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Il Costituto del Comune di Siena del 1309-1310: un capolavoro riscoperto

di Mario Ascheri

SIENA. Una Passeggiata d’autore di Luigi Oliveto mi ha costretto sabato 30 marzo a sintetizzare drasticamente una vicenda pluridecennale che devo ora concentrare ancora essendone stato richiesto da chi non ha potuto partecipare.

Il Costituto, un monumento scritto di Siena, grosso modo coevo della Maestà di Duccio e licenziato nell’anno in cui il governo dei Nove si insediò nel nuovo palazzo sul Campo, è stato solo da pochi anni riscoperto con un moltiplicarsi di iniziative editoriali dall’occasione del suo 700esimo, nel 2009, che hanno cominciato a farlo conoscere anche tra gli storici stranieri.

Ma la sua ‘riscoperta’ è stata difficile, per la complessità del testo e del contesto, che dimostra un fatto cui si pone mente raramente. L’età dei Nove (1287-1355) non fu omogenea, se non nel nome dei suoi governanti guelfi: i suoi lunghi decenni di difficile alleanza con Firenze (e larvata sudditanza angioina per qualche tempo) furono ricchi di vicende drammatiche, guerre, rivolte, repressioni anche dure, e non solo di tanti lavori architettonici e grandiose opere d’arte. Ma andiamo in ordine.

Per strane vicende editoriali e passate preferenze storiografiche la sua prima edizione, del 1903 a cura di Alessandro Lisini direttore dell’Archivio e sindaco di Siena, passò praticamente sconosciuta. Il Comune di Siena veniva di regola ricordato per il suo grande statuto in latino del 1262, successivo a Montaperti, capolavoro della cultura politico-giuridica ghibellina, ma non per il Costituto guelfo. Tutt’al più si ricordava che era stato scritto in volgare per il popolo ‘povero’ ignorante del latino, ma una bella sintesi di storia senese ancora nel 1976 poteva non ricordarlo e lo stesso William Bowsky, massimo studioso (e ammiratore) dei Nove (1287-1355), non lo segnalò come doveroso.

Uno storico del diritto come il sottoscritto doveva affrontare la questione statuti non solo in generale come fonte storica importante per il Medioevo italiano, ma anche di Siena da vicino. Potei così delineare un primo progetto di ricerca CNR nel 1978-80 poi rinnovata, aggiornata o sostituita. Non solo Donatella Ciampoli (per lo statuto del Capitano del popolo e di quello del Buongoverno, che credevamo del 1338-39 come l’affresco), Ilio Calabresi (Montepulciano), Monica Chiantini (Mercanzia), ma persino Duccio Balestracci (normativa sui poveri) e Gabriella Piccinni (mezzadria) furono coinvolti in un primo momento, che per me volle dire, con Elina Ottaviani, affrontare una raccolta legislativa ricchissima degli anni 1323-1339 (1981).

Non è questa la sede per un racconto analitico del molto fatto da allora, da altri e da me. Qui interessa l’incontro con Mahmoud Salem Elsheikh, un dotto egiziano allievo di Gianfranco Contini che si occupava di testi senesi in volgare per l’Accademia della Crusca. Nacque la collaborazione per la quale comparve nel 1990 l’edizione dello statuto di Chiarentana (ora proprietà Origo), ai primi del Trecento possesso dei Salimbeni (come tanto altro in val d’Orcia). Nel frattempo Laura Neri, attenta studiosa del notariato senese di cui si occupava intensamente allora Odile Redon, poté dedicare nel 1992 un denso saggio al notaio autore della volgarizzazione del 1310. Mi sentii in obbligo di puntare anche alla riedizione del grande testo. Per me fu fatica vana la ricerca dello sponsor, ma la Fondazione MPS poi operante aprì nuove speranze alla fine degli anni anni ‘90.

Si pervenne così alla richiesta ad essa di Elsheikh di finanziare una nuova edizione del Costituto del 1310, dopo quella esauritissima e per lo più sconosciuta del Lisini. Un impegno intenso fece pervenire ai quattro volumi in elegante cofanetto del 2002, con la nuova riedizione del classico testo italiano curata dal valente studioso egiziano. Il quale arricchì l’opera di indici utilissimi, accanto a saggi sui manoscritti vicini al Costituto (Enzo Mecacci), sul codice in sé (Attilio Bartoli Langeli) e del sottoscritto sul Costituto come fondamento del Buongoverno del tempo.

Allora azzardai anche, credo per primo, sia l’accostamento d’un testo volgare così esteso alla Commedia (che veniva scritta appunto in quegli anni), sia il rilievo che fosse il primo statuto in volgare di una città italiana, dopo che comuni minori e corporazioni, da Montieri a Montauto di Pari (pubblicato dalla mia laureata Simona Bellugi), e Siena e Firenze già lo avevano utilizzato per altri testi giuridici; inoltre segnalai gli espliciti attacchi al mondo del diritto per le liti infinite e costose che rendevano poveri i ricchi.

La “giustizia si offende”, si arrivò a scrivere: in quale altro testo giuridico ci si espresse così?

Se si aggiungono le norme per assicurare la bellezza e la piacevolezza della città per tutti, cittadini e forestieri (che, si disse, vengono via Francigena per lo più per i mercati e il diletto…), ribadendo a ogni occasione i valori di pace e giustizia, concordia ed ‘uguaglianza’ (ma non libertà), si capisce che siamo in un contesto assolutamente eccezionale.

Esso spiega come in pochi anni (dal 1324) si ritenesse necessario pensare a una nuova redazione statutaria come hanno chiarito studi recenti (Andrea Giorgi e Valeria Capelli). Certo, si sarà considerato che l’attacco a giudici e notai (la corporazione venne addirittura sciolta per molti anni) era stato eccessivo in una città che dopo pochi anni (1321) aveva ricevuto studenti e professori da Bologna per far eccellere l’università.

Potevano non scandalizzare le normative contro i funzionari senza “mani pure”, poteva essere bene dare una risposta rapida alle petizioni di cittadini e ‘contadini’ e assicurare (per la prima volta a livello normativo) il palio d’agosto, ma forse era bene far dimenticare di aver assicurato ai cittadini la disponibilità di qualsiasi documento pubblico e privato per poter tutelare propri diritti in un momento di grave crisi del sistema bancario (privato). Il Costituto fu quindi uno straordinario tentativo politico-culturale di allargare il consenso in un momento straordinariamente difficile, essendo anche prevedibile la guerra ghibellina condotta dall’imperatore Enrico VII.

Per farne conoscere meglio l’importanza storica la Fondazione MPS deve completare l’operazione iniziata quasi vent’anni fa: rendere facilmente accessibile i quattro volumi. O con una ristampa poco costosa (quella del 2002 peraltro non è mai arrivata in libreria) o caricando on line con libero accesso quei testi.

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