Una riflessione sulle cause della crisi

di Mauro Aurigi
SIENA. Siena e i Senesi sono sempre più poveri e ancor più, molto di più, lo saranno in futuro. I politici di governo o negano questo fenomeno per cinico opportunismo o tacciono perché ignoranti (loro hanno altri interessi). Peggio gli intellettuali cittadini che sanno, ma tacciono perché asserviti (illuminante la lettura di “La libertà dei servi” di Maurizio Viroli). Proviamo a spiegare il perché di questa crisi, sperando di riuscirci.
Tutti i partiti di massa, anche quelli estinti da tempo come il partito giacobino, nascono sulla base di principi di grande contenuto morale e ideale per poi degenerare, senza eccezioni, nel più vergognoso dei modi. Perfino il documento di fondazione del partito fascista (Piazza Sansepolcro a Milano, 1919) aveva contenuti avanzati in gran parte ancora oggi accettabili (e comunque accettati perfino dal Pci dall’esilio francese nel 1936). E che dire della Chiesa? Fu partito anch’essa fin dai primi secoli, un partito che più di ogni altro ha basato la propria esistenza su principi morali. Eppure ha alle spalle una storia terribile e un presente nient’affatto edificante.
Ciò dipende dal fatto ineludibile che appena un partito riesce ad affermarsi si scatenano conflitti e congiure interne, spesso senza esclusione di colpi, per conquistarne il controllo. E’ una lotta fratricida in cui immancabilmente prevale o prevalgono i soggetti più avidi, cinici, disinvolti e sleali: nello scontro tra “fratelli” è sempre Caino che uccide Abele (si pensi al confronto D’Alema/Occhetto, ma si pensi anche alla recente storia della nostra Città). La selezione interna al partito è quindi sempre una selezione viziosa, mai virtuosa: elimina i migliori a vantaggio dei peggiori. Il detto che “l’unico politico buono è il politico morto” non è una battuta: da sempre il politico buono a 33 anni finisce crocifisso dai propri fratelli.
Così succede che alla fine il concetto “il partito è lo strumento e lo stato (o regione, comune, ecc.) è il fine” si rovescia: il partito (o chi lo controlla) diventa il fine e lo stato (o regione, comune ecc.) diventa lo strumento. Il partito o il sistema dei partiti finiscono così per rappresentare la massima minaccia per la democrazia e conseguentemente per l’evoluzione sociale, culturale e economica di una comunità. Ogni partito infatti ha in sé il germe della tirannia, del dispotismo, anche se fa della democrazia la sua bandiera: alla fine esso punta sempre alla sconfitta totale di ogni avversario e alla conquista totalitaria di ogni potere istituzionale. Fenomeni come il bolscevismo, il nazismo e il fascismo non rappresentarono, come invece si sente dire, l’abolizione del sistema dei partiti, ma la vittoria di un partito su tutti gli altri portata alle estreme conseguenze (si pensi al caso senese, con tutti i partiti ridotti al consenso). Non c’è partito infatti che si accontenti della conquista del 50% più uno dei voti. Tutti mirano alla conquista di un consenso quanto più possibile vicino al 100%: puntano ossia alla soppressione di ogni altro partito e alla dittatura di fatto di colui o di coloro che del partito vincente hanno conquistato il controllo. Queste sono le uniche ossessioni dei politicanti. Questioni come il bene comune, l’interesse generale, il buon governo, che pure infestano i loro discorsi, sono roba buona solo per l’ingenua, stupida plebe. E’ così che si ricostituisce il sistema feudale della Casta, sconfitto dai liberi Comuni italiani seicento anni prima che lo facessero i Francesi con la loro rivoluzione.
Non sarà un caso che i Comuni italiani avessero norme rigorose, ancorché applicate con grande difficoltà (solo la Repubblica di Venezia ci riuscì sempre e bene), per impedire che i cittadini si dividessero in partiti, perché sapevano che la lotta tra i partiti e la vittoria di un partito sugli altri avrebbero significato la perdita della libertà e quindi anche della ricchezza, quella ricchezza (la Siena moderna docet) che proprio quella libertà dei cittadini da un capo aveva generato. Sia detto per inciso: solo grazie a ciò il Nord Italia ancora oggi è più ricco e evoluto di quel Meridione dove le borghesie locali non riuscirono mai a sconfiggere la mafia dei baroni, così come oggi non si riesce a sconfiggere quella moderna fatta, come il feudalesimo medievale, di intrecci strettissimi tra politica, economia e criminalità (la Casta).
Le uniche situazioni, per altro rarissime, in cui il partito o i partiti non rappresentano una minaccia alla pace democratica e quindi alla floridezza di una comunità, sono quelle in cui il popolo (non è ovviamente il caso dell’Italia) sia riuscito a mantenere saldamente nelle sue mani il potere sovrano, ossia a salvaguardare il principio fondante della democrazia: la volontà deve salire dal basso non scendere dall’alto. Lì non sono i governanti che controllano i governati, ma viceversa. In quelle situazioni, in sintesi, la bilancia del potere pende dalla parte del popolo e non dei politici, i quali risultano per lo più anonimi, ossia a noi sconosciuti. Solo per questo paesi come Svezia, Svizzera, Olanda ecc. sono i più avanzati del mondo in termini di civiltà e ricchezza (e sembrano essersi salvati meglio degli altri dalla crisi attuale).
Siamo ormai vicini alle elezioni comunali. La concentrazione di potere in poche mani a Siena, se si tolgono le aree interessate dalla criminalità organizzata, è la più alta d’Italia ed è crescente. Da qui le previsioni più pessimistiche per il futuro. Sarebbe opportuno, almeno da parte dei cittadini più avvertiti una riflessione su questo tema.