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Direttore responsabile Raffaella Zelia Ruscitto
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MPS: le priorità per far ripartire lo sviluppo in Italia

E' il risultato dello studio realizzato dall

SIENA. La specializzazione produttiva, le variabili socio-istituzionali e gli incentivi sono alcune delle priorità per far ripartire lo sviluppo in Italia. E’ quello che emerge da uno studio realizzato dall’area research di Banca Monte dei Paschi di Siena, in collaborazione con l’Università Sorbona di Parigi, presentato oggi a Roma nell’ambito della conferenza organizzata dal think net VeDrò. Tema centrale del rapporto è la crescita in Italia, con un’analisi innovativa delle leve dello sviluppo per il sistema Paese, i suoi territori, le imprese. Lo studio, più che fornire una lista di ricette miracolose, mira ad evidenziare alcune priorità per far ripartire l’economia italiana e nasce dall’esigenza di capire come sarà l’Italia nel prossimo futuro. Negli anni recenti il Paese è cresciuto a tassi molto bassi rispetto ai suoi partner europei, tanto da subire un impoverimento relativo. Dallo studio emerge un quadro preoccupante, ma non genericamente pessimista. Le condizioni strutturali per ripartire con una crescita più sostenuta ci sono, anche se i rischi di una stagnazione sotto il peso del debito pubblico, di una struttura produttiva ingessata e di una società statica, sono concreti. Lo studio sostiene che gli incentivi al cambiamento si sono inceppati a causa di un circolo vizioso che lega la demografia, un mercato del lavoro duale e un sistema dell’istruzione non adeguato.

E’ necessario anche essere consapevoli che molti dei problemi che attraversa l’economia italiana sono comuni agli altri paesi avanzati. Demografia, concorrenza dai paesi emergenti, alto debito pubblico e alta pressione fiscale, dualismo del mercato del lavoro sono caratteristiche che accomunano gran parte dei paesi sviluppati. Forse l’Italia sta subendo questi problemi prima degli altri e in forma più acuta.

Il rapporto evidenzia che crescendo al 2% annuo (invece dell’attuale 1%), in meno di 40 anni l’Italia avrebbe un reddito pro capite doppio rispetto a quello attuale. Le implicazioni rispetto alle prospettive future, alla sostenibilità del debito e alle condizioni delle generazioni future sono evidentemente enormi. Lo studio analizza quindi le caratteristiche e le cause del declino economico italiano nell’ultimo decennio (o decenni) concentrando l’attenzione sull’analisi del tessuto industriale italiano incrociando le imprese, i settori ed i territori, sfruttando così la ricchezza di informazioni che ci è data dall’eterogeneità delle strutture economiche e le realtà socio-istituzionali che caratterizzano l’Italia.

 

Il primo capitolo fornisce uno sguardo d’insieme, analizza le caratteristiche fondamentali del rallentamento della crescita e discute alcune delle interpretazioni più diffuse. Ne esce un quadro in parte provocatorio, che mette in discussione molte delle interpretazioni correnti, che vengono associate a dei falsi miti. Il messaggio centrale del primo capitolo è che troppa enfasi viene data ai sintomi del declino piuttosto che alle cause, si confondono problemi statici con problemi dinamici (appunto la crescita) e si stabilisce un’equazione fuorviante fra caratteristiche tipiche del sistema produttivo e scarsa crescita. Alcuni esempi di tale impostazione. Abbiamo tante piccole imprese e quindi devono essere le piccole imprese le responsabili del rallentamento della crescita. Produciamo in molti settori tradizionali e quindi devono essere questi settori responsabili della cattiva performance. Dal capitolo I emerge però che il rallentamento italiano pre-crisi è dovuto ad un crollo dell’efficienza generale del sistema produttivo, efficienza misurata dalla cosiddetta Total Factor Productivity (TFP).

Il capitolo II affronta il tema centrale della specializzazione produttiva italiana e delle prospettive per modificare e migliorare tale specializzazione. La produttività e il potenziale di crescita di un paese e dei suoi territori sono legati alle caratteristiche della sua specializzazione produttiva e delle sue esportazioni. Il motore della crescita dell’Italia si è inceppato negli anni Duemila perché l’Italia non è stata più in grado di migliorare la sua struttura di produzione e di esportazioni in un contesto di sempre più forte concorrenza da parte dei paesi emergenti. Questi processi di trasformazione sono generalmente associati all’entrata di nuove imprese e all’uscita di quelle obsolete. Il sistema Italia ha fallito proprio in relazione a tale processo di trasformazione. Ciò spiega probabilmente le difficoltà del sistema industriale italiano. Allo stesso tempo vi è un dato incoraggiante poiché ciò significa che vi sono opportunità di crescita per il futuro: esiste infatti un insieme di attività altamente produttive nelle quali l’Italia non è ad oggi specializzata e che tuttavia non si trovano in posizione troppo distante dall’attuale struttura produttiva nazionale e sono quindi raggiungibili. Le simulazioni effettuate nel capitolo consentono di concludere che esiste effettivamente uno spazio per favorire la crescita del paese attraverso l’evoluzione della sua struttura produttiva: si stima infatti che il potenziamento delle attività produttive più sofisticate può dare un contributo alla crescita media annua del PIL pro capite compreso fra 0,7 e 1,7 punti percentuali. Ciò avvicinerebbe la crescita italiana al fatidico 2% annuo ormai da tutti visto come l’obiettivo da raggiungere.

Le cause di tale difficoltà nel trasformare la struttura produttiva e la specializzazione sono molteplici e possono essere distinte fra vincoli, barriere e incentivi. Le tendenze demografiche, con il rapido e progressivo invecchiamento della popolazione hanno creato le condizioni per tale immobilismo, ma non possono spiegarlo da sole. L’alto livello di ricchezza delle famiglie rispetto al reddito offre una chiave utile per spiegare il fenomeno della scarsa mobilità sociale. Più che una guerra generazionale, in Italia sembra esserci un “consociativismo generazionale” che produce un circolo vizioso nel quale si crea collusione fra giovani ed anziani attraverso un trasferimento di risorse fra generazioni che passa attraverso l’utilizzo della principale attività nella quale la ricchezza delle famiglie è investita, ovvero la casa. La situazione del sistema dell’istruzione, del mercato del lavoro, la struttura dell’imposizione fiscale e le politiche di protezione sociale sono elementi che condizionano tale circolo vizioso. Questi problemi sono ampiamente documentati da numerosi studi da parte di accademici e centri studi in Italia. Il problema è che la gravità di tali problemi non è percepita appieno nella popolazione e non risulta centrale nel dibattito politico. Rompere i circoli viziosi che bloccano la mobilità economica e sociale è fondamentale, ma bisogna anche essere realisti e capire quali sono i vincoli che condizionano il passaggio da migliori incentivi a crescita economica.

Il capitolo III del rapporto si concentra su tali aspetti. In particolare analizza l’impatto sulla produttività delle imprese di variabili istituzionali e di variabili finanziarie. Analizza, inoltre, come l’impatto della finanza sulla crescita della produttività interagisca con lo sviluppo istituzionale, con il capitale sociale nelle diverse province. Attraverso un’analisi su un campione di imprese su tutto il territorio nazionale, viene mostrato come la dicotomia vincoli-opportunità caratterizzi in modo nettamente distinto i diversi territori. Nelle province del Sud il miglioramento delle istituzioni rappresenta l’elemento prioritario per la crescita. A parità di contesto socio-istituzionale un’espansione del credito alle imprese ha effetti marginali. Soltanto dopo un livello soglia di sviluppo istituzionale, il credito rappresenta un motore per la crescita. Ciò non significa, però, che nulla può essere fatto nel campo finanziario in attesa del miglioramento istituzionale. Il sistema finanziario si trova di fronte ad una sfida che è quella di innovare e trovare forme di finanziamento allo sviluppo che escano dalle impostazioni passate. Un esempio significativo della carenza a livello nazionale di strumenti che finanzino attività innovative favorendo il cambiamento è dato dal peso irrisorio del venture capital, attività nella quale siamo il fanalino di coda dei paesi OCSE. Sia nel Sud che nel resto del paese sarà pertanto fondamentale sviluppare forme di finanziamento innovative e aumentare l’importanza dell’equity, della capitalizzazione delle imprese, rispetto al credito.

In sintesi, emerge un quadro complesso, con chiare priorità a seconda dei diversi territori, e anche un certo ottimismo, legato al fatto che il potenziale c’è. E’ però necessario ed urgente adottare politiche che invertano le tendenze negative associate alla miscela esplosiva (negativa), invecchiamento della popolazione, riduzione della mobilità sociale ed incentivi all’ingresso nel mercato del lavoro e all’accumulazione del capitale umano. Inoltre, il miglioramento del quadro istituzionale in tutto il paese e soprattutto al Sud, in particolare il rispetto della legalità è una priorità assoluta. Infine, lo stesso sistema finanziario si trova di fronte ad una grande sfida che è data dal ruolo di sostegno al processo di aumento della mobilità sociale, della mobilità regionale e dalla possibilità di innovare ed assumere rischi.

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