Storia di personaggi dalle diverse origini e dalle differenti mire

di Red – foto di Corrado De Serio
SIENA. Nella primavera del 2012 si pensava già al rinnovo della poltrona di presidente dell’Abi. Mussari era al termine del suo biennio, ed era pure alla fine del suo secondo mandato in MPS. Aveva già detto chiaramente che non avrebbe chiesto né accettato un terzo mandato a Siena (come scrisse Adriano Bonafede su La Repubblica del 28 novembre 2011). Ma, si disse, il presidente Abi deve essere operativo, per tradizione, anche nella sua banca, quindi, senza incarichi, Mussari non poteva ricandidarsi a capo delle banche italiane. In quei giorni si parlò pure di un suo eventuale incarico come presidente dello Ior, al posto del dimissionato Gotti Tedeschi.
A qualcuno sembrò blasfemia accostare il maggior finanziatore privato del Pd senese, vicino perfino alla Massoneria secondo altri, nel ruolo di defensor fidei della finanza vaticana. Ma la notizia fu presa molto sul serio: quale filo rosso conduceva da un’estremità all’altra del mondo? Curiosamente, nell’articolo di Bonafede del 2011, passò inosservata la chiosa finale: “Il colmo … è considerare anche il mark to market dei relativi derivati di copertura su solo quel rischio tasso sul portafogli (i 28 miliardi di BTp -ndr). Intanto perché – spiega un analista – la controparte di questi swap non è lo Stato italiano, e poi perché questi strumenti vengono usati per proteggersi dalla variazione dei tassi, e l’unico rischio in questo caso è di ricevere un interesse più basso di quello che la banca avrebbe avuto se non l’avesse fatto”.
In Banca d’Italia, leggendo la quotidiana rassegna stampa, qualcuno avrebbe dovuto strabuzzare gli occhi, invece chi non fa non sbaglia; e fare le pulci al presidente Abi magari non aiuta la carriera… La staffetta tra Gotti Tedeschi, legato all’Opus Dei, e Mussari forse è meno stravagante di quanto si possa pensare. La fretta con cui Santander vendette a MPS l’Antonveneta e quella stessa fretta che ebbe Mussari di acquistare da Emilio Botin, gran capo degli spagnoli, e ancora Gotti Tedeschi suo plenipotenziario in Italia, li lega per sempre.
La nota dell’Opus Dei arriva oggi: “Desideriamo chiarire che la prelatura dell’Opus Dei è totalmente estranea alla vicenda e che le sue attività non c’entrano nulla con banche e questioni economiche”, ha dichiarato Bruno Mastroianni, direttore dell’ufficio informazioni dell’Opera, per tirare fuori da qualsiasi questione la potente associazione cattolica.
Nel 2007 Santander voleva espandersi in Italia, e i mezzi non mancavano. Per bloccare il suo tentativo di ingresso nel mercato nazionale, San Paolo e Intesa vennero fuse. Botin allora girò le sue attenzioni su Abn Amro, banca già in difficoltà finanziaria per aver fatto un’opa vincente su Antonveneta e sotto il tiro di Rbs (Royal Bank of Scotland), altra banca messa male, che cercava nelle acquisizioni denaro fresco per sopravvivere. “In questa operazione era previsto che il Santander si sarebbe aggiudicato come asset principale il Banco Real in Brasile e l’Antonveneta in Italia, per 20,1 miliardi di euro”, legge nel bilancio 2007 di Santander Sergio Luciano di Affatitaliani.it. Ma l’8 novembre del 2007, il giorno dell’annuncio della vendita dell’asset padovano a MPS scrisse una lettera agli azionisti spagnoli: “L’incorporazione dell’Antonveneta nel Santander avrebbe rappresentato a sua volta un interessante primo passo in Italia nel settore del credito commerciale. Ma, senza imbarazzo, dobbiamo dire che con quest’acquisizione non avremmo avuto in quel Paese la dimensione sufficiente per sviluppare adeguatamente i nostri affari senza realizzare significativi ulteriori investimenti”. Insomma, avrebbe voluto il San Paolo, aveva comprato Antonveneta, aveva poi cercato di comprarsi anche il Montepaschi o qualcos’altro e non riuscendoci…. “Abbiamo deciso di accettare l’offerta che ci ha fatto il Monte dei Paschi di Siena per comprare Antonveneta per 9 miliardi di euro, cifra significativamente superiore ai 6.6 miliardi che abbiamo pagato nel quadro dell’Opa sul gruppo Abn Amro”. In questo modo – precisava ancora Botin ai suoi soci – il suo Santander aveva ridotto l’onere complessivo legato all’Opa su Abn, previsto inizialmente in 20 miliardi, e aveva potuto accantonare il previsto aumento di capitale da 4 miliardi …” Prosegue Luciano: “Quel che Botin non scriveva è che probabilmente i suoi uomini, in quei pochi mesi di lavoro in Antonveneta, si erano resi conto che la gestione olandese aveva lasciato la banca patrimonialmente sderenata…”.
Approfittiamone per vedere un po’ i numeri: dalle parole di Botin sappiamo che il prezzo fu di 9 miliardi. Però Mussari, forse per eccesso di fretta, non contrattò gli interessi, pur sapendo che – con tutte le autorizzazioni necessarie per realizzare l’operazione, compreso l’aumento di capitale – non sarebbero bastati sette mesi per versare i soldi al Santander. Poi partirono i bonifici verso Abn Amro per rimborsare i finanziamenti olandesi che erano serviti a mantenere l’operatività dell’Antonveneta spolpata. Ecco come si arriva a 17 miliardi complessivi: che siano tangenti o mazzette, spetta alle indagini della Magistratura trovare e rilevare, sperando che rimangano in questa cifra e non aumentino il buco.
Al presidente Profumo, che rimproverava Beppe Grillo di dare i numeri a casaccio, non resta che controllare le sue carte con il nostro conto della serva e di darne conferma (o smentita) nel prossimo CdA di Rocca Salimbeni di inizio febbraio. E di inviare una richiesta agli organi di vigilanza, per sapere come si fa a creare tutto questo caos senza che nessuno abbia nulla da obiettare alla fine del 2007. E la creazione artificiale dell’aumento di capitale doveva ancora essere messa in piedi…
© RIPRODUZIONE RISERVATA