
SIENA. Di lei, Muriel Chemin, dicono che sia magnifica. Senza nulla togliere ad un indiscutibile glamour, il complimento rivolto a questa pianista francese è tutto per il suo modo di suonare, un veramente fuori dall’ordinario a cui nell’ultima serata del III° Festival Franci sarebbe un vero peccato mancare. Il concerto della Chemin – che presenterà arie del prediletto Beethoven e di uno Schumann che è nel novero dei suoi preferiti – lo si potrà godere domani 27 ottobre, alle ore 21, nel caveau sonoro dell’Auditorium dell’Istituto in Prato Sant’Agostino.
Il programma prevede l’apertura con la Sonata n.12 in la bemolle maggiore op.26 di Beethoven, che pur se detta “Marche funèbre” rivela sorprendenti tracce vitali. Il suo libero espandersi in temi solenni culmina infatti con un “allegro in forma di rondò” che conduce tutto l’insieme al clima dell’ “Eroica”, sinfonia scritta immediatamente dopo (1803), il cui secondo movimento in marcia funebre, nel disteso finale proprio in “allegro molto”, conferma quel fondo beethoveniano che sa sempre e comunque aprire al respiro della vita. Lo ereditarono poi, a distanza di un secolo e nel loro suggestivo modo di pensare positivo, quelle strombettanti orchestrine di New Orleans che non fanno tuttora coraggiosamente differenza alcuna tra nascite, matrimoni e funerali. Il secondo brano, con un Beethoven che dà prova di saper muovere da par suo ogni possibile estro, venne scritto poco dopo le arie maestose delle marce, ma con una decisa inversione di rotta. Siamo nel 1804, e il compositore è a passeggio per Bonn e viene attratto dal ticchettare frenetico della pioggia. Corre a casa e scrive di getto un’aria in fa minore cui non dà nome (solo anni dopo fu chiamata “Appassionata” e catalogata nell’op.57) e la dedica non ad una donna come si sarebbe portati a pensare ma ad un’altra passione, la sua, ed esclusivamente per la musica. In particolare quella semplice e naturale regalata da un occasionale scroscio di pioggia. Vero momento magico d’ispirazione, parte con un “allegro assai” iniziale che rompe il silenzio col fragore di una cascata. Beethoven la sparge facendo scorrere vere e proprie rapide sulla tastiera e concedendo solo due brevi movimenti di lento in raccordo. Il turbinio, incalzante, e divinamente dissonante in un’alzata centrale, riprende ogni volta e dona un ascolto da fiato sospeso. Poi, nel finale, rullate pazzesche che precedono l’insinuarsi di note a martelletto, battute una ad una sui tasti, come a ritmare la caduta amplificata di goccioloni d’acqua. Fino al tripudio di un’ultima bordata inferta a piene dita al centro del pianoforte. Gli applausi per il signor Ludwig van Beethoven e per la signora Muriel Chemin vedrete che non potranno trattenersi oltre. E qualche merito ce l’avrà anche quella strana pioggia di Bonn…
Certo che poi, per passare ai toni mesti, deliziosi ma mesti del brano seguente, un po’ce ne vuole. O forse, quando le dita riposeranno con la quiete di questa Sonata in fa minore n.3 op.14 di Schumann, per Muriel Chemin sarà quasi un sollievo. Composta dal venticinquenne Schumann, come sempre tutto preso dalla sua Clara (il terzo tempo è un tenero “andantino” che fa da cameo ad un’aria scritta da giovanissima dall’amata), la sonata scivola dolce tra momenti di grande meditazione ed altri intensi e vigorosi ma solo per strazi di cuore. La sua prima versione fu un “sans orchestre” un po’ dibattuto, ma alla fine sia in piano solo o con uno o pochi strumenti in accompagnamento si vide che il pezzo funzionava benissimo. Lo schumaniano Harry Halbreich, per meglio identificare le pene d’amore vissute da Robert e Clara a causa delle ostilità dell’accanito padre di lei, lo definì “sofferto delirio pianistico”. Non c’è che dire, tra un brano e l’altro di questa notte in musica del Franci la brillantezza di Muriel Chemin non potrà che farsi sempre più scintillante. E’ un “Romantico D.O.C.”. Rapportandolo ai nostri tempi, oscilla tra un Beethoven che continua inesorabilmente a fare invidia (in genialità e personalità) al folletto Keith Jarrett che conosciamo, ed uno Schumann che solo lui sa così languidamente far parlare d’amore un pianoforte. Francamente irraggiungibile, in quanto a composizione, dalle velleità del giovane Allevi, volenteroso combattente alla ricerca della luce sfolgorante del classico ma, al momento, solo eccellente pianista. Chi assisterà allo spettacolo concertistico del Franci avrà invece garantite tre pagine granitiche, inimitabili nei lampi di poesia, negli slanci e le frenesie, nella purezza e delicatezza di suoni viaggianti dall’800 al sempre.
Quanto a Beethoven, la Chemin è fra le tre grandi pianiste al mondo ad averne inciso l’integrale delle sonate. Ma lei l’ha fatto dando colore alle note, rendendole eleganti ed espressive ad ogni tocco. Ha imparato a farlo sin da quando, a cinque anni, si mise davanti ad una lunghissima spianata di tasti bianchi e neri chiedendosi come diavolo si suonassero. Il giorno del suo diploma alla Ecole Normale Alfred Cortat di Parigi lo seppe benissimo, e di lei andarono stupendosi tutti in occasione del Premier Prix de Virtuositè vinto a Ginevra e poi dell’ Hennessy-Mozart che le fu assegnato in pompa magna a Parigi. Quindi, a tutt’oggi, le tournée nel mondo sia come solista che in formazioni cameristiche e orchestrali, l’accostamento ad uno stile fluido alla Pollini, il repertorio universale del classico che ormai suona quasi a memoria. Infine, l’amore per Beethoven. A questo proposito, ci chiediamo come abbia preso, la Chemin, la recente notizia che la celebre “Per Elisa” non sia opera del compositore tedesco ma di un confusissimo pasticcio di partiture dove misero le mani in tanti. Certo che a scovare scartoffie del genere devono essere proprio bravi… Comunque, facciamoci coraggio perché non c’è più niente di cui stupirsi (oltre il “non esserci più non solo la classica religione” ma pure fedi convinte e le un tempo inespugnabili acquisizioni scolastiche): ormai un revisionismo impazzito sta travisando e spazzando via di tutto. Manca poco che qualcuno si spinga ad affermare che la musica di Bach sia stata scritta da un cugino cieco o che Mozart Paisiello e Rossini abbiano scritto di Figaro solo per rimediare parrucche gratis… Sembra si sia scossi, e in ogni campo, dalla foga di annullare il passato e la storia, ma allora perché non ribaltare, alla ventura, anche il presente? Muriel Chemin, per esempio, potrebbe non essere lei ma… Beethoven redivivo in versione femminile.
Servendoci della stessa visionaria possibilità, in mancanza di prove tangibili come per ogni avventata supposizione oggi tanto di moda, anche questo lo si potrebbe sostenere, e persino a spada tratta. Ma non è forse molto più sostenibile dare valore alle cose concrete? Tipo il qualcosa di grande che può invece davvero aleggiare attorno alla pianista francese, a cominciare dai suoi meriti e successi ed a finire nella particolarità del suo cognome. Quel cammino, pardon, chemin, che sa tanto di percorso predestinato, di quel “mettercela sempre tutta per tenere sempre vivo l’amore per questa musica unica”, come non si stanca di dire Pappano. E, di ciò, Muriel Chemin “la magnifica”, darà indubbiamente nella serata di chiusura del Festival ennesimo saggio. Splendido e ricco davvero, questo III° Festival Franci, e già si aspettano le novità per l’edizione 2010. …Ma, se ci è concesso un piccolo invito personale per l’immediato… Niente niente che l’Orchestra Rinaldo Franci, tra i prossimi appuntamenti, possa tante volte includere il Concerto n.1 op.26 di Max Bruch? Questo sol minore per violino e orchestra, fra i più belli e struggenti del classico, sarebbe una primizia crediamo assoluta per il pubblico senese, oltre che rappresentare un tributo per un autore spesso ingiustamente dimenticato. Anche da noi, prima di risentirlo giorni fa casualmente e fortunatamente per radio.
Il programma prevede l’apertura con la Sonata n.12 in la bemolle maggiore op.26 di Beethoven, che pur se detta “Marche funèbre” rivela sorprendenti tracce vitali. Il suo libero espandersi in temi solenni culmina infatti con un “allegro in forma di rondò” che conduce tutto l’insieme al clima dell’ “Eroica”, sinfonia scritta immediatamente dopo (1803), il cui secondo movimento in marcia funebre, nel disteso finale proprio in “allegro molto”, conferma quel fondo beethoveniano che sa sempre e comunque aprire al respiro della vita. Lo ereditarono poi, a distanza di un secolo e nel loro suggestivo modo di pensare positivo, quelle strombettanti orchestrine di New Orleans che non fanno tuttora coraggiosamente differenza alcuna tra nascite, matrimoni e funerali. Il secondo brano, con un Beethoven che dà prova di saper muovere da par suo ogni possibile estro, venne scritto poco dopo le arie maestose delle marce, ma con una decisa inversione di rotta. Siamo nel 1804, e il compositore è a passeggio per Bonn e viene attratto dal ticchettare frenetico della pioggia. Corre a casa e scrive di getto un’aria in fa minore cui non dà nome (solo anni dopo fu chiamata “Appassionata” e catalogata nell’op.57) e la dedica non ad una donna come si sarebbe portati a pensare ma ad un’altra passione, la sua, ed esclusivamente per la musica. In particolare quella semplice e naturale regalata da un occasionale scroscio di pioggia. Vero momento magico d’ispirazione, parte con un “allegro assai” iniziale che rompe il silenzio col fragore di una cascata. Beethoven la sparge facendo scorrere vere e proprie rapide sulla tastiera e concedendo solo due brevi movimenti di lento in raccordo. Il turbinio, incalzante, e divinamente dissonante in un’alzata centrale, riprende ogni volta e dona un ascolto da fiato sospeso. Poi, nel finale, rullate pazzesche che precedono l’insinuarsi di note a martelletto, battute una ad una sui tasti, come a ritmare la caduta amplificata di goccioloni d’acqua. Fino al tripudio di un’ultima bordata inferta a piene dita al centro del pianoforte. Gli applausi per il signor Ludwig van Beethoven e per la signora Muriel Chemin vedrete che non potranno trattenersi oltre. E qualche merito ce l’avrà anche quella strana pioggia di Bonn…
Certo che poi, per passare ai toni mesti, deliziosi ma mesti del brano seguente, un po’ce ne vuole. O forse, quando le dita riposeranno con la quiete di questa Sonata in fa minore n.3 op.14 di Schumann, per Muriel Chemin sarà quasi un sollievo. Composta dal venticinquenne Schumann, come sempre tutto preso dalla sua Clara (il terzo tempo è un tenero “andantino” che fa da cameo ad un’aria scritta da giovanissima dall’amata), la sonata scivola dolce tra momenti di grande meditazione ed altri intensi e vigorosi ma solo per strazi di cuore. La sua prima versione fu un “sans orchestre” un po’ dibattuto, ma alla fine sia in piano solo o con uno o pochi strumenti in accompagnamento si vide che il pezzo funzionava benissimo. Lo schumaniano Harry Halbreich, per meglio identificare le pene d’amore vissute da Robert e Clara a causa delle ostilità dell’accanito padre di lei, lo definì “sofferto delirio pianistico”. Non c’è che dire, tra un brano e l’altro di questa notte in musica del Franci la brillantezza di Muriel Chemin non potrà che farsi sempre più scintillante. E’ un “Romantico D.O.C.”. Rapportandolo ai nostri tempi, oscilla tra un Beethoven che continua inesorabilmente a fare invidia (in genialità e personalità) al folletto Keith Jarrett che conosciamo, ed uno Schumann che solo lui sa così languidamente far parlare d’amore un pianoforte. Francamente irraggiungibile, in quanto a composizione, dalle velleità del giovane Allevi, volenteroso combattente alla ricerca della luce sfolgorante del classico ma, al momento, solo eccellente pianista. Chi assisterà allo spettacolo concertistico del Franci avrà invece garantite tre pagine granitiche, inimitabili nei lampi di poesia, negli slanci e le frenesie, nella purezza e delicatezza di suoni viaggianti dall’800 al sempre.
Quanto a Beethoven, la Chemin è fra le tre grandi pianiste al mondo ad averne inciso l’integrale delle sonate. Ma lei l’ha fatto dando colore alle note, rendendole eleganti ed espressive ad ogni tocco. Ha imparato a farlo sin da quando, a cinque anni, si mise davanti ad una lunghissima spianata di tasti bianchi e neri chiedendosi come diavolo si suonassero. Il giorno del suo diploma alla Ecole Normale Alfred Cortat di Parigi lo seppe benissimo, e di lei andarono stupendosi tutti in occasione del Premier Prix de Virtuositè vinto a Ginevra e poi dell’ Hennessy-Mozart che le fu assegnato in pompa magna a Parigi. Quindi, a tutt’oggi, le tournée nel mondo sia come solista che in formazioni cameristiche e orchestrali, l’accostamento ad uno stile fluido alla Pollini, il repertorio universale del classico che ormai suona quasi a memoria. Infine, l’amore per Beethoven. A questo proposito, ci chiediamo come abbia preso, la Chemin, la recente notizia che la celebre “Per Elisa” non sia opera del compositore tedesco ma di un confusissimo pasticcio di partiture dove misero le mani in tanti. Certo che a scovare scartoffie del genere devono essere proprio bravi… Comunque, facciamoci coraggio perché non c’è più niente di cui stupirsi (oltre il “non esserci più non solo la classica religione” ma pure fedi convinte e le un tempo inespugnabili acquisizioni scolastiche): ormai un revisionismo impazzito sta travisando e spazzando via di tutto. Manca poco che qualcuno si spinga ad affermare che la musica di Bach sia stata scritta da un cugino cieco o che Mozart Paisiello e Rossini abbiano scritto di Figaro solo per rimediare parrucche gratis… Sembra si sia scossi, e in ogni campo, dalla foga di annullare il passato e la storia, ma allora perché non ribaltare, alla ventura, anche il presente? Muriel Chemin, per esempio, potrebbe non essere lei ma… Beethoven redivivo in versione femminile.
Servendoci della stessa visionaria possibilità, in mancanza di prove tangibili come per ogni avventata supposizione oggi tanto di moda, anche questo lo si potrebbe sostenere, e persino a spada tratta. Ma non è forse molto più sostenibile dare valore alle cose concrete? Tipo il qualcosa di grande che può invece davvero aleggiare attorno alla pianista francese, a cominciare dai suoi meriti e successi ed a finire nella particolarità del suo cognome. Quel cammino, pardon, chemin, che sa tanto di percorso predestinato, di quel “mettercela sempre tutta per tenere sempre vivo l’amore per questa musica unica”, come non si stanca di dire Pappano. E, di ciò, Muriel Chemin “la magnifica”, darà indubbiamente nella serata di chiusura del Festival ennesimo saggio. Splendido e ricco davvero, questo III° Festival Franci, e già si aspettano le novità per l’edizione 2010. …Ma, se ci è concesso un piccolo invito personale per l’immediato… Niente niente che l’Orchestra Rinaldo Franci, tra i prossimi appuntamenti, possa tante volte includere il Concerto n.1 op.26 di Max Bruch? Questo sol minore per violino e orchestra, fra i più belli e struggenti del classico, sarebbe una primizia crediamo assoluta per il pubblico senese, oltre che rappresentare un tributo per un autore spesso ingiustamente dimenticato. Anche da noi, prima di risentirlo giorni fa casualmente e fortunatamente per radio.