L'inspiegabile differenza tecnologica degli uffici postali...

di Augusto Mattioli
SIENA. Mi arriva – e la cosa non dispiace – un piccolo rimborso dalla Agenzia delle entrate con un assegno di Poste italiane. Vado in piazza Matteotti, faccio la fila, prima fuori poi all’interno dello stanzone con invito, ovviamente giusto, a mettere la mascherina e a stare distanziati (ma sembra il gioco dei quattro cantoni con punti prefissati dove stare), aspetto, con pazienza, che gli impiegati sbrighino le pratiche di chi mi precede (ma su una decina di postazioni, appena la metà sono attive, per cui occorre non avere fretta). Quando tocca a me porgo l’assegno e la carta di identità all’impiegata, che batte e ribatte i dati al computer. Fiducioso penso che non aspetterò troppo per riscuotere. Ma ecco il problema. La macchinetta che deve leggere l’assegno non lo legge, nonostante i ripetuti tentativi dell’impiegata, che cercando di risolvere il problema cambia vari lettori. Nessuno riesce a leggere l’assegno, forse un po’ spiegazzato (ma non tanto, essendo stato in un portafoglio come di solito si fa con gli assegni, peraltro oggi sempre più in disuso). Alla fine la signora, stremata, mi dà un consiglio: “Ha un conto corrente in banca? Lo vada a versare lì”.
La soluzione è fare un tentativo ad un altro ufficio postale senza andare in banca. Questa volta fuori porta Camollia. Altra fila, per fortuna più breve. Ed ecco la solita trafila burocratica. L’impiegata che armeggia al computer con la carta di identità, che prende l’assegno e lo fa passare nella solita macchinetta. Questa volta tutto regolare. Posso prendere il rimborso dell’agenzia delle entrate dopo soli cinque minuti di attesa.
Sarà il caso che alla posta centrale regolino meglio i lettori…