Belgio e Gran Bretagna si muovono contro la crisi delle banche

di Red
SIENA. Il Belgio è un paese senza governo da oltre 500 giorni: non ha un presidente del consiglio che racconta barzellette e nemmeno una maggioranza di nominati che sostengano alcunché. Tuttavia, nel giro di pochi giorni, ha preso la decisione di nazionalizzare Dexia, la banca tossica, e lo sta facendo proprio adesso. Il consiglio di amministrazione della banca ne prenderà atto domenica mattina, a mercati chiusi, e sarà presa una rapida decisione per lo spacchettamento degli asset del gruppo. Il quotidiano belga De Tijd scrive che ”il piano federale prevede che lo stato rimarrà proprietario della banca per molti anni”, cosicché lunedì i mercati azionari riapriranno con tutte le rassicurazione del caso per evitare un nuovo caso come quello di Bear Stearns del 2008, piena zeppa di derivati. I belgi possono contare sull’appoggio americano, visto che un fallimento Dexia avrebbe conseguenze spaventose per Goldman Sachs e altre banche statunitensi che i derivati in portafoglio non li hanno mai veramente svalutati e probabilmente presentano bilanci falsati. Di cui non si occupano le agenzie di rating, naturalmente.
La decisione governativa è stata presa sotto la spinta dei correntisti che si sono precipitati a ritirare i loro soldi dalle filiali di Dexia, tra cui ha fatto scalpore il comune di Dordrecht in Olanda, che ha ritirato ben 11 milioni di euro spostandoli in un’altra banca, visto che nel 2008 ne aveva persi 7 col fallimento della internet bank Icesave, islandese, condividendo la sorte di almeno 300mila risparmiatori del Regno Unito. Il Belgio ha espresso un decisionismo sconosciuto alle lungaggini e alle schermaglie della politica italiana: probabilmente lo smembramento di Dexia tra i tre paesi in cui si svolge l’attività della banca, cioè Francia, Lussemburgo e Belgio, provocherà danni ai contribuenti. Ma sempre meno di quelli prodotti da un temporeggiamento inutile, come è uso nel Belpaese. Pensate se il governo Berlusconi, di fronte alla prospettiva di un fallimento di, ad esempio, Unicredit, avrebbe la stessa capacità di intervento.
Moody’s sposta l’attenzione dei mercati sulle banche inglesi. Fino ad ora rimaste abbastanza defilate rispetto a quelle del sud Europa e non sorprese piene di titoli di stato greci come quelle francesi e tedesche; gli istituti di credito d’oltremanica erano minacciate solo dal lavoro della commissione indipendente, che aveva proposto il loro smembramento con la divisione delle attività allo scopo di risolvere la questione del “too big to fail” troppo grandi per fallire, che aveva condizionato il governo britannico nell’affrontare la crisi del 2008. L’incertezza sulla volontà di Londra di intervenire se necessario in soccorso agli istituti di credito britannici ha determinato in Moody’s la necessità di abbassare il loro rating. E, notando come il governo Cameron sia meno incline a condizionare politicamente le scelte finanziarie, ci sembra di poter dire che in questo caso l’agenzia abbia fatto il suo lavoro senza condizionamenti politici. Ma torniamo al punto di partenza. La gravità della crisi di cui Dexia è solo la punta dell’iceberg ha indotto la politica belga a fare un passo indietro e a trovare un accordo per avere un vero governo dopo un anno e mezzo. Il socialista Elio Di Rupo ha coordinato le trattative tra otto partiti per raggiungere una intesa complessiva su un pacchetto di riforme costituzionali per mettere d’accordo il nord fiammingo, il sud vallone e francofono, la regione speciale di Bruxelles. Ma è la crisi che ha messo d’accordo le mosche: tutto il Belgio non vale una sola grande città cinese e le discussioni di bottega erano francamente diventate penose. Anche quelle relative a paesi dieci volte più grandi e sei volte più abitati come l’Italia. Che non ha nelle sue banche problemi di titoli tossici, ma che ha una debolezza strutturale del sistema bancario, tale da non poter facilemente sopportare le conseguenze dei guai altrui. Guai che si riflettono in cali di borsa che erodono gli asset e risicano gli utili. Con le famose minusvalenze, quelle cose che non si vedono ma arrivano dritte al bersaglio della recessione.