Si stanno preparando a tornare in pista senza tener conto delle responsabilità che hanno sul disastroso recente passato
di Mauro Aurigi
SIENA. Se i Senesi fossero cittadini normali non ci sarebbe bisogno di spiegarglielo ancora. Invece i Senesi, che per quasi un millennio sono stati super-normali, negli ultimi 30 anni sono precipitati improvvisamente nella sub-normalità, sottomettendosi al potere come mai era successo prima. Così non riescono più a capire ciò che, soprattutto a Siena, ormai dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti: i mercenari della politica o politicanti di mestiere o partitòcrati che dir si voglia, sono pessimi e disinvolti amministratori della ricchezza pubblica (ossia nostra) e anche peggio per quella privata (che quando è produttiva è pur essa di pubblica utilità: Monte Paschi docet). Per cui, se la società civile non riesce a tenerli sotto controllo come invece avviene nei paesi a civiltà più evoluta, sono sempre guai, guai seri, guai serissimi. Perché a quella gente la compulsiva avidità di potere personale sul pubblico e sul privato farà sempre premio su ogni su ogni altro sentimento o ideale (sempre nell’improbabile caso che ne abbiano).
IL MODELLO ROBIN HOOD
Particolarmente ipocriti i “compagni”, quelli che con la massima sfrontatezza si definivano di “sinistra” (e forse ci credevano pure), ma che in realtà erano e sono tutt’ora una destra della più pura acqua. Hanno sempre dato ad intendere di non amare la ricchezza e non si sono mai preoccupati di come produrla. Hanno invece sempre amato apparire come Robin Hood: spogliare i ricchi per vestire i poveri, senza peraltro spiegare cosa sarebbe successo quando i vestiti dei ricchi fossero finiti (non era un problema loro, ma di chi sarebbe venuto dopo). In realtà, gli ipocriti, si sono sempre tenuti per sé i vestiti migliori e gli avanzi, se c’erano, finivano a quei cittadini che nel frattempo avevano ridotto a sudditi, anzi a plebe plaudente per il panem et circenses (mi dicono che ancora Mussari presenzi alle partite della Mensana senza che neanche uno delle migliaia di “plebei” presenti osi reagire).
In realtà i compagni, contrariamente a quanto dicevano, non odiavano i ricchi per lo sfruttamento che questi praticavano sulle fasce più deboli della popolazione, ma li invidiavano sin nel profondo, e non tanto per la bella vita che la ricchezza consentiva loro, ma soprattutto per il potere e il prestigio goduto nella società. Si trattava insomma di una sorta di invidia del pene, per cui erano e sono animati da una sola ambizione: sostituirsi a loro.
UN PADRONE BASTA, DUE SONO TROPPI
In un lontano passato sono anch’io stato nel Partito (semplice militante) e nel Sindacato (qualche incarico periferico conferitomi dai lavoratori, non dalla gerarchia). Me li ricordo come si agitavano quando aziende piccole e grandi entravano in crisi o fallivano, gettando nel lastrico i dipendenti. Tra politicanti e sindacalisti era tutto un discettare delle cause di quei tracolli, delle responsabilità della proprietà, sottolineando in ardite analisi dove e perché questa avesse sbagliato. Ovviamente gli errori denunciati erano di una parte sola, la proprietà; mai che si ipotizzasse che qualcosa avessero sbagliato proprio loro, i mercenari della politica che amministravano la cosa pubblica, o i sindacalisti che gestivano i lavoratori. Alla lunga la cosa cominciò a darmi fastidio oltre il sopportabile. E siccome non stavo zitto, diventai insopportabile anche per loro. Immagino che la soddisfazione sia sta reciproca quando alla fine li lasciai nel corso di un congresso dell’allora Fidac-Cgil con queste parole: “UN PADRONE SULLE SPALLE DEI LAVORATORI BASTA E AVANZA. DUE SONO TROPPI”.
Ma a Siena politicanti e sindacalisti hanno avuto vita facile. Qui da tempo immemore, almeno da quasi mille anni prima del loro avvento, la ricchezza era pubblica più che in qualsiasi altra città italiana: si poteva quindi conquistare senza dover tagliare troppe teste. Ed ecco come è andata a finire dal momento in cui, una trentina di anni fa, hanno cominciato a narcotizzare il popolo. La Banca semimillenaria, la più antica e tra le più solide del mondo (certamente la più solida d’Europa) ridotta in condizioni disperate. La Fondazione, che era la più ricca d’Italia indebitata fino all’occhi. L’Università, tra le più antiche del mondo, dopo 8 secoli sepolta sotto una montagna di debiti. Lo Spedale, che con i suoi oltre 1000 anni di storia è anch’esso forse il più antico dell’Occidente, venduto alla Regione spacciando la trasformazione dei suoi 100 milioni di debito pubblico senese in 100 milioni di debito pubblico toscano come una raffinatissima operazione finanziaria degna dei migliori gnomi della City. Tutto questo in meno di 30 anni.
LA PAGLIUZZA E LA TRAVE
Tutto il resto crollerà dopo. Un poco alla volta questa città diventerà quella che si merita di essere: un piccolo, caratteristico centro del Meridione, con tutte le negatività che ciò comporta, prima di tutte quella dell’emigrazione di massa, e poi anche quella di porto franco per attività mafiose. Senza escludere, autentico dramma per moltissimi, di veder ridotto del 50% i valori immobiliari per l’improvviso eccesso di offerta che la crisi cittadina non mancherà di causare).
Ma di fronte al disastro ed allo spettro della disoccupazione di massa da loro stessi provocati, tutti questi signori, così bravi una volta a vedere la pagliuzza negli occhi altrui, sperano che noi non si sia capaci di vedere la trave infilata nei loro occhi. Così si guardano bene dall’indagare, sulle cause del disastro e spiegare dove la proprietà ha sbagliato. Mica scemi: sono loro i padroni ora. Anzi, si stanno attrezzando, con insopportabile faccia tosta, per ripresentarsi tutti, di destra e di (pseudo) sinistra, alle prossime elezioni travestiti da virtuosi salvatori della Città e della senesità (cosa questa che fino a ieri avevano bollata come fonte di ogni perversione politico-culturale). In una situazione normale avrebbero tutti dovuto rifugiarsi ad Hammamet, ma qui devono aver capito di poter contare sulla pasta tenera e ottusa di cui sono oggi fatti i Senesi.
A chi scrive non rimane che la solita invocazione: il cielo voglia che abbiano sbagliato il calcolo.