Analogie e sincronismo con le vicende della Mens Sana basket spa fanno temere il peggio

di Red
SIENA. La parabola di Luca Bonechi, l’ennesimo grand commis del Partito democratico (si ricordi la segreteria Ds alla fine degli Anni ’90), alla presidenza di Sansedoni è più lunga di quella devastante di Gabriello Mancini alla Fondazione MPS. Il sito della società immobiliare è così pudico da non scrivere nemmeno due righe sul curriculum vitae del nostro, né da quanti anni sia presidente, anche se poi, nei dati di bilancio, risulta aver firmato quello del 2008. Non è detto che non sia meno devastante, però, fatta salva la taglia delle due aziende.
Mancini fu colpevolmente lasciato a scrivere il nuovo statuto della Fondazione, così l’ottimo lavoro di Antonella Mansi è ormai bruciato proprio da quello statuto che impone il rinnovo della presidenza dopo appena un anno. E all’unanimità tutti pensano che il partito si voglia riprendere Palazzo Sansedoni col beneplacito delle opposizioni. Alle prese con una crisi aggrovigliata da 130 a 150 milioni di euro di debiti, un contenzioso con le banche e lo spettro di un concordato preventivo o di procedure pre-concorsuali, vista l’impossibilità di monetizzare il mattone (palazzo Portinari a Firenze in primis, ma anche il complesso Whirlpool della Duccio Immobiliare), il CdA della Sansedoni, riunito più volte nel mese di luglio, non ha rinunciato però a far guidare le operazioni all’ineffabile Bonechi, sotto la cui guida la società si è ridotta in cattive condizioni.
E’ uno dei buchi neri della gestione Mansi, ed è certificato nel Bilancio 2013 della Fondazione Mps nella parte dedicata alle partecipazioni dell’ente senese. Eppure quella in Sansedoni, che vale un quinto degli asset, avrebbe bisogno di una cura da cavallo e la credibilità che un nuovo CdA potrebbe darle. In una società privata normale questo sarebbe già avvenuto e non soltanto la sostituzione (febbraio 2014, meglio tardi che mai) del direttore generale. Ora si capisce perché nell’era Mancini il bilancio dell’ente non fosse così chiaro come ha voluto Antonella Mansi adesso: i cittadini si sarebbero fatti diverse domande molto prima. E per comprendere il passato occorrerebbe ri-pubblicare correttamente i bilanci oggi: un atto di trasparenza che farebbe capire l’urgenza e l’importanza dell’azione di responsabilità verso i precedenti amministratori che con i giochetti attuali si vorrebbe porre nel dimenticatoio.
La signora Mansi non è riuscita a sfondare il muro di gomma della politica intorno al presidente Bonechi. La Sansedoni era una società senza debiti e con un ingente patrimonio da valorizzare, circa 200 milioni di euro nel 1999. Adesso, come la Mens Sana basket spa, sfrutta tutte le opportunità che la legge consente per ritardare l’approvazione del bilancio ben oltre il tempo massimo. Come è andata a finire in viale Sclavo tutti sanno. Ci viene un brivido al paragone, anche al pensiero di quello che ci si troverà dentro.
Speculazioni non riuscite come Casalboccone a Roma (che avevamo raccontato due anni fa ed è ancora fermo al palo), i 40 milioni ingessati nella joint venture sarda con Benetton e Toti, oneri finanziari in aumento contro calo del 10% dei ricavi dalle locazioni, l’uscita –non è chiaro a che prezzo- del gruppo Toti dall’azionariato nel 2010. Intorno al 20 agosto però arriverà anche questo redde rationem, coincidenza delle cose proprio con l’eventuale, ulteriore rinvio della nomina del presidente della Fondazione. Mediaticamente, per tentare di scaricare l’ennesimo fallimento del sistema Siena a nessuno (e, del resto, alla Mansi non sarebbe possibile attribuire alcuna responsabilità) e salvaguardare il politico che scenderebbe in campo in Palazzo Sansedoni, guarda caso, il 22 agosto.