Riflessioni di Marcello Venturini sulla festa senese

di Marcello Venturini*
SIENA. (Parte prima) Pensieri “eretici”
Pur essendo stato scritto qualche tempo fa prendendo spunto – oltre che dalle vicende giudiziarie – da episodi vecchi e nuovi riguardanti comportamenti e situazioni di particolare criticità, ritengo che alcuni dei temi affrontati mantengano ancor oggi una loro validità e possano portare qualche contributo alla riflessione ed all’approfondimento.
In primo luogo mi sembra da condividere l’impostazione secondo cui la rinuncia al “confronto fisico” dovrebbe rappresentare – prima ancora che una imposizione conseguente alle sentenze della Magistratura – una scelta razionale, derivante dalla constatazione della mutata pericolosità potenziale di tali episodi rispetto al passato.
Il contesto è ora del tutto diverso da quello in cui avvenivano le “scazzottate” di una volta, che peraltro venivano spesso rievocate – o forse lo sono ancor oggi – in modo mitizzato ed enfatizzato. Il numero dei partecipanti era molto più ridotto rispetto ad oggi. Nel caso degli scontri interessanti il Campo, la concentrazione di una grande massa di spettatori (in molti casi con scarsa o nulla esperienza della nostra Festa) può produrre una pericolosa diffusione del panico.
Ancora al tempo della mia infanzia faceva a cazzotti “chi voleva fare a cazzotti e chi sapeva fare a cazzotti”! Oggi, viceversa, molti lo avvertono come un obbligo in cui si intrecciano l’esigenza “esistenziale” di dimostrare il proprio coraggio con la convinzione che questo è l’unico modo (o, almeno, il modo più importante) per dimostrare la propria appartenenza contradaiola e/o per difendere l’onorabilità della propria Contrada. Sotto questo profilo ritengo fuorviante anche il richiamo alla “tradizione” o, meglio, ad una idea della “tradizione” come un insieme di convinzioni, di situazioni e di comportamenti sempre uguali nel tempo. È spesso diffusa la tendenza ad “assolutizzare” l’idea personale che ciascuno ha di essa ed a considerarla come qualcosa di statico e definitivo. Questa tendenza è favorita dal fatto che il modo di intendere la “tradizione” è spesso influenzato e derivato dalle proprie esperienze personali di gioventù o dalle testimonianze ricevute in quella fase della nostra vita. È quindi una convinzione parziale e condizionata nei modi e nei tempi della sua formazione.
Altre caratteristiche della “tradizione” sono rappresentate dalla sua genericità ed indeterminatezza, con la conseguenza di una ampia
adattabilità a tutte le situazioni: dalla difesa della Festa alla valutazione dei comportamenti e degli atteggiamenti dei contradaioli e dei dirigenti, oltre che per i riferimenti al cerimoniale, all’iconografia, e così via. Ne deriva che il riferimento ad essa è molto usato (e talvolta anche abusato).
Invece – come dice efficacemente Mahler -”la tradizione non è la conservazione delle ceneri: essa è memoria del fuoco e, cioè, una materia che si modifica”. Questa affermazione non vale solo per la musica, ma anche con riferimento al nostro caso in cui la sua natura dinamica è direttamente influenzata dalle continue trasformazioni intervenute nel contesto in cui le Contrade operano e la Festa si svolge. Se non vi fosse stata la capacità di adattamento già accennata saremmo rimasti ai tempi delle coltellate, di cui parlano talvolta le cronache antiche!
In altri termini, il problema è perciò quello di dare il giusto peso alla “tradizione”, cercando però di individuare i più rilevanti elementi di novità e di criticità che di volta in vola sorgono, per tradurli in fattori di valorizzazione e di crescita. Vi è poi, a mio avviso, un più generale aspetto che influenza e condiziona fortemente tutti i comportamenti contradaioli. Si tratta del “sistema di valori” cui ciascuno fa riferimento nel modo di interpretare il proprio ruolo. È anche su di esso, pertanto, che occorre far leva per contrastare i comportamenti negativi e per evitare la violazione delle regole (codificate e non, interne ed esterne, individuali o di gruppo).
2.- Il problema, ovviamente, non riguarda la maggioranza delle persone che frequentano le Contrade (si potrebbe dire, con sano e grande “spirito di servizio”!) ma, piuttosto, alcune minoranze che possono però rappresentare un fattore di rischio. Alla pur necessaria opera di prevenzione dovrebbe poi accompagnarsi una più ampia e costante opera di educazione e di formazione per una ulteriore diffusione di valori
“positivi” e per fare un ulteriore salto di qualità verso una maggiore maturità.
Un primo obiettivo importante è quello di far diventare sempre più condivisa l’idea che la qualifica di “buon contradaiolo” non si acquisisce con il gesto eclatante, con le esasperazioni individualistiche o di gruppo, con i proclami e, tanto meno, con la scontro fisico. In altri termini, direi – parafrasando Brecht – che le Contrade … non hanno bisogno di eroi! Sussistono, piuttosto, molti altri modi più consoni per affermare il senso di appartenenza, l’orgoglio di Contrada, la difesa della sua onorabilità e del suo prestigio. Non è forse inutile ribadire che “buoni contradaioli” sono quanti mettono a disposizione il proprio impegno e le proprie capacità per favorire la crescita della propria Contrada sotto i molteplici profili (patrimoniale, finanziario, solidaristico, culturale, artistico, ecc.), in cui si articola ormai la loro attività. Vi è poi l’esigenza di una sempre più ampia e qualificata presenza della Contrada come comunità, in modo da farla vivere meglio con la ricchezza e la
diversificazione delle sue iniziative, delle occasioni di incontro, dalla civiltà dei rapporti, del sostegno solidaristico, e così via.
Queste – e non altre – dovrebbero rappresentare le coordinate da assumere come metro di valutazione dei meriti e dei demeriti!
Come già anticipato, non è però sufficiente una generica esortazione, magari motivata con il prevalente richiamo al rischio di incorrere nella “giustizia paliesca” o nelle eventuali implicazioni giudiziarie. Essa dovrebbe piuttosto tradursi ancor più nei comportamenti concreti delle dirigenze nella gestione corrente delle proprie competenze. Ad una chiara, esplicita e tangibile valorizzazione e riconoscenza non formale nei confronti delle componenti e dei contradaioli più impegnati e più responsabili dovrebbe perciò corrispondere un impegno ad evitare ogni forma di incoraggiamento a favore delle proprie componenti che non rispettino questi principi, comprese, ovviamente, le regole di una
corretta competizione con l’avversaria e le Consorelle.
I comportamenti e l’azione quotidiana delle dirigenze, peraltro, non dovrebbero esaurirsi in una esortazione teorica, ma tradursi in comportamenti concreti nella gestione corrente delle proprie competenze. È in altri termini necessario far seguire ancor più coerentemente alle parole i fatti.
In tal modo le indicazioni formulate potrebbero divenire a loro volta “tradizione” e far fare al nostro mondo ed alla nostra Festa un importante progresso, con una maggiore consapevolezza e responsabilità di tutti i suoi protagonisti. (1.- continua)
* Principali ruoli svolti nella Contrada della Torre (1980-2022)
1980/1999 – provveditore alle attività culturali
1985 – vicario all’amministrazione
1988/1989 – vicario all’amministrazione
1990 – socio fondatore e 1° presidente (1990/1999) del Circolo Culturale “I Battilana”
1996/1997 – priore
2012/2022 – presidente del collegio dei maggiorenti