, la rovina della città.
Andiamo con ordine: Antonella Mansi ha vinto il round contro il presidente e la cordata che l’ha nominato in Rocca Salimbeni. Il tentativo di Mancini nell’ultimo anno in Fondazione di privare completamente l’ente di ogni presa sulla banca era fallito miseramente e così la signora di Confindustria ha tirato fuori dalla borsetta quel qualcosa che ha spiazzato i piani della cricca in salsa romana. La reazione non si è fatta attendere, ed è venuta da un personaggio politico che di ingerenze a Siena ne ha fatte parecchie (anche incostituzionali, secondo la prassi che piace tanto alla politica di oggi) e non si spiega perché le cose che ha detto non le abbia condivise quando noi facevamo la Cassandra, come ci è stato accusato di essere.
Peccato non fosse vero, perché mentre Cassandra prediceva il futuro, Red analizzava il presente e Vincenzo Visco oggi ripete gli stessi concetti. “Il punto è che la banca era fallita: inutile fare ipocrisie. Il Tesoro avrebbe dovuto mettere capitale, non bond. Ed è quello che deve fare ancora adesso. Esattamente come hanno fatto gli altri Paesi sia in Europa che negli Stati Uniti. Invece da noi oggi c’è il terrore che lo Stato possa entrare nelle società”, queste le parole di un personaggio della ex-nomenklatura comunista dal 1983, che è stato ministro delle Finanze anche con Massimo D’Alema. Tra le righe si potrebbe leggere: visto che non lasciate la banca nelle nostre mani, è bene che tutti perdano tutto.
Gentilissimo professor Visco, la banca era tecnicamente fallita il giorno prima che Viola prendesse possesso delle stanze di Vigni, solo che ci sono voluti quasi due anni perché qualcuno di lor signori lo ammettesse; due anni persi a discutere con la Bce di “nuovi strumenti finanziari” per cercare di non perdere la presa sulla Rocca. Mentre le altre banche europee in default venivano nazionalizzate per cominciare subito un piano di risanamento, il conto del ritardo è stato scaricato su clienti e dipendenti e in definitiva su Siena e su tutte le altre realtà che dal lavoro della banca e dei suoi dipendenti traggono fonte di reddito e, come si dice, “muovono l’economia”.
Lo scopre anche la Fisac-Cgil (che pure a lungo ha avuto suoi esponenti nel CdA del MPS), attraverso le parole del suo segretario generale Agostino Megale. Perché lo scoprono solo oggi che una partita per il controllo del Monte sembra sia stata perduta da una fazione? Ma ammiriamo ulteriormente la lungimiranza del Visco-pensiero nell’intervista all’Unità: “Se entrasse il Tesoro basterebbe trasformare i Monti bond in azioni, non servirebbe nessun aumento di capitale. La Fondazione scenderebbe intorno al 15% e si potrebbero evitare i pasticci che sento evocare in giro, come l’ingresso di altre fondazioni o addirittura della Cassa depositi e prestiti”. Per concludere: “Capisco che la città non voglia la nazionalizzazione, ma mi permetto di osservare che a Siena gli enti locali appena hanno avuto le leve del comando sono riusciti a distruggere il terzo gruppo bancario italiano: se lo sono mangiato. Capisco la Mansi e le do ragione, lei si è difesa. Ma se vogliono salvare la banca serve la nazionalizzazione: il resto sono contorsioni. Siamo ancora in tempo”. Insomma Visco viaggia con due anni di ritardo, sebbene all’interno delle faccende Mps (banca e fondazione) lui ci fosse…. ricordiamo l’arrivo di Mussari in Fondazione al tempo dell’editto-Piccini!
Stesse osservazioni si potrbbero fare per il ministro Saccomanni, che come direttore generale della Banca d’Italia autorizzava Mussari a bruciare 17 miliardi della banca. E che come ministro dell’Economia adesso tuona che i senesi e i dipendenti del Monte ne devono restituire quattro ai contribuenti italiani. Quattro miliardi: ma non sono altro che quei Monti bond che lui stesso ha contribuito a confezionare sempre nel suo ruolo alla Banca d’Italia. Ma la responsabilità ce l’ha qualcuno in questo Paese? Il ministro Saccomanni a tuonare per la cordata perdente nel duello assembleare del 28 dicembre spera davvero che tutti abbiamo scarsa memoria e non ci ricordiamo che ha preso le decisioni, che oggi si vorrebbero scaricare su 54mila cittadini inermi e tenuti nell’ignoranza più assoluta dei fatti che ogni giorno si alzano per andare a fare il loro mestiere, cercando di farlo bene e con competenza?