Emozioni semplici e pensiero complesso nel film di Brosens

SIENA. In arrivo dalla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, la suggestiva ed evocativa pellicola di Peter Brosens e Jessica Woodworth dal titolo: La quinta stagione con Sam Louwich, Aurélia Poirier, Gill Vancompernolle, Django Schrevens. Ultimo di una trilogia incentrata sul conflitto fra uomo e natura. Quadri viventi che si alternano pieni di allusioni, magia ed estetismo conducendoci dentro alla matrice fondamentale del simbolismo in una terra desolata che si scontra con mille contraddizioni.
In un paesino delle Ardenne una inspiegabile calamità sconvolge la vita semplice degli abitanti, mentre l’inverno non vuole andarsene ed il pupazzo di paglia che lo rappresenta non riesce a prendere fuoco. I due bambini Alice e Thomas trovano protezione da Pol, un apicoltore itinerante che ha un figlio disabile. Il rapporto fra padre e figlio é denso di affetto, giocosità e spunti di tenera comunicazione attraverso musiche e linguaggi poetici. Tutto questo scatena però l’invidia degli abitanti che vedono nell’uomo il diverso su cui proiettare tutte le negatività che lo portano a fungere da capro espiatorio.
Una antropologica ricostruzione di un mondo dove tutto viene ricondotto al pregiudizio che riduce al silenzio anche i giovani in cerca di speranza e trasforma fiori veri in fiori di plastica laddove la terra non è più capace di essere fertile e portare colori e profumi. Non appare casuale, anche se così vuol apparire, che la pellicola sia stata girata in Belgio, paese considerato ancora in preda alla xenofobia.
Le meravigliose inquadrature fotografate da Hans Bruch Jr. di chiara ispirazione fiamminga, alternano le stagioni, sono intense e fanno da sfondo a momenti nei quali il sacro si unisce al profano e l’aspetto meditativo a quello fortemente concettuale, dove il lavoro creativo affianca continuamente quello teorico. Emozioni semplici e pensiero complesso intriso di quel pregiudizio che da sempre è stato fonte e causa primaria delle lotte fra gli uomini.
Il capro espiatorio non è colui che ha qualcosa in meno ma colui che ha qualcosa in più, che esce dai canoni logici pervasi di credenze artefatte e semplicistiche, il diverso, il filosofo, colui che cerca la salvezza sulla strada di keroukiana memoria, colui che conosce la musica e il linguaggio del dolore del figlio e lo affronta cercando modi per sopravvivere alla quotidianità.
Un lungo viaggio nella solitudine in una civiltà che appare sempre più irrecuperabile in mezzo ad immagini poetiche dove si respira il profumo delle intense tele fiamminghe.