Lotte intestine al Pd per la scelta dei vertici cittadini
di Raffaella Zelia Ruscitto
SIENA. Ma che aria tira a Siena? Perchè una cosa è certa. Di aria ne tira. E non è quel venticello primaverile che piace tanto e che fa pregustare il tepore della bella stagione… Piuttosto il vento è quello che precede la tempesta. O che l’accompagna, rendendo più battente la pioggia. Più pungente il freddo.
Certo, all’ombra della Rocca, del Palazzo Sansedoni o di quello pubblico, le intemperie non arrivano mai così “catastrofiche” come sulla testa della gente comune. Ma il vento, invece, quello arriva. Eccome. Perchè, in barba alle logiche climatiche, trova origine nelle stesse persone che, in quelle stanze, intorno a quelle scrivanie, si affannano a scrivere la loro triste storia.
La città è in fermento ma, loro, restano aggrappati a modus operandi sempre uguali. Accordi sotto banco, scambi di favori, gioco delle tre carte (dove qualsiasi carta scegli si vince sempre qualcosa) tagli di teste e promozioni sul campo decise in base a delicati equilibri interni che, a volte, nonostante tutto, si infrangono contro “l’incognita”.
O la “variabile”.
A Siena il gioco si è sempre tenuto in piedi. Da oltre un trentennio.
E gli attori, salvo qualche piccola modifica, sono sempre gli stessi. Alcuni occulti, ma pur sempre di peso. Altri ben noti: per maggiore visibilità o anche solo per attitudine alla ribalta.
Il destino di Mps – banca e fondazione – interessa uomini e politici che hanno piedi e occhi oltre Siena. Ma questo interessa solo marginalmente ai politici locali che non vogliono rinunciare alla fetta di potere che abitualmente, fino ad oggi, hanno sempre avuto alla tavola delle decisioni.
E poco importa anche la situazione economica della banca e del suo azionista di riferimento. Una serie di debiti difficili da sanare e che, a detta di alcuni economisti bene informati, potrebbe portare, da qui a un lasso di tempo medio-lungo, ad una fusione con un altro gruppo bancario italiano di peso. E addio Mps. E addio soprattutto la S. Con annessi e connessi.
C’è da ammettere che questi politici nostrani non hanno nulla da invidiare agli esimi colleghi romani. Almeno per quanto attiene alla “faccia”. Proprio come fatto già a Roma sono arrivati a manifestare contro se stessi; si sono fatti un bagno nelle limpide acque della dimenticanza e ne sono usciti bianchi come colombe della pace, scaricando sui precedenti amministratori – e magari anche sui vertici della banca e della Fondazione – il dissesto fino a qualche settimana fa negato a squarciagola.
Nessun mea culpa. E ci mancherebbe! Solo qualche debole “giustificazione”. Del tipo: “non è il mio mestiere”; o “non possiamo farci nulla, i vertici della banca e della fondazione sono autonomi”… Dimenticando che, quasi quotidianamente, la comunicazione tra vertici era stringente. E non certo per informarsi sul reciproco stato di salute!
E chi cade? La testa più debole. O quella che si è esposta alzandosi di scatto mentre tutti gli altri restavano ancora a capo chino… Gabriello Mancini – quello che ha detto “ho solo eseguito gli ordini dei politici” – vacilla. E con lui il peso politico dei Monaci.
Colui che ha detto una folgorante verità, una verità condivisa dal mondo, e che ha fanciullescamente, come nella favola, detto “ma il re è nudo!” si attende solo di vederlo uscire di scena.
Ma lui, incurante di aver riconosciuto la sua carica di facciata – in barba alle responsabilità legate alla gestione in prima persona di un bene collettivo – non vuole mollare! No! Una poltrona, in Italia, semmai si cede agli eredi, naturali o meno, ma non certo per rinunicia!
Mentre se cerca il modo per scaricarlo ci si azzanna per scegliere chi dovrà scalare quello scranno. La diatriba è “fratricida”. ILe due anime del Pd mostrano nuovamente la loro incompatibilità: gli ex Ds contro l’ex Margherita.
Non è un fatto nuovo. Questi due schieramenti – che si riducono a due cognomi: Ceccuzzi e Monaci – non vogliono saperne di trovare un punto di contatto.
Oggi come oggi, il sindaco si può dire abbia avuto una buona dose di vittorie sul campo – se di vittorie si può parlare seduti su un cumulo di macerie – e non vuole proprio saperne di mollare una carica importante come quella di presidente della Fondazione Mps allo schieramento avverso.
Le riunioni che si sono tenute anche ieri nella roccaforte monaciana pare non abbiano portato ancora a nulla. Alfredo non piace alla dirigenza Pd che vuole un suo rappresentante. Disposta, forse, a concedere una presidenza ad un’altra fondazione – quella del Sms – ad un monaciano tipo Piccini o Burresi. Ma non di più.
I Monaci, però, hanno una forza in Consiglio comunale che non è certo facile ignorare. Come si fa a far passare il Bilancio e altri documenti di “interesse” senza l’appoggio dei margheritini? Una domanda che, in queste ore, attanaglia il nostro sindaco. Preso anche a scegliere il suo nome per il numero uno di palazzo Sansedoni. Che torni in auge il Piazzi, dopo una sua uscita di scena, causa l’ennesima (settima) carica assegnata?
Profumo resta, intanto, accreditato per la carica di presidente della Banca. Il fatto che sia indagato resta un fatto del tutto marginale. E che non pesa sulla sua persona al punto che i rappresentanti delle istituzioni pubbliche – quelli che dovrebbero prima di tutti gli altri essere difensori della legalità a tutti i costi – si sono sperticati in elogi per la scelta di questo nome. E i sindacati – la Cgil – hanno fatto eco. Nulla da dire sulle indicazioni date dalla deputazione della Fondazione. Che bravi… hanno fatto tutto in fretta. E bene. Complimenti, ma che piacere! E via di questo passo.
Che la città stia perdendo posti di lavoro, o riduzione di stipendi; che la causa sia ascrivibile sempre allo stesso manipolo di persone che poi nominano e a volte anche si autonominano in un circolo vizioso – a tratti anche ridicolo se non fosse per i nefasti esiti lì da vedere a Siena come nel resto d’Italia – ai sindacati sfugge. Ed è strano: perché ai lavoratori, impegnati anche a lavorare oltre che a seguire le vicende sempre preoccupanti delle loro aziende di appartenenza, questa logica osservazione, tanto logica quanto lapalissiana, non sfugge da tanto, tanto tempo.
E la dimostrazione è stata data scendendo in piazza.
Una manifestazione, quella del 16 marzo, che verrà ricordata per molto tempo. Con la speranza che non resti un episodio scollegato.
Ci sono, infatti, molte aziende senesi in sofferenza. Molti i lavoratori in difficoltà. Dall’Università alla banca, dalle aziende chimiche a quelle farmaceutiche, dalle industrie ai piccoli professionisti dell’indotto, legati mani e piedi a queste poche ma importanti realtà economiche della città.
Vige ancora, diffusamente, la mentalità del “non faccio chiasso, magari mi salvo”. Tutti presi a difendere il proprio orto senza superare questo limite egoistico passando ad una visione di insieme, ad un grado più alto di consapevolezza.
E proprio tra questi due gradini si giocano ancora le partite del potere. Quello che l’accordo, alla fine, lo trova sempre…
E resta dolorosamente fragile la potenza della democrazia. Anche a Siena.