Alto gradimento degli spettatori ai Rinnovati
di Giulia Tacchetti
SIENA. Finalmente torniamo ad assaporare il grande teatro attraverso la rappresentazione di “Così è (se vi pare)”di Luigi Pirandello al Teatro dei Rinnovati. Una produzione L’Isola Trovata-Francesco Bellomo. La recensione si riferisce alla replica di mercoledì 23. Il silenzio attento del pubblico e lo scrosciare degli applausi alla fine sono la più evidente testimonianza dell’alto gradimento degli spettatori. Non solo la profondità del testo pirandelliano, ma anche un tris d’eccellenza come Lojodice-Micol-Virgilio (l’ordine della scrittura segue solo quello alfabetico, sarebbe arduo seguirne un altro) non poteva che produrre uno spettacolo di alto livello. Ieri sera i tre sono stati capaci di tutto dietro l’attenta guida del regista Michele Placido, che in passato, affrontando da attore il teatro shakespeariano, non sempre ha raggiunto risultati così positivi.
L’opera debutta a Milano nel giugno del 1917 mettendo in scena un gruppo di rappresentanti della piccola borghesia ed il suo perbenismo: Agazzi con la figlia e la moglie Amalia ed il fratello di lei Lamberto Laudisi (un lucido quanto ironico Luciano Virgilio). A questi si aggiungono alcuni amici interessati anche loro a raggiungere la verità a spese della famiglia di un impiegato, il signor Ponza, che entra ed esce dalla pazzia attraverso l’eccellente interpretazione di Pino Micol. Laudisi smaschera con le sue risate, con i suoi commenti paradossali e beffardi la pretesa di raggiungere la verità oggettiva da parte dei personaggi. La signora Frola, suocera del signor Ponza, sostiene che la moglie di lui è sua figlia; il signor Ponza che la figlia è morta e che la donna è la sua seconda moglie. Il palcoscenico si trasforma in una sorta di “camera della tortura”.
Viene messo in discussione sia il concetto di identità (chi è veramente la moglie?) sia quello di verità (è pazzo Ponza o Frola?). Pirandello attacca con forza la comune nozione di verità e mette in scena la crudeltà piccolo-borghese. La conclusione è affidata alla comparsa della signora Ponza, che dichiara di non avere una identità certa, in quanto la sua identità non esiste in sé: “..Per me, io sono colei che mi si crede”. La verità, dunque, rimane inconoscibile. La voce di Giuliana Lojodice, interprete della signora Frola, turba per la profondità del dramma vissuto. Il suo corpo si erge nell’atto di difendere il suo segreto e si piega nell’implorare pietà ai presenti. Anche lo spettatore si smarrisce davanti al giudizio degli uomini.
Le luci si abbassano ed i suoni scordati di un violino (musiche di Davide Cavuti e Luca D’Alberto) introducono l’ingresso di Frola, suggerendo il mistero che accompagna l’esistenza dell’uomo e che spinge Laudisi, nel secondo atto, a chiedersi davanti ad un immaginario specchio chi sia lui veramente. Il tema del doppio e della identità ritorna nelle scene di Carmelo Giammello: uno specchio si è rotto e nella scena si sono conficcati frammenti alti ed aguzzi che dividono gli ambienti in cui si muovono i personaggi e contemporaneamente consentono agli stessi di riflettersi in un continuo rimando di immagini.