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Paolo Cesarini: un omaggio tardivo

LunedìLibri ha presentato il Diario (1945-1946)

di Duccio Benocci

SIENA – Siena (naturalmente per colpa degli stessi senesi o dei sedicenti tali !) si conferma una città senza “memoria”. O forse, a dir la verità, ne ha troppa? E allora, in tal caso, il difetto starebbe nel non saperla ben amministrare (la memoria). Dico questo perchè certe “date” importanti, sebbene non politiche, passano spesso non solo senza celebrazione alcuna, ma senza che nessuno minimamente se ne accorga.

Così è avvenuto, ad esempio, per l’anniversario della scomparsa del senese Paolo Cesarini (Siena, 21 settembre 1911-Siena, 15 novembre 1985): acuto giornalista, scrittore fin dai quindici/sedici anni d’età, fine biografo, figura “completa” di intellettuale tra le più illustri del secolo appena trascorso. Ritengo che non sia bastato intitolargli una strada, in zona Scacciapensieri (2006), per sentirsi la coscienza a posto.

Fortunatamente, nel corso degli anni, nonostante il complessivo silenzio da parte della critica letteraria ufficiale, non è stato del tutto dimenticato. Penso all’impegno con cui Carlo Fini e Luigi Oliveto hanno voluto ed ottenuto la riedizione del raro Tutti gli anni di Tozzi (Montepulciano, Le Balze, 2002), vero e proprio capolavoro di ricostruzione biografica e non solo. Penso anche alla sua giusta inclusione nel convegno di studi Senesi nella storia del giornalismo (Siena, 21 novembre 2003), in cui fu lo stesso Fini a dedicargli una pregnante relazione.

Nell’ottobre 2004, poi, l’Amministrazione Provinciale di Siena, su indicazione del Gruppo Stampa Senese, ha deciso di intitolargli la propria Sala Stampa all’interno del Palazzo del Governo in Piazza Duomo.

L’Associazione Amici di Romano Bilenchi – altro grande giornalista, narratore di capitale importanza e, tra l’altro, intimo amico del Cesarini – , che ha sede a Colle di Val d’Elsa (città natale del “dedicatario”), nella propria collana editoriale – detta “Bilenchiana” – ha dato alle stampe il carteggio Bilenchi-Cesarini (È bene scrivere poco. Lettere 1932-1984, Fiesole, Cadmo, 2003) e, nel 2007, ha promosso la presentazione della ristampa di una fra le opere più alte scritte dal senese: Mohamed divorzia. Racconti africani (Reggio Emilia, Mavida, 2005), considerata dall’autore ben presto e con troppa severità un «parto fuori tempo».

Quest’anno “LunedìLibri” – gli ormai consueti appuntamenti “di” e “con” l’autore ideati dal Comune di Siena – si è ulteriormente caratterizzato; il pieghevole, infatti, recita la seguente stimolante, duplice specifica: “autori toscani presentati da giovani letterati”. Quale occasione migliore, quindi, per far parlare di Paolo Cesarini al “grande” pubblico?

Il 14 maggio, nella Sala Storica della Biblioteca Comunale degli Intronati, si svolgerà la presentazione di Fogli di diario 1945-1946, ultimo titolo edito nella collana “Bilenchiana”, diretta da Luca Lenzini. Parteciperanno: Roberto Barzanti (neo-Presidente della Biblioteca, Archintronato, autore di una intensa introduzione al libro in questione e personaggio onnipresente nella scena culturale cittadina), lo storico del giornalismo Giovanni Gozzini ed il curatore Pietro Peli, (lui sì giovane !) promettente studioso di storia contemporanea (co-autore, tra l’altro, del fortunatissimo L’utopia della base. Un collettivo operaio nella Toscana tra gli anni ’60 e ’70, Milano, Edizioni Punto Rosso, 2011).

Il “diario” è stato rinvenuto tra le carte che compongono il fondo Paolo Cesarini, conservato presso la Sezione Archivi della Biblioteca della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Siena. Soltanto 34 fogli bianchi, scritti dall’11 aprile 1945 all’8 giugno 1946; cui si unisce un’appendice di ulteriori 5 fogli dattiloscritti («appunti stesi a Siena il 28 ottobre 1943»), spillati tra loro, dedicata al 25 luglio ’43, che il ‘nostro’ ha vissuto, con un certo stupore, in Grecia da cronista. Grazie – di nuovo – all’interessamento dell’Associazione Amici di Romano Bilenchi, è adesso possibile leggere questo testo prezioso, rimasto inedito fino ad oggi, integralmente trascritto ed annotato, per meglio inquadrare l’epoca storica trattata e per comprendere episodi e personaggi descritti.

A Cesarini, che, come noto, aveva il giornalismo nel sangue, fu affidato il compito di dirigere il «Giornale di Roma», quotidiano italiano di Atene dalle chiare finalità propagandistiche: pertanto, approdato nella Grecia occupata nel settembre del 1941, vi rimase fino all’estate 1943 (5 agosto). Aggiungo a quanto puntualmente ricostruito da Barzanti nel suo dotto testo introduttivo (in particolare nella nota 10) che la serie di suoi lunghi articoli a sostegno e a giustificazione della politica imperialistica del fascismo italiano (scritti probabilmente, come altri, «a scopo alimentare»: p. 39) furono riuniti proprio per i tipi della testata nel rarissimo opuscolo, a firma di Cesarini, dal titolo: I rapporti italo-greci fino al 28 ottobre 1940 (Atene, Editrice “Mediterranea”, 1942).

Ormai rientrato in Italia da tempo, proprio nel momento in cui si profilava – imminente – la fine della Guerra, iniziò a scrivere pagine di diario. Inizialmente non un diario “normale”, bensì un diario “in differita”, il cui obiettivo era quello di rievocare eventi di un passato prossimo ancora ben chiari nella memoria, e di raccontarli – come si conviene ad uno storico, più che ad un giornalista – con un minimo, indispensabile distacco temporale e critico. Ecco dunque i colloqui con tre personalità diversissime – Bottai, Pavolini, Polverelli – avvenuti a Roma nel ’43 e l’incontro con Mussolini in persona (nell’inverno dell’anno precedente, a Palazzo Venezia), che a detta dello scrivente rimase stupito da una risposta secca del suo interlocutore, del tutto priva di cortigianeria e non voluta.

Con tono nostalgico Cesarini si domanda, ad un certo punto, se potrà di nuovo rivedere Atene, questo perché la Grecia è «veramente una terra che lascia nel ricordo un senso di caldo e di aperto che dura a lungo» (p. 7). Da questa poetica considerazione la volontà, un giorno che si saranno «calmati gli spiriti, composte le polemiche», di «riprendere il materiale» accumulato sul periodo “greco” (appunti e ritagli di giornale) e comporre così «un libro delle […] esperienze e ricordi» (p. 7).

Come possiamo notare il procedimento è il medesimo: ripercorre a ritroso alcuni anni fondamentali nella sua vita di uomo e di giornalista, per fermarli nero su bianco. Una sorta di esercizio “catartico” utile a ridimensionare perfino certe giovanili infatuazioni (finché si è ancora in tempo, dato che «Ora tutti vogliono dimenticare ciò che hanno fatto e pensato nel passato»: p. 36), a riabilitare un’esperienza tra le più dense di «nomi e fatti memorabili» (p. 15), insomma, a mettere «ordine» (p. 19).

Passata da circa un mese la Liberazione – a cui, peraltro, non viene dedicato neppure un rigo – “Paolino bellidee” – così lo aveva soprannominato, quand’era bambino, un cartolaio – tra le pagine del suo diario si occupa del presente o dell’appena trascorso, si guarda “allo specchio”, si abbandona a confessioni personali e confidenze, narra gustosi aneddoti, fornisce sapidi ritratti di varia umanità a formare un vivace “bestiario” psicologico, racconta con meticolosità cronistica, descrive, giudica e divaga, il tutto con frequente ricorso al flashback.

E così, tra i tanti argomenti, abbiamo: un riferimento alla sua (al tempo ancora) esigua collezione di disegni («Ci perdo volentieri un po’ di tempo dietro a questa passione»: p. 16), il ricordo del suo primo direttore alla «Gazzetta del Popolo», la sorpresa per una scossa di terremoto che terrorizzò la moglie Nucci (al secolo Caterina Vaglio) già in dolce attesa dell’unico figlio Luca, «frotte» di pettegolezzi freschi di settimana («Avvenimenti questi degni del massimo interesse e della più oculata riflessione»: p. 19), il lavoro serrato alla minuscola scrivania su vari progetti avviati (un libro per il figlio; la biografia di Maria Salviati, moglie di Giovanni dalle Bande Nere) e la fiducia nei racconti già scritti e posti a maturare dentro ai cassetti.

O ancora: la constatazione del rapporto ormai “raffreddato” con Bilenchi («fra me e lui […] una parete»: p. 24) e della fortuna di avere sposato una donna straordinaria («correttivo al nostro squilibrio»: p. 43), l’assenza di emozione per aver votato a Torino nel fatidico giugno 1946 («non riesco a capire perché milioni di persone si elettrizzino per questa lotteria»: p. 46).

Vi si legge anche una sorta di “bilancio” degli «ultimi dieci» anni da soldato («ho combattuto con onore, sono stato mutilato e decorato al valore, sono arrivato a dover considerare se tutto ciò non sia un disonore o almeno una stupidità»: p. 21) e da scrittore («ho sempre invidiato come scrissi Un uomo in mare con che facilità e rapidità»: p. 21); anni che meritavano comunque di essere sviscerati: «Si potrebbe scrivere molto meglio […] La mia mente è piena di ricordi, paragoni, lagnanze, gioie […] in dieci anni io ho vissuto tutta una vita» (p. 21). Tanto che, a causa di un grossolano errore, il nome suo fu scritto su di una lapide di morti di guerra nella chiesa di Santa Caterina da Siena nei pressi di Asmara… Quando si dicono gli scherzi del destino!

Scorrendo le pagine di diario, molte, inoltre, le sentenze dal sapore aforistico e le massime (ovvia la “lezione” di Tozzi): «[…] per attuare le idee ci vuole anche un metodo o una gran forza di lavorare. Non ho né l’una né l’altra. Il metodo è dei gretti» (pp. 14-15), oppure «Non si è politici se non si è capaci di ipocrisie […]» (p. 17), o ancora «La fedeltà di certi esseri spesso commuove, è il segno d’una innocenza d’animo che rende perplessi, d’una stupidità che impaurisce» (p. 28).

Commuove davvero il passo in cui Cesarini pensa che sarebbe interessante scrivere i suoi ricordi «Non per ora; ma per dopo, per dopo la mia morte. Ci sarà qualcuno fra cinquanta anni […] che avrà abbastanza tempo per scrivere la storia mia? […] la storia d’un giovane borghese, in terzo piano, durante anni tremendi» (p. 22).

Ebbene, è stato oltrepassato il secolo in cui scriveva ciò, ma il desiderio segreto di questo grande concittadino è rimasto lettera morta. Colpa forse dell’impietoso “principio del contrappasso” per contrasto (di dantesca memoria)? Colui che ha “prodotto” biografie per tutta la vita (oltre a quella, già citata, di Tozzi, quelle dedicate alla regina Elena di Savoia, a Mino Maccari e ad Alberto Sani) è destinato a non averne una, la propria!

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