Ricordando Robin Williams e Philip Hoffmann

di Paola Dei
SIENA. In attesa della 71a Edizione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia dove nel 2013 Gianfranco Rosi ricevette il Leone d’Oro con il documentario Sacro Gra e dove l’anno prima Philip Seymour Hoffmann portò a casa a pari merito con Joaquin Phoenix lo stesso Leone per l’interpretazione maschile con il film The Master di Paul Thomas Anderson, il pensiero non può non andare, dopo una fase di decantazione e di lutto, a lui ed a Robin Williams, tutti e due interpreti nel film di Tom Shadyac: “Patch Adams”. Entrambi ci hanno lasciato nel 2014, entrambi inspiegabilmente, entrambi improvvisamente.
Si è scritto, si è detto e si è ipotizzato di tutto e di più fra le critiche di alcuni e il dispiacere di altri, ma l’unica certezza restano le loro interpretazioni indelebili e incancellabili che decretano la loro eternità. Non è da noi l’immortalità, non ci appartiene, non ne possediamo neanche il concetto, ma riusciamo a comprendere l’eternità, non foss’altro per sentimenti che esperiamo restare immutati anche dopo la perdita di persone care come quelli che ci ha lasciato nel cuore il professor John Keating quando ha insegnato al mondo intero che nulla vale quanto l’attimo presente, il qui e ora e che chi ci ama non ci fa sprecare neanche uno degli attimi che ci separano dalla morte. Non ci sono scuse, non ci sono ma chi ci ama desidera da subito il nostro bene. Chiunque ci lascia nel dolore a lungo, chiunque necessita della nostra sofferenza per nutrire se stesso, chiunque ci usa, ci distrugge, ci fa sprecare momenti preziosi ad una vita che non ne ha un’altra di ricambio è da biasimare, allontanare, fuggire come la peste.
“Oh capitano, mio capitano”…. resta indimenticabile lo sguardo misto fra gioia, dolore, stupore del Prof. Keating, quando lascia l’aula del college dal quale è stato cacciato mentre i suoi alunni lo salutano salendo sui banchi e forse soltanto Robin Williams poteva dare voce a tutta la gradazione di emozioni che ci sono passate davanti in quei fotogrammi. Nonostante la bravura incancellabile ed il talento indiscutibile di molti altri attori, monumenti del terzo millennio, lui era l’attore che più di chiunque altro riusciva a coniugare polarità emozionali in maniera così intensa e così credibile, come ha fatto anche nell’esilarante film commedia su Mrs. Doubtfire – Mammo per sempre, di Chris Columbus, allo stesso modo in cui Hoffmann coniugava una sorta di comicità naturale mista al drammatico.
Attori indimenticabili forse amati però soltanto nelle loro parti luminose, obbligati a dare sempre la loro parte luce, mai liberi di poter esprimere la loro parte ombra, poco abituati ad essere amati in questa parte più scura, più fragile. È strano come le parti migliori nei film vengano assegnate quando un attore ha in tasca premi che ancora non ha neppure smaltito, è strano come si abbandonino le persone quando non corrispondono più all’ideale di luminosità che ci eravamo fatti di loro, è strano come siamo pronti a giudicare chi pochi attimi prima avevamo acclamato, strano ma vero! È strano come si dia luce quando di luce ce n’è in abbondanza, siamo meno abituati a dare luce laddove c’è il buio, ad amare le debolezze, le fragilità, i difetti, gli insuccessi dell’altro e forse adesso è il momento di farlo al di là di mille ipotesi, di mille supposizioni o cattiverie gratuite che sono riuscite a turbare anche la figlia Zelda che si è dovuta togliere da Twitter. In un momento tanto doloroso, proviamo almeno una volta ad accogliere le loro parti fragili salutandoli con una frase di Patch Adams, colui che li ha uniti sulla scena e che ci ha insegnato come l’amore sia l’unica forza indistruttibile capace ancora di fare miracoli.
“Oh capitano, mio capitano”…. resta indimenticabile lo sguardo misto fra gioia, dolore, stupore del Prof. Keating, quando lascia l’aula del college dal quale è stato cacciato mentre i suoi alunni lo salutano salendo sui banchi e forse soltanto Robin Williams poteva dare voce a tutta la gradazione di emozioni che ci sono passate davanti in quei fotogrammi. Nonostante la bravura incancellabile ed il talento indiscutibile di molti altri attori, monumenti del terzo millennio, lui era l’attore che più di chiunque altro riusciva a coniugare polarità emozionali in maniera così intensa e così credibile, come ha fatto anche nell’esilarante film commedia su Mrs. Doubtfire – Mammo per sempre, di Chris Columbus, allo stesso modo in cui Hoffmann coniugava una sorta di comicità naturale mista al drammatico.
Attori indimenticabili forse amati però soltanto nelle loro parti luminose, obbligati a dare sempre la loro parte luce, mai liberi di poter esprimere la loro parte ombra, poco abituati ad essere amati in questa parte più scura, più fragile. È strano come le parti migliori nei film vengano assegnate quando un attore ha in tasca premi che ancora non ha neppure smaltito, è strano come si abbandonino le persone quando non corrispondono più all’ideale di luminosità che ci eravamo fatti di loro, è strano come siamo pronti a giudicare chi pochi attimi prima avevamo acclamato, strano ma vero! È strano come si dia luce quando di luce ce n’è in abbondanza, siamo meno abituati a dare luce laddove c’è il buio, ad amare le debolezze, le fragilità, i difetti, gli insuccessi dell’altro e forse adesso è il momento di farlo al di là di mille ipotesi, di mille supposizioni o cattiverie gratuite che sono riuscite a turbare anche la figlia Zelda che si è dovuta togliere da Twitter. In un momento tanto doloroso, proviamo almeno una volta ad accogliere le loro parti fragili salutandoli con una frase di Patch Adams, colui che li ha uniti sulla scena e che ci ha insegnato come l’amore sia l’unica forza indistruttibile capace ancora di fare miracoli.
Se cominciassimo a parlare di solitudine sapremmo per certo che non ci sono farmaci. Non c’è industria medica che tenga, basta l’amore umano…….Tuttavia c’è sempre uno squilibrio tra quanti continuano ad “ammalarsi” di questa malattia e coloro i quali cercano, ognun per sé, di arginarla.