
di Giulia Tacchetti
SIENA. Oggi al Santa Maria della Scala è stata presentata la mostra fotografica di Carlo Vigni dal titolo “L’Industria Della Polvere” (30 ottobre 2021-31 gennaio 2022), che attraverso una selezione di scatti guiderà il visitatore all’interno di una delle architetture industriali più discusse del secolo scorso.
Conosciuta come la “Torre dei pomodori” di Isola d’Arbia, fu inaugurata nel 1961 e la sua piena attività durò solo due anni, durante i quali produsse polveri di frutta e ortaggi attraverso un processo di disidratazione a 33°, ma per un probabile difetto di progettazione divenne da subito impossibile sostenere economicamente la produzione, che cessò definitamente nel 1966.
Il primo ad intervenire è il sindaco De Mossi, che vede nella torre dell’Idit il sogno dell’Italia degli anni sessanta: trasformare gli ambienti agricoli arretrati e poveri (la mezzadria ormai era fallita) in ambienti di sviluppo industriale. La struttura stessa della torre, come avrà modo di descrivere l’architetto Nepi nel suo intervento, è frutto di una buona progettazione, fatta da professionisti per la cura dei dettagli strutturali e architettonici.
Alta 70 m., ha la forma di un cilindro di cemento armato, cavo all’interno e chiuso all’esterno da un parallelepipedo completamente vetrato. Oggi a circa 60 anni di distanza, crollati i sogni e falliti i progetti, si può vedere il suo relitto che piano piano si è spogliato completamente di tutto il materiale deperibile, fino a raggiungere l’essenzialità della struttura, del nudo scheletro di cemento armato.
Questa vicenda così negativa secondo gli abitanti del territorio, e non solo, doveva produrre come logica conseguenza l’abbattimento della torre, che, collocata in pianura e visibile da più punti di vista, contrasta con la bellezza del territorio, da cui passa la via Francigena.
Per molti la torre ha il significato di un profondo sfregio su un bellissimo volto fatto di morbide colline, campi coltivati come giardini, punteggiati da ville, case coloniche e pievi, che rimanda alla bellezza della città fatta di mattoni e pietra, come si può vedere nel dipinto del Buono e Cattivo Governo di Ambrogio Lorenzetti (1338-40).
Nella realtà città e paesaggio non nascono dal pennello di un pittore, rimanendo statici nella loro bellezza, ma si modificano con il modificarsi dei bisogni, che nascono dai cambiamenti economici e storici. Quindi noi ci troviamo all’interno di un lenta trasformazione che produce continui mutamenti.
Secondo l’architetto Nepi, il paesaggio è un processo che attraversa tutte le contemporaneità, con una integrazione di elementi che porta ad una variazione. L’Idit è l’edificio più odiato e condannato a morte (ecomostro), ma può anche suscitare affezione, perché l’edificio è visibile dalle colline del Chianti, dalla Val d’Orcia, insomma da tante parti. E’ lì da 60 anni e in alcune persone muove l’immaginazione, anziché il senso dell’orrore, come la sua scaletta di cemento che, raggiunta la sommità, suggerisce la scoperta di un mondo impossibile vedere da terra.
Così è accaduto al fotografo Carlo Vigni, le cui foto ci guidano anche all’interno della torre e in bianco e nero provocano suggestioni forse mai provate. Quindi non sono solo uno strumento di documentazione; mostrando il presente, narrano anche la storia passata. Carlo Vigni ha sempre visto quella torre, frequentando le scuole elementari dell’Isola. Per quelli della sua generazione è diventata un elemento del paesaggio. Lo scopo della mostra è produrre una riflessione nel pubblico: valorizzare o distruggere la torre dell’Idit? Per i presenti, sindaco, architetto e fotografo, l’opera, nella sua assoluta eccentricità, va “valorizzata” come segno urbanistico legato al passato, ma anche al futuro, infatti lì accanto passa la ferrovia, la forma di trasporto migliore per il mondo che verrà.
E voi che ci leggete? Ci farebbe piacere sapere che cosa ne pensate. Aspettiamo i vostri pareri.