A chi spetta chiedere spiegazioni dell'operato di Presidente e Deputazione?

di Red
SIENA. Il bilancio 2011 della Fondazione MPS è stato commentato, forse discusso, certamente subìto dai cittadini senesi, ma sempre cercando di non scrostare più di tanto la patina superficiale: sembra quasi che contasse, agli occhi di tanti, soltanto sapere che la festa era finita, che di soldi non ce ne erano più e pazienza per chi verrà. Vista la situazione in quest’ottica la Deputazione Generale e il suo Presidente hanno ben ragione nel non volersi dimettere: gran parte degli attuali inquilini sa già che non farà parte del futuro. Dunque è meglio vendere un pugno di azioni per navigare a vista e raccogliere le ultime briciole della grandeur che fu di Siena? Però il bilancio parla chiaro, forse fin troppo, e qualcuno potrebbe chiedergliene conto.
A pagina 36 del bilancio consuntivo (a firma Gabriello Mancini e Claudio Pieri, ovviamente) si dice che per sottoscrivere l’aumento di capitale varato da MPS nel luglio 2011 sono stati fatti debiti per 600 milioni. L’articolo 3 al punto 4 dello Statuto obbliga gli amministratori al fatto che la Fondazione “non può contrarre debiti per un importo complessivo superiore al 20% del proprio patrimonio”. Poche righe più in basso della pagina 39, si dichiara che il valore del patrimonio netto al 31/12/2011 è di 1.331.100.000,00 euro, per cui il limite massimo da non superare sarebbe stato di 267 milioni. E siamo già fuori dal consentito, anche senza aggiungere i 490 milioni del Fresh 2008, che è un vecchio “finanziamento mascherato” di JP Morgan. Non si capiva, infatti, perché la Fondazione avesse preso 600 milioni in prestito e ne dovesse rendere 1,2 miliardi al netto degli interessi, come alla fine venne confessato. E’ scritto nel bilancio, come il patrimonio netto risultante l’anno precedente fosse di 5,407 miliardi. Partendo da questa cifra, il 20% è 1,8 miliardi, quindi nei limiti consentiti. Peccato che al 30 giugno (quando sono andati a fare i debiti) non fosse più cifra vera: come racconta lo stesso bilancio era già stata alienata la partecipazione in Intesa San Paolo (maggio 2011) e si sarebbero vendute, per completare il reperimento dei soldi per coprire l’aumento di capitale, altre partecipazioni in CDP, Mediobanca, F2i, Fontanafredda, 100 milioni di azioni di MPS. Ovvero si sapeva che il patrimonio netto non sarebbe mai più stato quello di inizio 2011. E la tanto decantata diligenza del buon padre di famiglia avrebbe dovuto far riflettere che quell’aumento di capitale non si sarebbe dovuto sottoscrivere, mancando i mezzi fisici, come è certificato dalla stessa Deputazione nero su bianco.
Alla fine il CdA di Rocca Salimbeni ha dovuto avviare l’azione di responsabilità nei confronti dei suoi ex dirigenti e delle banche attive nell’affare dei derivati. Certamente nel prossimo luglio ci sarà a Palazzo Sansedoni una nuova Deputazione che dovrà prendere in esame il problema e fare le opportune valutazioni. Perché perdere nel giro di un anno (2010-2011) 4,075 miliardi di patrimonio netto, vendendo gli asset buoni e indebitandosi fuori portata non sono atti che possano passare inosservati. Ma oggi, una azione risarcitoria per la pessima gestione fallimentare acclarata da questo bilancio 2011, chi la deve fare? Una domanda molto importante, perché in proposito lo Statuto è assolutorio nei confronti dei suoi amministratori. Però ci sono danni rilevanti per tutti gli enti che avevano potere di nomina in Fondazione. I due più importanti sono Comune e Provincia, che hanno dovuto derubricare dai loro attivi le generose elargizioni della Fondazione e che – con il nuovo statuto in elaborazione – vedranno ridurre la loro influenza sulla composizione della Deputazione e la destinazione delle erogazioni.
Ma il commissario Laudanna e il presidente Bezzini non si muovono. Eppure presto ci sarà, visto che il dissesto non sembra di tale portata da far saltare le prossime amministrative, un nuovo sindaco. Che potrebbe contestare al dottor Laudanna l’inattività di questi lunghi mesi a tutela dei diritti del comune, quindi della città di Siena. E anche il presidente della Provincia andrà in scadenza nella primavera del 2014, e al suo posto potrebbe arrivare un nuovo amministratore che gli potrebbe presentare il conto per non aver agito in tutela del bene comune. Una azione legale contro la cattiva amministrazione di Palazzo Sansedoni e contro le banche che, pur conoscendo i conti reali della Fondazione (tanto da pretendere la garanzia accessoria del covenant), l’hanno finanziata lo stesso, spolpandola irreversibilmente. Qui però i fatti sono del 2011 e la prescrizione è ancora lontana: se qualcuno si muove si può fare ancora il bene di Siena.
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