Riflessioni dopo l'intervento di Ceccuzzi sul tema del museo

In primo luogo il Santa Maria non avrebbe, secondo lui, grandi problemi. La sua crisi è puramente gestionale e non di contenuti. Basterà fare queste semplici cose, dice Ceccuzzi, per riportare a galla l’istituzione: lanciare la nuova Fondazione con soggetti pubblici e privati (?!), assegnare SMS a un’impresa che vincerà la gara, accordarsi con i sindacati. Il tutto nella prospettiva di rilanciare SMS in un momento in cui la città ha bisogno di iniziative che attraggano e dell’ipotesi di Siena capitale europea della cultura nel 2019. In secondo luogo i suoi ragionamenti hanno il sapore di una invettiva contro “gli altri” (i cattivi che hanno portato SMS alla rovina), dei quali Ceccuzzi non farebbe parte, ovviamente, e di una giaculatoria recitata allo scopo di rendere possibile ciò che, in assenza di una politica culturale seria e non di carta (assenza ormai cronica in Comune), appare del tutto impensabile.
Ceccuzzi sembra ignorare il fatto che SMS era in stato preagonico da tempo. Mancavano, in modo lampante, idee, progettualità scientifica e culturale, fantasia. Abbondavano, per contro, autoreferenzialità e improvvisazione. Mi sono trovato a portare i ragazzi di una V elementare in visita alla sezione di SMS dedicata all’archeologia (materia che insegno alla locale Università). Devo, purtroppo, confermare quanto viene riportato dalla pagina web (www.santamariadellascala.com/w2d3/v3/view/sms2/complesso–24/index.html): il Museo Archeologico è veramente “ospitato nei suggestivi cunicoli”, in condizioni di visibilità-illuminazione-accessibilità del tutto insoddisfacenti. È un Museo incompiuto: non è più il vecchio Museo fatto di collezioni realizzato dal giovane Bianchi Bandinelli nel 1933; non è mai diventato (non era possibile) un museo della città e del territorio. Museo, quest’ultimo, tutto da pensare e da progettare. E non solo per attirare a Siena folle inneggianti e paganti. Sì, anche per quello, ci mancherebbe, ma, prioritariamente, per ristabilire spessore e rango (un tempo rilevanti) dell’identità culturale complessiva di una comunità oggi confusa, smarrita e costretta a trovare rifugio nella più tranquillizzante dimensione identitaria della contrada. Ma vale la pena perdere molta dell’identità di Senesi a favore della sola, più ristretta, identità contradaiola? Io credo di no. Certo non per una città che aspira (dovrebbe aspirare) ad un ruolo internazionale sul piano delle vicende culturali.
Si continua a parlare di mostre, una parola che, ormai, suscita quasi istintivamente nausea negli operatori del settore: antropologi, archeologi, storici dell’arte… Sono convinto, al pari di molti colleghi, che un museo stabile e moderno, dinamico, vivo e interattivo sia preferibile ad una lunga e statica catena di mostre-evento. Con le debite e prestigiose eccezioni, le mostre sono state e sono le figlie di una società dell’immagine e di una cultura dell’apparire e del comunicare ormai vecchie e stantie, una pianta infestante che dagli anni ’80 non cessa di germogliare, anno dopo anno. Contestualmente, è venuto meno il rapporto fra i cittadini e il loro paesaggio urbano, un rapporto che a Siena era particolarmente integrato. Un rapporto completamente da ricostruire, chiamando a collaborare personale di questa Università e di altre Istituzioni culturali a un progetto di Museo della Città e del Territorio.
Per contro, il Centro Arte Contemporanea di Palazzo delle Papesse, che svolgeva egregiamente il ruolo di spazio dedicato alle innovazioni culturali, è stato chiuso con motivazioni pretestuose e incomprensibili. È una risorsa, quella dell’arte contemporanea, da recuperare e una scommessa da vincere.
A leggere le cose che vengono pubblicate in questi giorni sciagurati si ha la sensazione che tutti vogliano occuparsi di banche, statuti, fondazioni, nomine, regolamenti. Mi viene da dire: ancora? E provocatoriamente e d’istinto mi viene da chiedere: c’è qualcuno che sappia di ricciarelli, panforte, cavallucci e copate? Perché questo, nella realtà e nella metafora dovremo tornare a fare. E dovremo anche tornare a fare cultura ma quella vera, non solo quella delle nomine, degli incarichi, delle consulenze e delle prebende. Non è ammissibile, non sarà ammissibile, un sindaco di Siena che non conosca profondamente la storia di Siena, che non abbia consapevolezza del paesaggio urbano di Siena e dell’importanza che Siena ebbe come luogo dell’invenzione di nuovi linguaggi figurativi. La progettualità culturale emergente dall’intervento di Ceccuzzi appare debole e poco radicata.
Dentro “Siena si muove” (www.sienasimuove.it), insieme a Laura Vigni, stiamo lavorando molto nel campo della progettualità culturale, partendo da una seria analisi dello status quo e delle sue cause per cercare di suggerire alla città tutta, idee, strumenti, strade percorribili per ripartire davvero.
Franco Cambi – Siena si muove