di Paola Dei
“Odio Dante perché ha messo all’Inferno tutti i miei amici”. Con queste parole Jack Kerouac, il padre della beat generation definì la poetica dantesca.
Per lui, tutti i personaggi infernali, a partire da Francesca che cercava l’amore, fino ad Ulisse che cercava la conoscenza al di là degli stereotipi comuni, erano personaggi straordinari, che per non ammalarsi psicologicamente e non subire il volere sociale senza lottare, osavano gesta straordinarie. Meno eccelsi erano invece i personaggi del purgatorio come la Sapia, ghibellina di nascita e guelfa per ripicca, che nella battaglia di Monteaperti desiderò la vittoria dei fiorentini piuttosto che quella della sua città.
Sembra che Dante fosse venuto a conoscenza della vicenda di Sapia durante il suo mandato come legato fiorentino a San Gimignano nel 1330, o magari tramite Benaccio di Benuccio Salimbeni, nipote della nobildonna, al quale era legato da amicizia. Fatto sta che il Sommo poeta mise in Purgatorio la donna e scrisse: “Savia non fui, avvenga che Sapia fossi chiamata, e fui de li altrui danni più lieta assai che di ventura mia”.
Ma, come ci indica il padre della Beat Generation, come ha potuto mettere Francesca all’Inferno e Sapia in purgatorio? Fra tutti i vizi capitali l’invidia è il peggiore; il più distruttivo, il meno costruttivo. É molto peggio l’invidia certamente della volontà di trovare un riscatto ad un amore negato. Meglio, molto meglio la volontà di sapere, piuttosto che la condanna di una prigione fatta di stereotipi e di una conoscenza limitata. Kerouac in questo non faceva sconti a nessuno dei grandi autori della letteratura italiana di tutti i tempi, tanto da sostenere, in una intervista fattagli da Fernanda Pivano nel 1966, che Dante, Leopardi e Petrarca sono stati ininfluenti. Troppo stereotipati e moralisti a quanto sembra. L’unico degno di considerazione per lo scrittore nato il 12 marzo del 1922 a Lowell nel Massachusetts, stessa data di nascita di D’Annunzio, sembra che sia stato colui che viene definito il Vate o il Cattivo poeta. Di certo Kerouac non amava molto colui che viene sempre raffigurato con la corona di alloro in testa e che nel Medioevo veniva utilizzata come simbolo di trionfo per incoronare i poeti. Quello di Dante è pertanto un alloro poetico. Ma a caratterizzare il Sommo poeta fiorentino non è solo la corona, bensì anche il suo amore per l’unica donna degna della sua vita: Beatrice. Una vera Beatrice che bea, alla quale il Sommo si abbeverava come ad una fonte e restava estasiato alla sola vista, come raffigura il quadro conservato alla Walker Art Gallery di Liverpool intitolato Dante e Beatrice e dipinto da Henry Holiday negli anni scrivibili al 1882/1884.. Un amore platonico durato una vita. Dante conobbe infatti Beatrice all’età di nove anni, un numero che il poeta, studioso anche di numerologia, identificava anche con un miracolo. Il secondo incontro ci fu ben nove anni dopo; altra coincidenza che riporta al numero 9, quando i due giovani, percependosi a vicenda incrociarono i loro sguardi. Dante per primo la salutò cortesemente dando origine a quello che in seguito sarebbe stato definito amor cortese. Anche questa cortesia per l’irriverente Kerouac, é stata certamente troppo formale se si pensa a ciò che si sa di Dante dopo l’incontro con Beatrice. Kerouac avrebbe preferito un viaggio nel quinto canto dell’Inferno a questo amore non consumato.
Secoli e caratteri diversi! Ma ciò che non é diverso é la passione bruciante e. Infuocata degli animi.
Dopo l’incontro infatti il Sommo fece un sogno, forse un incubo e, dentro una nube di colore fuoco, vide un uomo dall’aspetto terrificante che teneva fra le braccia Beatrice, avvolta in un drappo sanguigno. Come se non bastasse, quell’uomo dava in pasto a Beatrice un cuore ardente e rivolgendosi proprio al sognatore disse:”Vede cor tuum”.
Quando si svegliò Dante compose il sonettò “A ciascun Alma presa a gentil core” che inviò a Guido Cavalcanti che, comprendendo il dolore dell’uomo, gli diverrà molto amico e lo sosterrà in questa vicenda amorosa.
Dante rivide l’amata in Chiesa tempo dopo, ma, per non sciupare la di lei reputazione, decise di rivolgere le proprie attenzioni ad una donna schermo.
No senza dubbio, nemmeno le donne schermo piacevano a Kerouac, che apprezzava molto di più le gesta di D’Annunzio. Fatto sta che Dante e Beatrice di cattivi esempi nom ce ne hanno dato neppure uno e che nel quinto canto Francesca non ha mai incontrato Beatrice.
Ma la storia di Dante e Beatrice nom finì così; anzi, quando la donna si allontanò da Firenze, lui, sempre per proteggere la sua reputazione, scelse un’altra donna schermo e Beatrice ne fu così infastidita da decidere di non salutarlo più. Coincidenza che sarebbe piaciuta ancora meno al genio irriverente Jack Kerouac. Abituato a vivere Sulla strada, On The road, avrebbe scritto volentieri nel suo romanzo che Dante corse dietro a Beatrice attraversando mari e monti per poterle dare un bacio. Ma Dante no, non lo fece mai. Anzi, fece prima in tempo Beatrice a morire senza neanche aver potuto leggere una pagina galeotta di quel libro che portò Francesca a gettarsi nella braccia di Paolo. Ma almeno Paolo e Francesca si baciarono, avrebbe detto Kerouac, Dante e Beatrice, nonostante i secoli passati, di baci non se ne sono dati neanche uno sulla fronte eppure hanno vissuto lo stesso il loro inferno personale.
Dante dopo l’incontro con Beatrice, si ritirò nella sua solitudine e, questa volta, gli apparve un giovane vestito di bianco, ben diverso dall’impeto infuocato del primo sogno, che di certo rifletteva i suoi vissuti interiori. Questi gli suggerì di mettere in versi quello che provava. Dante obbedì e la donna amata perse le connotazioni terrene e divenne angelica, inviata in terra da Dio per ricondurre il genere umano al bene. “Da cielo in terra a miracol mostrare”. Non più rosso passione, ma bianco candido nei pensieri del Sommo, Niente corse dietro all’amata, niente sorprese, niente baci…. che tanto sarebbero piaciuti a Kerouac.
Ma in questo modo il poeta poté condividere con il mondo ciò che provava fino alla morte della donna che avvenne all’età di 24 anni e della quale il Sommo Poeta aveva avuto premonizione. Per qualche tempo venne consolato dallo sguardo di un’altra donna, ma poi decise di ascoltare quanto immaginò che le avesse detto la stessa Beatrice, esortandolo a non amare nessun altra che non fosse lei.
Una storia d’amore platonica, dove forse Beatrice rappresenta la poesia stessa, un mistero che, come l’opera di Breton, intitolata Nadja, lascia molti interrogativi. Dante forse in questo é stato il primo surrealista della storia della letteratura. E questa è stata una delle sue geniali intuizioni. E questo…. forse sì che sarebbe piaciuto a Kerouac.
Qualunque cosa sia stata Beatrice, i versi del Sommo Poeta restano immortali ed il suo viaggio il simbolo di ogni vita. A 700 anni dalla morte, i suoi versi hanno echeggiato per tutto il 2021 in ogni luogo, in particolare a Firenze e Siena, territori della toscanità. Un canto, una pietra con una scritta, un brano recitato per le vie… e sembra di rivivere situazioni e momenti che, seppur hanno cambiato connotazioni, sono rimaste le stesse nella definizione dei vizi capitali. Certo oggi nel girone dei lussuriosi non metteremo più la povera Francesca che, mentre lotta con i versi galeotti di un libro, si innamora del bel Paolo, dando vita ad una delle coppie più ricordate ed evocate nelle arti. Ci metteremo piuttosto la Sapia, considerando che il vizio di gran lunga peggiore e ingiustificato è l’invidia. Cattiveria non paragonabile ad un pò di lussuria, che anzi evoca passioni e desideri, mentre l’invidia evoca il male. Basti pensare che è il vizio capitale dei peggiori criminali! Su questo Kerouac avrebbe scritto un poema mandando la Sapia al Polo Nord, Beatrice fra i Lussuriosi e Francesca in Paradiso con Paolo a baciarsi finalmente in pace. Cambiano dunque i peccatori ma non i peccati. E sono proprio questi vissuti che, come consuetudine, hanno stimolato, per il loro tema annuale, le artiste dell’Associaizione ALI- Artisti liberi indipendenti, per raccontare il poeta dell’amore impossibile, che per sublimare istinti e passioni scrisse La commedia più famosa al mondo, poi divenuta Divina. ALI lo evoca con i colori e con le forme.
Ogni artista attraverso iconografie, immagini, immaginazione, ha restituito la propria interpretazione in un tutto che vale più della somma delle singole parti. Moltissimi sono stati i luoghi attraversati in Toscana per le Mostre: Cerreto Guidi, Chiusi, Murlo, etc,, quasi a seguire il viaggio indicato dal Sommo per scoprire che ogni vita merita un romanzo e che ogni vita merita un colore e forse molti colori.
Non vi resta che sfogliare il catalogo e guardare Dante con occhi nuovi.
