GAIOLE IN CHIANTI. Si è tenuto questa mattina (5 giugno) al Castello di Brolio il convegno “Bettino Ricasoli: il suo disegno e la sua attualità nella congiuntura degli anni 2000”, organizzato da Barone Ricasoli spa e dal Consorzio Vino Chianti Classico. A duecento anni dalla sua nascita, la figura di Bettino Ricasoli è più che mai attuale, e grazie alla recente pubblicazione del carteggio intercorso tra il barone di ferro e il professor Cesare Studiati di Pisa si è fatta piena luce sul suo operato a Brolio in favore della nascita di una moderna vitivinicoltura di qualità.
L’incontro – introdotto dai saluti di Francesco Ricasoli amministratore delegato della Barone Ricasoli spa e da Marco Pallanti presidente del Consorzio Vino Chianti Classico – è stato aperto dal professor Zeffiro Ciuffoletti dell’Università di Firenze curatore del carteggio. Lo storico ha ricordato come Bettino abbia dato degli insegnamenti di straordinaria attualità, primo tra tutti quello che non esiste progresso economico in agricoltura se non c’è legame tra esperienza in campo e ricerca scientifica. La missione che Bettino si era prefisso era proprio quella di creare in Italia un’agricoltura moderna, retta da una classe dirigente preparata e attenta. Giuseppe De Rita – segretario generale Censis – ha quindi sottolineato la sostanziale mancanza nel nostro paese di una missione collettiva capace di coalizzare le forze intorno a un progetto unitario. Bettino Ricasoli aveva in mente il “brand territorio”, aveva un forte rapporto con la terra e sentiva la propria responsabilità come proprietario terriero. Ma soprattutto, sempre secondo De Rita, Bettino aveva ben individuato il punto dal quale partire, quello che oggi chiamiamo “start up”. I produttori del Chianti Classico dunque, per reggere le sfide del futuro, devono guardarsi intorno e chiedersi da dove ripartire per rafforzare sempre più il brand territoriale.
Claudio Peri, docente di Tecnologie alimentari presso l’Università di Milano, ha puntato il dito contro l’atteggiamento che molti di noi oggi in Italia hanno nei confronti delle produzioni tipiche, che ha definito di tipo “archeologico”. Bisogna invece tornare proprio sui passi già percorsi da Bettino, e approcciare il tema dell’eccellenza attraverso la sperimentazione e l’innovazione. Secondo Peri noi proteggiamo le nostre produzioni tipiche al posto di innovarle, attaccandoci a un passatismo spesso dannoso o comunque privo di significati. L’imprenditore deve tornare a essere al centro della produzione come faceva il barone di ferro, e deve essere in costante contatto con la ricerca.
Spesso si parla di evoluzione del gusto, ma c’è un altro fattore estremamente importante per la vitivinicoltura che almeno da un ventennio sta mutando in maniera evidente: il clima. Di questo ha parlato Gian Piero Maracchi, direttore dell’Ibimet del Cnr, che ha però confortato i produttori del Chianti Classico dicendo che i cambiamenti climatici in atto tutto sommato stanno favorendo l’allevamente della vite in questa parte interna della Toscana, dove si registrano sempre minori gelate e meno fenomeni atmosferici avversi in genere.
E’ quindi intervenuto Federico Vecchioni, presidente Confagricoltura, che ha ribadito la necessità di riforme in agricoltura della quale ha bisogno il nostro paese. Secondo Vecchioni l’uomo deve ritornare ad avere una posizione centrale nelle politiche agricole, oggi forse troppo attente alla salvaguardia del paesaggio e del territorio. Il concetto di qualità non può essere considerato statico; al contrario si evolve continuamente e comprende in sé il know how, il marketing, la capacità di un’azienda di essere sul mercato. L’Italia ha abbandonato la scienza in agricoltura, ed è proprio dalla scienza e dalla ricerca che dobbiamo ripartire smettendo di avere un atteggiamento negativo nei confronti dei laboratori e delle sperimentazioni. Secondo Vecchioni in Europa andranno a scontrarsi due opposte tendenze: quelle dell’agricoltura per l’autoconsumo e quella industriale. In realtà, noi abbiamo bisogno di entrambe, e di tutte le altre forme di agricoltura attualmente esistenti.
Il dibattito si è poi chiuso con gli interventi di Francesco Ricasoli e di Marco Pallanti che, stimolati dal moderatore Bruno Vespa, hanno affrontano il tema del disciplinare del Chianti Classico. Entrambi sono d’accordo nel vedere in un disciplinare più libero e più ricco di opportunità per i produttori il vero futuro del Chianti Classico. Secondo Ricasoli i disciplinari italiani in genere dovrebbero avvicinarsi a quelli francesi, che per esempio non impongono percentuali fisse di vitigni da impiegare, ma che si limitano a suggerire quali debbano essere le uve da impiantare, lasciando poi al produttore la libertà di mescolarle nelle percentuali a lui più consone. Secondo Pallanti, i produttori del comprensorio devono continuare a lavorare sul Sangiovese, ma questo non deve essere un imperativo assoluto, perché in 7.200 ettari di vigneto è chiaro che le differenze pedoclimatiche esistono, e non si può pensare che il Sangiovese possa esprimersi al meglio in ogni singolo vigneto del Chianti Classico.
L’incontro – introdotto dai saluti di Francesco Ricasoli amministratore delegato della Barone Ricasoli spa e da Marco Pallanti presidente del Consorzio Vino Chianti Classico – è stato aperto dal professor Zeffiro Ciuffoletti dell’Università di Firenze curatore del carteggio. Lo storico ha ricordato come Bettino abbia dato degli insegnamenti di straordinaria attualità, primo tra tutti quello che non esiste progresso economico in agricoltura se non c’è legame tra esperienza in campo e ricerca scientifica. La missione che Bettino si era prefisso era proprio quella di creare in Italia un’agricoltura moderna, retta da una classe dirigente preparata e attenta. Giuseppe De Rita – segretario generale Censis – ha quindi sottolineato la sostanziale mancanza nel nostro paese di una missione collettiva capace di coalizzare le forze intorno a un progetto unitario. Bettino Ricasoli aveva in mente il “brand territorio”, aveva un forte rapporto con la terra e sentiva la propria responsabilità come proprietario terriero. Ma soprattutto, sempre secondo De Rita, Bettino aveva ben individuato il punto dal quale partire, quello che oggi chiamiamo “start up”. I produttori del Chianti Classico dunque, per reggere le sfide del futuro, devono guardarsi intorno e chiedersi da dove ripartire per rafforzare sempre più il brand territoriale.
Claudio Peri, docente di Tecnologie alimentari presso l’Università di Milano, ha puntato il dito contro l’atteggiamento che molti di noi oggi in Italia hanno nei confronti delle produzioni tipiche, che ha definito di tipo “archeologico”. Bisogna invece tornare proprio sui passi già percorsi da Bettino, e approcciare il tema dell’eccellenza attraverso la sperimentazione e l’innovazione. Secondo Peri noi proteggiamo le nostre produzioni tipiche al posto di innovarle, attaccandoci a un passatismo spesso dannoso o comunque privo di significati. L’imprenditore deve tornare a essere al centro della produzione come faceva il barone di ferro, e deve essere in costante contatto con la ricerca.
Spesso si parla di evoluzione del gusto, ma c’è un altro fattore estremamente importante per la vitivinicoltura che almeno da un ventennio sta mutando in maniera evidente: il clima. Di questo ha parlato Gian Piero Maracchi, direttore dell’Ibimet del Cnr, che ha però confortato i produttori del Chianti Classico dicendo che i cambiamenti climatici in atto tutto sommato stanno favorendo l’allevamente della vite in questa parte interna della Toscana, dove si registrano sempre minori gelate e meno fenomeni atmosferici avversi in genere.
E’ quindi intervenuto Federico Vecchioni, presidente Confagricoltura, che ha ribadito la necessità di riforme in agricoltura della quale ha bisogno il nostro paese. Secondo Vecchioni l’uomo deve ritornare ad avere una posizione centrale nelle politiche agricole, oggi forse troppo attente alla salvaguardia del paesaggio e del territorio. Il concetto di qualità non può essere considerato statico; al contrario si evolve continuamente e comprende in sé il know how, il marketing, la capacità di un’azienda di essere sul mercato. L’Italia ha abbandonato la scienza in agricoltura, ed è proprio dalla scienza e dalla ricerca che dobbiamo ripartire smettendo di avere un atteggiamento negativo nei confronti dei laboratori e delle sperimentazioni. Secondo Vecchioni in Europa andranno a scontrarsi due opposte tendenze: quelle dell’agricoltura per l’autoconsumo e quella industriale. In realtà, noi abbiamo bisogno di entrambe, e di tutte le altre forme di agricoltura attualmente esistenti.
Il dibattito si è poi chiuso con gli interventi di Francesco Ricasoli e di Marco Pallanti che, stimolati dal moderatore Bruno Vespa, hanno affrontano il tema del disciplinare del Chianti Classico. Entrambi sono d’accordo nel vedere in un disciplinare più libero e più ricco di opportunità per i produttori il vero futuro del Chianti Classico. Secondo Ricasoli i disciplinari italiani in genere dovrebbero avvicinarsi a quelli francesi, che per esempio non impongono percentuali fisse di vitigni da impiegare, ma che si limitano a suggerire quali debbano essere le uve da impiantare, lasciando poi al produttore la libertà di mescolarle nelle percentuali a lui più consone. Secondo Pallanti, i produttori del comprensorio devono continuare a lavorare sul Sangiovese, ma questo non deve essere un imperativo assoluto, perché in 7.200 ettari di vigneto è chiaro che le differenze pedoclimatiche esistono, e non si può pensare che il Sangiovese possa esprimersi al meglio in ogni singolo vigneto del Chianti Classico.
