Iniziative per la conclusione della riqualificazione del sito

MONTICIANO. In occasione di Minore Festival, Italia Nostra intende lanciare alcune concrete proposte di tutela e valorizzazione conservativa dei Beni Culturali Minori; nell’ambito della prima edizione (Monticiano 19-20-21 settembre 2025) viene presentato un programma di eventi attorno alla conclusione dell’impegno di riqualificazione del sito Bagni di Petriolo, iniziato nel 2015 e trasformatosi col tempo in un vero e proprio intervento di restauro del Borgo Termale Medievale.
Oltre a convegni, spettacoli ed incontri culturali, sarà realizzato anche un focus sull’arte contemporanea presentando, nei locali restaurati della Torre del MUBA (Museo Bagni di Petriolo e nella Chiesetta di Santa Maria) a Petriolo, una serie di lavori inediti dell’artista Carlo Pizzichini.
Nelle acque sulfuree delle Terme di Petriolo, dove da secoli il respiro della terra affiora in vapori caldi e persistenti, Pizzichini ha affidato alcune sue piccole composizioni: nature morte domestiche, fragili costellazioni di oggetti d’uso, fiori recisi, rami e arbusti, figure kitsch e frammenti di vite passate, all’intervento naturale dell’acqua termale, che, insieme al tempo, modellatore sopraffino, hanno imbalsamato le memorie quotidiane dell’artista. Immerse per giorni in quel grembo minerale, le cose si sono trasformate: il calcare, paziente e tenace, ha ricoperto ogni superficie con una pelle candida e porosa. L’acqua, come un artista inconsapevole ma sapiente, ha “scolpito” senza scalpello, velando i colori, addolcendo i contorni, avvolgendo ogni elemento in un’unica materia. Ne sono nati fossili contemporanei, reliquie della quotidianità, congelate in un tempo che non scorre più ma per un attimo, si deposita. Queste opere, appaiono come sepolcri imbiancati di un vivere giornaliero a bassa risoluzione e portano con se una doppia eco: la voce del presente che si è fatto pietra e il respiro antico di un luogo che Pizzichini conosce intimamente. Nato a Monticiano, a pochi passi da Petriolo, l’artista frequenta quelle acque fin da giovane, quando ancora il gesto creativo era in formazione e il paesaggio era già maestro. Le colline, i sassi del fiume, i boschi di leccio, il rosso delle sughere, il fluire sulfureo tra i vapori del Farma: tutto è entrato nella sua memoria come un alfabeto naturale, pronto a riemergere nelle sue opere.
In Fossili Contemporanei ed altre derive non c’è solo la mano dell’artista, ma anche quella dell’amata natura. È un dialogo a due voci: l’uomo che compone e dispone, la terra che trasforma e sigilla. Il calcare diventa allora una scrittura muta, una lingua bianca che non racconta con le parole ma con la materia stessa del tempo. Questi fossili non provengono da ere geologiche remote, ma dal nostro presente: sono un archivio poetico di ciò che abbiamo amato, usato, dimenticato. Nel loro candore, le forme sopravvivono come memorie sospese, ricoperte da un velo minerale che le rende eterne e insieme fragili. E Petriolo, con la sua acqua, la sua luce e il suo respiro sulfureo, non è solo il luogo di nascita di Pizzichini, ma anche il co-autore silenzioso di queste opere, custode di un’arte che nasce dall’incontro tra gesto umano e metamorfosi naturale.
Non nuovo a presentare in carattere installativo le sue opere, specialmente le ceramiche, Pizzichini, affianca alla mostra nella Torre del MUBA, anche un intervento nella piccola chiesa sul fiume Farma. Dentro la chiesetta di Santa Maria il silenzio respira d’antico, e al centro, come un approdo improvviso, una zattera di legni consunti galleggia sospesa nello spazio sacro. Su di essa, posate come offerte al mistero, sfere di ceramica brillano di colori profondi, ogni superficie segnata dai tratti inconfondibili di Pizzichini: arabeschi, linee, segni che sembrano mappe segrete, stelle cadute, memorie custodite nel fuoco della fornace. Sono gocce d’acqua che non si lasciano disperdere, frammenti di un cielo che cerca rifugio, meteore che si radunano per salvarsi dal precipizio, piccoli mondi che trovano riparo su questa fragile, ostinata arca di salvezza. La penombra della chiesa, raccolta e quieta, trasforma la zattera in un altare errante e le sfere, tremule di luce, paiono anime in viaggio, semi di vita che resistono al naufragio del tempo. Così l’installazione diventa preghiera: un invito a credere che, anche tra le rovine, ci sia sempre un legno che galleggia, un colore che si salva, un mondo che rinasce.