
di Pierluigi Piccini
SIENA. Lo scarto tra la parola della cultura e quella della politica si fa sempre più evidente. Siena ne è un esempio concreto, ma la condizione riguarda molte città italiane.
C’è una figura antica da cui partire: lo xenos — lo straniero, l’ospite, l’altro. Non è semplicemente chi arriva da fuori, ma chi resta ai margini del linguaggio comune. È colui che, attraverso la propria diversità, costringe a interrogarsi, a misurare la capacità di ascolto e di accoglienza. In questa figura si misura la maturità di una comunità: la capacità di riconoscere nell’altro non una minaccia, ma uno specchio.
A Siena questa non è una riflessione teorica, ma una realtà concreta. La città, che ha fatto dell’identità una difesa e una forza, oggi fatica a misurarsi con ciò che non riconosce come proprio. In questo contesto nasce il progetto “Xenos”: non una semplice mostra, ma un dispositivo critico capace di interrogare i rapporti tra potere e cittadinanza, tra politica e linguaggio, tra rappresentazione e partecipazione.
Xenos è una domanda rivolta alla città: chi è oggi lo straniero? Dove si trova davvero la frontiera — fuori dalle mura o dentro di noi?
Lo straniero, nella lingua greca, è anche l’ospite: colui che arriva e chiede di essere riconosciuto senza perdere la propria identità. Tra lui e l’istituzione corre però una distanza, non necessariamente conflittuale (sms), ma linguistica. Il potere parla in modo rapido e funzionale, la cultura parla lentamente, con parole cariche di memoria e di senso.
Qui nasce l’incomprensione: la cultura dovrebbe colmare la distanza, costruire ponti, ma sempre più spesso viene ridotta a spettacolo, a strumento di visibilità. Il risultato è che la parola viva non arriva, e lo xenos — il cittadino, l’artista, la voce altra — resta ai margini del discorso pubblico.
A Siena questa condizione è evidente. La moltiplicazione degli eventi culturali maschera un’assenza di visione. Si confonde l’attività con il pensiero, la promozione con la riflessione. La cultura parla dall’alto invece che dal basso, preferisce esibirsi piuttosto che interrogarsi, e così perde la propria funzione civile.
Il progetto Xenos, ospitato nel Santa Maria della Scala, rende ancora più evidente questa contraddizione. Proprio nello spazio civico più importante della città si svolge un progetto che mette in discussione le categorie di ascolto, identità e accoglienza, mentre l’amministrazione continua a moltiplicare eventi senza visione. Due prospettive che rivelano una distanza profonda tra cultura come rappresentazione e cultura come coscienza.
Il paradosso è che il sindaco, che detiene anche la delega alla cultura, non riesce a tradurre le sollecitazioni di Xenos in una politica coerente. Così il Santa Maria della Scala apre un varco di senso, mentre la politica resta su un piano parallelo, autoreferenziale, priva di una direzione.
La somma degli eventi non fa una visione, e la retorica dell’offerta non basta a generare partecipazione. Manca un linguaggio comune, una consapevolezza condivisa, un pensiero che tenga insieme ciò che oggi appare frammentato.
La distanza tra cultura e potere non è una questione amministrativa, ma una questione civile.
Sta alla politica imparare ad ascoltare e alla cultura ritrovare il coraggio di farsi ponte, di parlare dal basso, di non temere il conflitto. Solo allora la parola dell’altro potrà smettere di restare sospesa come un messaggio senza risposta, e diventare finalmente voce condivisa, parte viva della comunità.
In fondo, lo straniero non è l’altro: siamo noi, ogni volta che non riusciamo più a riconoscerci nel linguaggio comune. E solo riscoprendo il senso dell’ascolto potremo tornare a costruire una città capace di pensarsi, di accogliere e di crescere insieme.