Bei cipressetti, cipressetti miei... dove state andando?

SIENA. Qualcuno li definisce tempi bui, ma certo sono tempi strani quelli che stiamo vivendo. Certo sono anni molto diversi da quelli che molti di noi si sarebbero aspettati di vivere. C’è di tutto e ce n’è per tutti, nessuno (quasi) escluso: ti svegli un mattino e scopri che il luminoso governo di sinistra, o centrosinistra che dir si voglia (mah!), pensa di eliminare le pensioni di reversibilità – magari travestendo l’intenzione in guisa di ‘protezione dei vecchietti’ plagiati dalle cattivissime badanti che li vogliono a tutti i costi portare all’altare –; per mesi si gingilla l’opinione pubblica con questioni – importanti sì, significative certo! – non di vita o di morte, né impraticabili come la step adoption; e mentre la gente si arrovella per superare l’omofobia, per esibire un’elasticità mentale inedita nei confronti di usi e costumi inevitabilmente più mescolati (o se preferite, cosmopoliti), si cedono pezzi di mare pescoso alla Francia (forse in cambio di spalleggiamenti europei?), si gioca a ping pong con i salvataggi bancari e così via.
Ma se in noi rimane una briciola di lucidità, un po’di capacità di riflettere e di ragionare, navigando in rete ci si imbatte in notizie e dichiarazioni che fanno pensare – non bene – a come sarà il nostro futuro e quello dei nostri figli.
Per esempio: sono anni che leggiamo di land grabbing in Africa, messo in atto dai cinesi – ormai commuters abituali da e per l’Africa nera – ma anche dalle multinazionali del food, e dalla finanza mondiale, che dovrà pure piazzare da qualche parte la montagna di soldi fatta tosando il parco pecore dei risparmiatori coglioni!.
Abituati come siamo, noi occidentali e noi popolino un po’ fesso, a stare al balcone a guardare che cosa succede agli altri, ci stiamo scordando che quel che altri stanno patendo e subendo, potrebbe toccare anche noi: la globalizzazione è proprio questo, altro che eliminare le sperequazioni; azzeriamo le sperequazioni, sì, estendendo il peggio a tutti i popoli.
Chissà se qualche abitante del ridente borgo di Montalcino ha avuto un attimo di inquietudine leggendo le cronache dei passaggi di proprietà avvenuti nelle aziende del pregiatissimo vino toscano, o ha avvertito una stretta allo stomaco apprendendo che c’è chi – molto ricco e pure competente – dichiara con disarmante franchezza che vuole acquistare “tutto” quello che sarà possibile. Chissà che cosa ne pensa la politica – abitata, di questi tempi renziani soprattutto da toscani – chissà se anche costoro avvertiranno un briciolo di nostalgia per quella Toscana dal volto umano, dai vecchi un po’ bizzosi ma così schietti, dalle donne con le mani sempre sporche di farina, dalle filastrocche dottamente citate dal Benigni, und so weiter und so fort, che piace(va) tanto ai tedeschi.
Addio Chiantishire, e addio Brunellanti se c’è chi – pensando che la vita è più dolce nei dintorni di Siena di quanto non lo sia in quelli di Kinshasa – ha i mezzi per giocare a rubamazzetto o a Monopoly, con la certezza di avere tutti i numeri per farla da padrone.
Penso a quel noto economista che diceva: “la carta non la mangi, mentre la terra è l’unico bene che non può essere prodotto”. La superficie del suolo è un’entità ‘finita’, che non può essere ricreata. E senza suolo, senza terra non si mangia. Chi diventerà il padrone del paesaggio toscano? Meditiamo.